John F. Kenndy: Unter Deutschen. Reisetagebuch und Briefe 1937-1945, Übersetzt von Carina Tessari, Gebunden mit Schutzumschlag, 256 Seiten, Aufbau Verlag 22,99 €
Risvolto
John F. Kennedy, geboren 1917, unternahm bereits als junger Mann Reisen
nach Deutschland: im Sommer 1937 als Student; im August 1939,
unmittelbar vor Kriegsbeginn, als sein Vater Botschafter in
Großbritannien war; sowie im Juli und August 1945, wenige Wochen nach
dem Ende des Zweiten Weltkrieges, als Korrespondent. Von diesen drei
Reisen hinterließ Kennedy historisch wie persönlich faszinierende
Zeugnisse, die hier erstmals veröffentlicht werden und zeigen, welche
Eindrücke der spätere Präsident der USA von Deutschland gewann. Seine
Deutschland- und Europapolitik und auch seine Berliner Rede aus dem Jahr
1963 sind erst vor diesem Hintergrund richtig zu verstehen.
“Ich sagte gestern, ich würde meinem Nachfolger eine Mitteilung mit der
Aufschrift hinterlassen: ‘Bei Mutlosigkeit öffnen.’ Und darin werden nur
drei Worte stehen: ‘Geh nach Deutschland!’ Vielleicht werde ich diesen
Brief eines Tages selbst aufmachen.” John F. Kennedy, 1963
Die Deutschen sind wirklich zu gut
John F. Kennedy im "Dritten Reich": 1937, 1939 und 1945 hat Amerikas späterer Präsident Hitlers Deutschland besucht. Jetzt werden seine Briefe ...
FAZ Mai 2013
- il caso
- il caso
Nei suoi diari di viaggio, il ventenne John F. Kennedy annotava: «Il fascismo è la cosa giusta per la Germania e per l’Italia, il comunismo per la Russia e la democrazia per l’America e l’Inghilterra»
Quell’elogio del nazifascismo nelle lettere del ventenne JFK
In un libro le annotazioni choc del futuro presidente degli Usa in viaggio in Italia e Germania «Hitler? È fatto della stoffa con cui si fanno le leggende»Quell’elogio del nazifascismo nelle lettere del ventenne JFK
La stampa 16/05/2013
Libro svela un giovane Kennedy che lodava il fascismo ed era affascinato da Hitler
Libro svela un giovane Kennedy che lodava il fascismo ed era affascinato da Hitler
Un
libro pubblicato in Germania contiene documenti inediti che
svelerebbero il fascino esercitato da Hitler e dal fascismo su JFK
quando era poco più che un ventenneNico Di Giuseppe
- il Giornale Gio, 16/05/2013
Von Harald Jähner Frankfurter Rundschau 17. Mai 2013
Il giovane Jfk (di nuovo) affascinato da Hitler
Sconcerto per le rivelazioni di un libro in Germania. Come 18 anni fa di Caterina Soffici il Fatto 18.5.13
Ci sono notizie che nel dubbio è meglio darle due volte. Sai mai che qualche superstite veltroniano se la fosse persa. E così ieri i giornali rilanciavano con grande indignazione e una certa soddisfazione che Jfk, l’icona liberal per eccellenza, il presidente americano più amato citato e criticato della storia, era stato affascinato da Hitler.
Peccato che questo tormento-ne, come tanti altri sulle sue amanti, le spie, la sua morte, i complotti e via elencando, esca periodicamente e non si sa neppure se sia una bufala metropolitana, una leggenda plausibile o una verità storica comprovata. Di storico ci sono alcune frasi, citate ieri dal Frankfurter Algemeine Zeitung, che anticipava un libro di prossima pubblicazione in Germania: John F. Kennedy. Fra i tedeschi. Diari e lettere, a cura dello storico Oliver Lubrich. Sono annotazioni su un diario del giovane Kennedy, rampollo della privilegiata famiglia, buona istruzione e buone frequentazioni, che viene inviato in Europa per farsi le ossa e spedire delle corrispondenze giornalistiche in patria. Il primo agosto del 1945 Kennedy scrive a proposito di Hitler: “La sconfinata ambizione per il suo paese lo ha reso una minaccia per la pace del mondo. Eppure aveva qualcosa di misterioso nel suo modo di vivere e nel suo modo di morire, che gli sopravviverà e che crescerà. Era della stoffa di cui sono fatte le leggende”.
