domenica 19 maggio 2013
Il corporativismo sindacale di guerra durante il regime fascista
Il titolo dell'articolo del Giornale, come il contenuto, vorrebbe gridare allo scandalo. In realtà non c'è nulla di cui stupirsi e non c'è nessuna continuità tra il "sindacato" giallo fascista e la CGIL. Se l'autore dell'articolo leggesse con gli stessi occhi le vicende della Prima guerra mondiale, trasalirebbe nel notare che l'Inghilterra, nell'organizzazione della produzione, era diventata quasi socialista... [SGA].
Stefano Fabei: Fascismo d'acciaio. Maceo Carloni e il sindacalismo a Terni (1920-1944), Mursia, pagg. 366, euro 22
Risvolto
Con le vicende politico-sindacali di Carloni è ricostruita la storia del fascismo a Terni, dove lo Stato fu istituzione politica e imprenditore, dalle origini alla Liberazione. Messa l'industria sotto la tutela del capitalismo statale, il regime offrì ai lavoratori occupazione e assistenza attraverso l'inquadramento nell'organizzazione sindacale-corporativa e facendo ruotare tutto attorno alla "fabbrica totale". La "Manchester d'Italia" fu un microcosmo in cui si rifletté la politica sociale del fascismo che durante la RSI riuscì a garantire l'amministrazione ordinaria, a contenere l'arroganza tedesca e a bloccare la guerra civile, relegando le attività della Resistenza nei territori periferici. Dalle discussioni su sindacalismo e corporativismo all'elezione nella RSI delle commissioni di fabbrica, che videro eletti accanto ai fascisti anche socialisti e comunisti, e da cui nel periodo postbellico sarebbero sorti i consigli di gestione, presi a modello dal sindacato più rappresentativo, emerge un'immagine diversa del lavoratore nel regime: quella di un uomo che dall'esperienza della Grande Guerra imparò a progettare la vita secondo un'ottica nazionale, attribuendo alla sua attività un senso etico e pedagogico.
La storia esemplare delle acciaierie di Terni mostra quanto i consigli operai della RSI abbiano influenzato l'organizzazione comunista nel dopoguerra
Luca Gallesi - Sab, 18/05/2013
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