NELL’ESTATE del 1937, sempre in Europa per le sue corrispondenze, annotava anche “Non vi è alcun dubbio che questi dittatori (riferito a Mussolini e Hitler, ndr) nei loro Paesi, grazie alle loro efficaci propagande, siano più amati che fuori. I tedeschi sono davvero troppo bravi. Perciò ci si mette tutti insieme contro di loro, per proteggersi”. E non paiono delle frasi così filo-naziste. Ma tant’è. L’agenzia Ansa che riporta il testo scrive anche che lo stesso studioso Lubrich è convinto che Kennedy non provasse ammirazione per il dittatore nazista: “Io non credo che Kennedy ammirasse Hitler e soprattutto non la sua politica. Più che altro ci si trova qui di fronte a quello che Susan Sontag ha descritto come ‘fascinazione del fascismo’. Kennedy tenta di capire questa fascinazione, che Hitler evidentemente continuava a emanare”. Questo il giudizio di un neolaureato 28enne sul Führer che era morto il 30 aprile, quindi tre mesi prima. Grande prospettiva storica non poteva averne. Quindi, mentre i giornali titolano “Jfk sedotto da Hitler”, il curatore del libro da cui si evince la seduzione, dice che non lo ammirava e tanto-meno la sua politica. Ma tant’è. La cosa ancora più divertente è che le stesse frasi (fatta franca la traduzione, ovviamente) erano già state rivelate nel 1995, in un libro che fece discutere negli States: Prelude to a leadership, The European Diary of John F. Kennedy con prefazione di Hugh Sidney, cronista della rivista Time, nonché autore di una dettagliata biografia di Kennedy uscita nel 1963, tre mesi prima dell’assassinio del presidente. Nel libro venivano pubblicate le stesse annotazioni che escono “inedite” a 18 anni di distanza. Sono stralci di appunti e di corrispondenze e di lettere conservate da Deirdre Henderson, allora sua segretaria, diventata poi una accesa repubblicana. I figli di Jfk, John e Caroline, tentarono di bloccare la pubblicazione dei diari e ci fu una vertenza legale con Al Regnery, editore di area conservatrice. La famiglia sosteneva che la pubblicazione non fosse autorizzata. Cosa riportavano questi diari? Le stesse frasi choc. Kennedy cioè scriveva che “con gli anni Hitler emergerà dall’oblio che lo circonda per diventare una delle figure più significative della storia”.
MA NON È FINITA qui. Di una spia nazista che sarebbe stata un grande amore di Jfk parla un libro del 1992 a firma di Nigel Hamilton, esperto della dinastia del Massachusetts, il quale aveva rivelato di questa presunta storia tra Jack e una tale Inga Arvad, bellezza teutonica presentata nel 1941 al futuro presidente americano dalla sorella Kathleen. Lui la chiamava Inga Binga e lei Fagiolino di Boston. Il libro si intitolava Una gioventù avventata e raccontava il colpo di fulmine del 24enne ufficiale che serviva nell’Intelligence del Navy infatuato della donna, più matura di lui e che aveva relazioni con le gerarchie naziste. Se anche fosse, non pare un grande affaire.
Il tormentone filonazista nella demolizione del mito kennediano trova un altro capitolo molto pascolato nella figura di Joseph Kennedy, il capostipite. Ambasciatore americano a Londra all’inizio della Seconda guerra mondiale si dice che fosse un ammiratore di Hitler. Di certo fu sempre un sostenitore della linea morbida verso la Germania hitleriana, era contrario all’entrata in guerra americana e diede per scontato il rapido crollo della Gran Bretagna. Ma non sempre le colpe dei padri ricadono sui figli. O almeno, aspettiamo delle prove storiche e traduzioni attendibili per dare un giudizio.
Il viaggio
Il futuro presidente democratico, a fine anni 30, viaggiò in Europa tra Londra e Berlino Tornò con sentimenti di ammirazione per Hitler e il fascismo
il Fatto 26.5.13
L’ULTIMO LIBRO Il tema delle simpatie naziste di JFK è un classico delle biografie quasi quanto quello sulle sue amanti. L’ultimo capitolo è il libro John F. Kennedy. Fra i tedeschi. Diari e lettere a cura dello storico Oliver Lubrich, in cui il futuro presidente degli Stati Uniti, a proposito di Hitler, annota: “La sconfinata ambizione per il suo paese lo ha reso una minaccia per la pace del mondo. Eppure aveva qualcosa di misterioso nel suo modo di vivere e nel suo modo di morire, che gli sopravviverà e che crescerà. Era della stoffa di cui sono fatte le leggende”. Le stesse frasi, tuttavia, erano già state rivelate nel 1995, in un libro che fece discutere negli Usa: Prelude to a leadership, The European Diary of John F. Kennedy con prefazione di Hugh Sidney, biografo di Kennedy e cronista della rivista Time.
Il giovane Kennedy, Hitler e l’America del “club dei ricchi”
Stupore per le “simpatie” naziste di JFK Ma si dimentica che l’intero corpo diplomatico Usa, scelto fra le grandi famiglie, simpatizzava per il regimedi Furio Colombo il Fatto 23.5.13
La signora Roosevelt mi guarda, sistemandosi sulle spalle la mantellina di lana: “Che cosa c’era di sbagliato nelle relazioni fra l’America e il mondo? Faccia conto di sentire della musica con una cattiva radio. La diplomazia era affidata a uomini ricchi che non si preoccupavano neppure di conoscere la lingua o la cultura del Paese di cui si stavano occupando. Ma tenga conto di quest’altro motivo: una educazione conservatrice incoraggia il conformismo, e il conformismo è capace di crescere smisuratamente, funziona più delle leggi, produce la più rischiosa delle censure quando la gente arriva al punto da sentire il silenzio giusto e necessario. Lei mi dice di essere sempre rimasto stupito per la domanda che le rivolgono decine di americani, se non siano stati migliori per voi i tempi di Mussolini. Tenga conto che, per la maggior parte, si tratta di repubblicani e di ricchi che hanno la sensibilità che hanno e, quando viaggiano, vedono le persone che vedono”. Sotto la vetrina di una bacheca, nello studio del presidente, mi fa vedere la pagina di un giornale attaccata con puntine da disegno: “Cristiani, sveglia! Il gruppo di Roosevelt e degli ebrei sovietici è alle porte. I giudei tengono le staffe, e il cavallo comunista calpesta il nostro Paese”.
Sto citando dalle pagine di un mio libro (L’America di Kennedy, Feltrinelli, 1964 ). In quel libro il primo capitolo è dedicato a due incontri con Eleanor Roosevelt, nel 1961, ad Hyde Park, la residenza di campagna del presidente del New Deal, e nell’appartamento della 74a strada, a New York. Il primo argomento della nostra conversazione era stato: perché una buona parte della classe dirigente americana provava una certa simpatia per Hitler e per Mussolini persino negli anni di governo di un presidente ritenuto e giudicato “di sinistra” o addirittura “comunista”? Come poteva esserci pregiudizio anti ebraico nell’America che, poco dopo avrebbe guidato una guerra mondiale contro il nazismo, il fascismo e l’ossessione militarista giapponese? L’occasione di riparlare di quell’incontro mi è offerta dall'articolo di Caterina Soffici (il Fatto Quotidiano, 18 maggio) “Il giovane JFK (di nuovo) affascinato da Hitler”. Mi serve per aggiungere alcune notizie alle sue riflessioni intelligenti e accurate sul libro appena pubblicato in Germania John F. Kennedy fra i tedeschi, diari e lettere a cura dello storico Oliver Lubrich.
IL PUNTO FORTE di quel libro sembra essere la scoperta di sentimenti di ammirazione e persino di attrazione del giovane Kennedy per Hitler e il suo regime, ma anche per il fascismo italiano. Molti lettori ricorderanno quante volte si è parlato, in passato, delle simpatie naziste di Joseph Kennedy, il capo dinastia della grande e sfortunata famiglia, che in quegli anni è stato ambasciatore americano a Londra e – come ricorda Soffici –
“fu sostenitore della linea morbida verso la Germania hitleriana”. Ma la scena cambia drammaticamente se si allarga l’inquadratura sui rapporti fra Stati Uniti ed Europa in quegli anni, o meglio fra Dipartimento di Stato e diplomazia americana da un lato e l’evolversi dei fatti in Europa dall’altro. Ma anche dentro l’America di quegli anni. Una deformazione di immagine ci è sempre stata data dall’ossessione della storiografia americana degli ultimi decenni a far luce sempre e soltanto sui Kennedy. Il loro presunto filo-nazismo si vende bene, attrae attenzione, induce gli autori a soddisfare la domanda e gli editori a pretenderla. Già negli anni 90, quando molti Kennedy importanti erano ancora in vita (da Ted, il senatore, a Jean Kennedy Smith, l’altra anima politica della famiglia che diventerà poi ambasciatrice di Clinton a Dublino) si diceva che le case editrici, anche le più serie, volevano sapere, di fronte alla proposta di un libro sui Kennedy, se c’erano nomi di nuove amanti del presidente o di nuovi spunti su simpatie per Hitler. E ne facevano la condizione per pubblicare. Non è solo una chiacchiera, e spiega perché i due tipi di “citazione” tornino continuamente in ogni testo, per quanto serio sia lo storico. Per esempio, nel libro di cui stiamo parlando gli ingredienti richiesti ci sono tutti: da un lato ci sono frasi, annotazioni, lettere, e conversazioni sulla “magnetica personalità di Hitler” che “lascerà un segno nella Storia”. Dall’altro compare una nuova e inedita amante che è anche agente segreto nazista. Si direbbe che, con il passare degli anni, la storiografia kennediana si fa sempre più carico delle alte spese dell’editoria e quindi del dovere di fare ampio uso dell’additivo scandalistico, una specie di ogm che si autoriproduce in certi libri di storia. Il fatto che dovrebbe interessare, però, non è se le parti roventi di questo moltiplicarsi di biografie siano vere o fondate. Ormai sanno tutti che le amanti di Kennedy sono una lista libera e che basta il supporto di una cartolina ritrovata per aggiungere un nome, meglio se in odore di spionaggio. Invece il riferimento al nazismo è creato con il gesto deliberato di restringere la scena solo sui Kennedy e possibilmente solo sul presidente. Poiché JFK è una leggenda, è immensamente utile attribuirgli la frase dedicata a Hitler “Eppure aveva qualcosa di misterioso che gli sopravviverà. Era la stoffa di cui sono fatte le leggende”. Ma ecco il trucco, che è anche un fatto incredibile e finora ben poco studiato: tutto il Dipartimento di Stato (nell’America di Roosevelt!) era una sorta di “club dei ricchi” temporaneamente in politica, e gran parte della diplomazia, che era allo stesso tempo quasi sempre di carriera, quasi sempre prescelta fra le grandi famiglie del tempo, simpatizzava per il nazismo. Il trucco finalmente viene scoperto dallo storico Erik Larson, con il suo Il giardino delle bestie Berlino 1934 (Neri Pozza 2012). È un saggio dedicato a William E. Dodd, primo ambasciatore americano insediato da Roosevelt nella Berlino nazista, unico “povero” tra consoli e ambasciatori (era professore di Storia moderna a Chicago) che però era amico del presidente e, due decenni prima, si era laureato in Germania. La sua è la storia di un continuo conflitto, tra prese in giro del “club dei ricchi”, archiviazione dei suoi documenti sul progressivo inferocirsi del nazismo e sull’inizio e l’esplodere delle persecuzioni razziali, rapporti ignorati sui suoi incontri con Hitler e la trasformazione, anche psicologica e umana (o disumana) del dittatore.
DODD OSA tenere un discorso di esaltazione della democrazia nel salone della Camera di Commercio tedesco americana, davanti a Göring e a Himmler, spiegando che l’abbandono di quel percorso porta alla guerra. “Continui così e scriva direttamente a me”, lo incoraggia il presidente e la signora Roosevelt mi ha fatto vedere le molte lettere (tutte scritte a mano) fra il capo della Casa Bianca – lei diceva “mio marito” – e l’ambasciatore a Berlino che odiava il nazismo e prevedeva la guerra. Ma “Il club dei ricchi”, di fronte alle proteste hitleriane, si è scusato con Hitler per il discorso di Dodd sulla democrazia. E mentre Dodd era a Washington proprio per incontrare Roosevelt, il suo “incaricato d’“affari” ha accettato l’invito alla notte di Norimberga. È apparso accanto a Hitler di fronte alla folla delirante, prima grande rappresentazione della tragedia.
Per questo ho citato un frammento della conversazione con Eleanor Roosevelt durante la lontana visita ad Hyde Park. Solo lei aveva l’autorità per concludere: “Vede? Questa è la destra. Al club dei ricchi piace. C’è sempre un Club dei ricchi. Non ci resta che sperare nei cittadini. Che scelgano sempre di stare dalla parte della democrazia”.
Il giovane Jfk (di nuovo) affascinato da Hitler
Sconcerto per le rivelazioni di un libro in Germania. Come 18 anni fa di Caterina Soffici il Fatto 18.5.13
Ci sono notizie che nel dubbio è meglio darle due volte. Sai mai che qualche superstite veltroniano se la fosse persa. E così ieri i giornali rilanciavano con grande indignazione e una certa soddisfazione che Jfk, l’icona liberal per eccellenza, il presidente americano più amato citato e criticato della storia, era stato affascinato da Hitler.
Peccato che questo tormento-ne, come tanti altri sulle sue amanti, le spie, la sua morte, i complotti e via elencando, esca periodicamente e non si sa neppure se sia una bufala metropolitana, una leggenda plausibile o una verità storica comprovata. Di storico ci sono alcune frasi, citate ieri dal Frankfurter Algemeine Zeitung, che anticipava un libro di prossima pubblicazione in Germania: John F. Kennedy. Fra i tedeschi. Diari e lettere, a cura dello storico Oliver Lubrich. Sono annotazioni su un diario del giovane Kennedy, rampollo della privilegiata famiglia, buona istruzione e buone frequentazioni, che viene inviato in Europa per farsi le ossa e spedire delle corrispondenze giornalistiche in patria. Il primo agosto del 1945 Kennedy scrive a proposito di Hitler: “La sconfinata ambizione per il suo paese lo ha reso una minaccia per la pace del mondo. Eppure aveva qualcosa di misterioso nel suo modo di vivere e nel suo modo di morire, che gli sopravviverà e che crescerà. Era della stoffa di cui sono fatte le leggende”.
NELL’ESTATE del 1937, sempre in Europa per le sue corrispondenze, annotava anche “Non vi è alcun dubbio che questi dittatori (riferito a Mussolini e Hitler, ndr) nei loro Paesi, grazie alle loro efficaci propagande, siano più amati che fuori. I tedeschi sono davvero troppo bravi. Perciò ci si mette tutti insieme contro di loro, per proteggersi”. E non paiono delle frasi così filo-naziste. Ma tant’è. L’agenzia Ansa che riporta il testo scrive anche che lo stesso studioso Lubrich è convinto che Kennedy non provasse ammirazione per il dittatore nazista: “Io non credo che Kennedy ammirasse Hitler e soprattutto non la sua politica. Più che altro ci si trova qui di fronte a quello che Susan Sontag ha descritto come ‘fascinazione del fascismo’. Kennedy tenta di capire questa fascinazione, che Hitler evidentemente continuava a emanare”. Questo il giudizio di un neolaureato 28enne sul Führer che era morto il 30 aprile, quindi tre mesi prima. Grande prospettiva storica non poteva averne. Quindi, mentre i giornali titolano “Jfk sedotto da Hitler”, il curatore del libro da cui si evince la seduzione, dice che non lo ammirava e tanto-meno la sua politica. Ma tant’è. La cosa ancora più divertente è che le stesse frasi (fatta franca la traduzione, ovviamente) erano già state rivelate nel 1995, in un libro che fece discutere negli States: Prelude to a leadership, The European Diary of John F. Kennedy con prefazione di Hugh Sidney, cronista della rivista Time, nonché autore di una dettagliata biografia di Kennedy uscita nel 1963, tre mesi prima dell’assassinio del presidente. Nel libro venivano pubblicate le stesse annotazioni che escono “inedite” a 18 anni di distanza. Sono stralci di appunti e di corrispondenze e di lettere conservate da Deirdre Henderson, allora sua segretaria, diventata poi una accesa repubblicana. I figli di Jfk, John e Caroline, tentarono di bloccare la pubblicazione dei diari e ci fu una vertenza legale con Al Regnery, editore di area conservatrice. La famiglia sosteneva che la pubblicazione non fosse autorizzata. Cosa riportavano questi diari? Le stesse frasi choc. Kennedy cioè scriveva che “con gli anni Hitler emergerà dall’oblio che lo circonda per diventare una delle figure più significative della storia”.
MA NON È FINITA qui. Di una spia nazista che sarebbe stata un grande amore di Jfk parla un libro del 1992 a firma di Nigel Hamilton, esperto della dinastia del Massachusetts, il quale aveva rivelato di questa presunta storia tra Jack e una tale Inga Arvad, bellezza teutonica presentata nel 1941 al futuro presidente americano dalla sorella Kathleen. Lui la chiamava Inga Binga e lei Fagiolino di Boston. Il libro si intitolava Una gioventù avventata e raccontava il colpo di fulmine del 24enne ufficiale che serviva nell’Intelligence del Navy infatuato della donna, più matura di lui e che aveva relazioni con le gerarchie naziste. Se anche fosse, non pare un grande affaire.
Il tormentone filonazista nella demolizione del mito kennediano trova un altro capitolo molto pascolato nella figura di Joseph Kennedy, il capostipite. Ambasciatore americano a Londra all’inizio della Seconda guerra mondiale si dice che fosse un ammiratore di Hitler. Di certo fu sempre un sostenitore della linea morbida verso la Germania hitleriana, era contrario all’entrata in guerra americana e diede per scontato il rapido crollo della Gran Bretagna. Ma non sempre le colpe dei padri ricadono sui figli. O almeno, aspettiamo delle prove storiche e traduzioni attendibili per dare un giudizio.
Il viaggio
Il futuro presidente democratico, a fine anni 30, viaggiò in Europa tra Londra e Berlino Tornò con sentimenti di ammirazione per Hitler e il fascismo
il Fatto 26.5.13
L’ULTIMO LIBRO Il tema delle simpatie naziste di JFK è un classico delle biografie quasi quanto quello sulle sue amanti. L’ultimo capitolo è il libro John F. Kennedy. Fra i tedeschi. Diari e lettere a cura dello storico Oliver Lubrich, in cui il futuro presidente degli Stati Uniti, a proposito di Hitler, annota: “La sconfinata ambizione per il suo paese lo ha reso una minaccia per la pace del mondo. Eppure aveva qualcosa di misterioso nel suo modo di vivere e nel suo modo di morire, che gli sopravviverà e che crescerà. Era della stoffa di cui sono fatte le leggende”. Le stesse frasi, tuttavia, erano già state rivelate nel 1995, in un libro che fece discutere negli Usa: Prelude to a leadership, The European Diary of John F. Kennedy con prefazione di Hugh Sidney, biografo di Kennedy e cronista della rivista Time.
Il giovane Kennedy, Hitler e l’America del “club dei ricchi”
Stupore per le “simpatie” naziste di JFK Ma si dimentica che l’intero corpo diplomatico Usa, scelto fra le grandi famiglie, simpatizzava per il regimedi Furio Colombo il Fatto 23.5.13
La signora Roosevelt mi guarda, sistemandosi sulle spalle la mantellina di lana: “Che cosa c’era di sbagliato nelle relazioni fra l’America e il mondo? Faccia conto di sentire della musica con una cattiva radio. La diplomazia era affidata a uomini ricchi che non si preoccupavano neppure di conoscere la lingua o la cultura del Paese di cui si stavano occupando. Ma tenga conto di quest’altro motivo: una educazione conservatrice incoraggia il conformismo, e il conformismo è capace di crescere smisuratamente, funziona più delle leggi, produce la più rischiosa delle censure quando la gente arriva al punto da sentire il silenzio giusto e necessario. Lei mi dice di essere sempre rimasto stupito per la domanda che le rivolgono decine di americani, se non siano stati migliori per voi i tempi di Mussolini. Tenga conto che, per la maggior parte, si tratta di repubblicani e di ricchi che hanno la sensibilità che hanno e, quando viaggiano, vedono le persone che vedono”. Sotto la vetrina di una bacheca, nello studio del presidente, mi fa vedere la pagina di un giornale attaccata con puntine da disegno: “Cristiani, sveglia! Il gruppo di Roosevelt e degli ebrei sovietici è alle porte. I giudei tengono le staffe, e il cavallo comunista calpesta il nostro Paese”.
Sto citando dalle pagine di un mio libro (L’America di Kennedy, Feltrinelli, 1964 ). In quel libro il primo capitolo è dedicato a due incontri con Eleanor Roosevelt, nel 1961, ad Hyde Park, la residenza di campagna del presidente del New Deal, e nell’appartamento della 74a strada, a New York. Il primo argomento della nostra conversazione era stato: perché una buona parte della classe dirigente americana provava una certa simpatia per Hitler e per Mussolini persino negli anni di governo di un presidente ritenuto e giudicato “di sinistra” o addirittura “comunista”? Come poteva esserci pregiudizio anti ebraico nell’America che, poco dopo avrebbe guidato una guerra mondiale contro il nazismo, il fascismo e l’ossessione militarista giapponese? L’occasione di riparlare di quell’incontro mi è offerta dall'articolo di Caterina Soffici (il Fatto Quotidiano, 18 maggio) “Il giovane JFK (di nuovo) affascinato da Hitler”. Mi serve per aggiungere alcune notizie alle sue riflessioni intelligenti e accurate sul libro appena pubblicato in Germania John F. Kennedy fra i tedeschi, diari e lettere a cura dello storico Oliver Lubrich.
IL PUNTO FORTE di quel libro sembra essere la scoperta di sentimenti di ammirazione e persino di attrazione del giovane Kennedy per Hitler e il suo regime, ma anche per il fascismo italiano. Molti lettori ricorderanno quante volte si è parlato, in passato, delle simpatie naziste di Joseph Kennedy, il capo dinastia della grande e sfortunata famiglia, che in quegli anni è stato ambasciatore americano a Londra e – come ricorda Soffici –
“fu sostenitore della linea morbida verso la Germania hitleriana”. Ma la scena cambia drammaticamente se si allarga l’inquadratura sui rapporti fra Stati Uniti ed Europa in quegli anni, o meglio fra Dipartimento di Stato e diplomazia americana da un lato e l’evolversi dei fatti in Europa dall’altro. Ma anche dentro l’America di quegli anni. Una deformazione di immagine ci è sempre stata data dall’ossessione della storiografia americana degli ultimi decenni a far luce sempre e soltanto sui Kennedy. Il loro presunto filo-nazismo si vende bene, attrae attenzione, induce gli autori a soddisfare la domanda e gli editori a pretenderla. Già negli anni 90, quando molti Kennedy importanti erano ancora in vita (da Ted, il senatore, a Jean Kennedy Smith, l’altra anima politica della famiglia che diventerà poi ambasciatrice di Clinton a Dublino) si diceva che le case editrici, anche le più serie, volevano sapere, di fronte alla proposta di un libro sui Kennedy, se c’erano nomi di nuove amanti del presidente o di nuovi spunti su simpatie per Hitler. E ne facevano la condizione per pubblicare. Non è solo una chiacchiera, e spiega perché i due tipi di “citazione” tornino continuamente in ogni testo, per quanto serio sia lo storico. Per esempio, nel libro di cui stiamo parlando gli ingredienti richiesti ci sono tutti: da un lato ci sono frasi, annotazioni, lettere, e conversazioni sulla “magnetica personalità di Hitler” che “lascerà un segno nella Storia”. Dall’altro compare una nuova e inedita amante che è anche agente segreto nazista. Si direbbe che, con il passare degli anni, la storiografia kennediana si fa sempre più carico delle alte spese dell’editoria e quindi del dovere di fare ampio uso dell’additivo scandalistico, una specie di ogm che si autoriproduce in certi libri di storia. Il fatto che dovrebbe interessare, però, non è se le parti roventi di questo moltiplicarsi di biografie siano vere o fondate. Ormai sanno tutti che le amanti di Kennedy sono una lista libera e che basta il supporto di una cartolina ritrovata per aggiungere un nome, meglio se in odore di spionaggio. Invece il riferimento al nazismo è creato con il gesto deliberato di restringere la scena solo sui Kennedy e possibilmente solo sul presidente. Poiché JFK è una leggenda, è immensamente utile attribuirgli la frase dedicata a Hitler “Eppure aveva qualcosa di misterioso che gli sopravviverà. Era la stoffa di cui sono fatte le leggende”. Ma ecco il trucco, che è anche un fatto incredibile e finora ben poco studiato: tutto il Dipartimento di Stato (nell’America di Roosevelt!) era una sorta di “club dei ricchi” temporaneamente in politica, e gran parte della diplomazia, che era allo stesso tempo quasi sempre di carriera, quasi sempre prescelta fra le grandi famiglie del tempo, simpatizzava per il nazismo. Il trucco finalmente viene scoperto dallo storico Erik Larson, con il suo Il giardino delle bestie Berlino 1934 (Neri Pozza 2012). È un saggio dedicato a William E. Dodd, primo ambasciatore americano insediato da Roosevelt nella Berlino nazista, unico “povero” tra consoli e ambasciatori (era professore di Storia moderna a Chicago) che però era amico del presidente e, due decenni prima, si era laureato in Germania. La sua è la storia di un continuo conflitto, tra prese in giro del “club dei ricchi”, archiviazione dei suoi documenti sul progressivo inferocirsi del nazismo e sull’inizio e l’esplodere delle persecuzioni razziali, rapporti ignorati sui suoi incontri con Hitler e la trasformazione, anche psicologica e umana (o disumana) del dittatore.
DODD OSA tenere un discorso di esaltazione della democrazia nel salone della Camera di Commercio tedesco americana, davanti a Göring e a Himmler, spiegando che l’abbandono di quel percorso porta alla guerra. “Continui così e scriva direttamente a me”, lo incoraggia il presidente e la signora Roosevelt mi ha fatto vedere le molte lettere (tutte scritte a mano) fra il capo della Casa Bianca – lei diceva “mio marito” – e l’ambasciatore a Berlino che odiava il nazismo e prevedeva la guerra. Ma “Il club dei ricchi”, di fronte alle proteste hitleriane, si è scusato con Hitler per il discorso di Dodd sulla democrazia. E mentre Dodd era a Washington proprio per incontrare Roosevelt, il suo “incaricato d’“affari” ha accettato l’invito alla notte di Norimberga. È apparso accanto a Hitler di fronte alla folla delirante, prima grande rappresentazione della tragedia.
Per questo ho citato un frammento della conversazione con Eleanor Roosevelt durante la lontana visita ad Hyde Park. Solo lei aveva l’autorità per concludere: “Vede? Questa è la destra. Al club dei ricchi piace. C’è sempre un Club dei ricchi. Non ci resta che sperare nei cittadini. Che scelgano sempre di stare dalla parte della democrazia”.
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