domenica 13 ottobre 2013

Sfumato il Sacro Soglio, Massimo Cacciari si candida a Sindaco d'Europa. Con l'endorsement di Eugenio Scalfari


L’Europa ostaggio della statolatria
di Massimo Cacciari Repubblica 13.10.13

«I PICCOLI Stati europei sono destinati a divenire in breve tempo, sotto l’irresistibile spinta del grande traffico e commercio verso un’ultima frontiera, economicamente insostenibili. Già il solo denaro costringerà l’Europa a stringersi insieme in un’unica potenza». È un frammento di Nietzsche del 1885 — “profezia” condivisa da molti dei grandi europei del XIX secolo, che avevano imparato a guardare al di là delle colonne d’Ercole. Questo “destino” sembra essere giunto a una sua conclusione — anche se neppure lo sguardo di un Nietzsche avrebbe potuto immaginare attraverso quali immense tragedie. Ma seguire il senso della realtà storica non è che una parte dell’agire politico. Non è mai esistita né mai esisterà potenza soltanto economica. Ed è alla necessaria svolta verso l’unità politica che l’Europa sembra essersi arenata.
Le difficoltà di ordine tecnico-pratico sono enormi — ma c’è da ritenere che l’impasse derivi soprattutto dall’incapacità di definire una idea di Europa all’altezza della crisi globale. L’unità politica è stata pensata “estrapolando” dalla forma e dalla storia degli Stati nazionali. Si è proceduto sul terreno ideale e teorico della “ben fondata” terra del passato ius publicum europaeum, proprio quando tale terra viene ogni giorno di più terremotata dai processi di globalizzazione. La forma-Stato implica per sua natura una dinamica essenzialmente centralizzatrice, la costituzione di potenti burocrazie, l’insofferenza verso ogni “corpo intermedio”. Ma mai l’Europa potrà essere statolatrica. L’unità avrebbe dovuto essere concepita in senso radicalmente federalistico — ma nessuna classe dirigente europea, nessun partito in Europa esprimevano o esprimono una cultura federalista.
Il tema del federalismo implica quello della democrazia. Anzitutto: chi devono essere i cittadini di questa democrazia? Qui bisogna attingere alla “radice” romana: il popolo europeo è formato da tutti coloro che sono unitiiuris consensu et utilitatis communione, non solo dall’obbedienza alla legge, ma dal consenso per essa, non solo dal perseguire ciascuno il proprio utile, ma dal riconoscere che ciò è reso possibile soltanto attraverso la “comunione” con gli altri. Nessuna idea di cittadinanza su base etnica, religiosa o anche di lingua può essere coerente con una dimensione di grande potenza. Le grandi potenze sono arcipelaghi di tradizioni e culture, di interessi e di fini, che solo la legge e l’utilitas consentono di governare. Mettere a tacere questo intrinseco pluralismo della storia europea è mettere a morte l’Europa.
Ma esso va, appunto, governato. È la sua ricchezza che genera sempre la possibilità del conflitto. E solo gli organismi decrepiti temono il conflitto in quanto tale. Ma il conflitto produce quando è costituente ogni volta di ordini nuovi e più avanzati. E perché questo avvenga debbono esistere istituzioni capaci di comprenderne il senso, di interpretarlo, e di assumerlo al loro stesso interno come fattore di trasformazione. È necessario un Governo in grado di decidere, che non può ridursi a “esecutivo” di defatiganti procedure svolgentesi nel seno delle vecchie sovranità. E altrettanto impraticabile l’idea di un Governo europeo “esecutivo” di un Parlamento davvero legislatore. È questa la più irrealistica tra tutte le estrapolazioni in sede comunitaria della nostra storia passata. Occorre definire con precisione gli ambiti di competenza. Io vedo il Parlamento come grande sede di espressione e difesa della sovranità popolare, una sorta di tribunato. E infine, in base al principio federale, andrà affermato come pilastro dell’Unione il principio di sussidiarietà — e cioè l’autogestione effettiva dei Paesi europei su tutte le questioni che al loro livello possono essere efficacemente affrontate.
E tra le questioni da affrontare a livello nazionale, per fare il più tragico degli esempi, non vi può essere certo l’immigrazione (termine con il quale mascheriamo una catastrofe epocale: il fatto che un intero continente preme contro l’altra sponda del Mediterraneo, per motivi economici, demografici, culturali, profondi e irreversibili). Può esistere Europa senza Mediterraneo? Può esservi Europa senza il convergente conflitto tra le sue dimensioni, quella mediterranea, quella carolingia e quella orientale? Oggi regna dovunque timore e tremore per tali confronti. E viene allora il dubbio: forse il tramonto dell’Europa (nel suo “piccolo destino”, dettato dalle grandi potenze del tempo, quelle tecnico-economico- finanziarie) è il segno del tramonto in essa della forza dell’agire politico — troppo stanchi, dopo secoli, per “rivoluzionarci” di nuovo. Ma nel mondo la rinuncia è impossibile — impossibile esser “lasciati in pace”, e chi lo spera finisce semplicemente con l’essere travolto.

Il dialogo Scalfari-Cacciari “Ecco la democrazia che vogliamo per l’Europa”
“La partecipazione non è solo il voto”di Michele Smargiassi Repubblica 14.10.13

MESTRE Più Roma di Cicerone che Atene di Pericle. Un governo e non un «esecutivo », un parlamento- tribuno dei popoli, e mille comunità autogovernate. Con questa democrazia inedita il continente che ha inventato la democrazia classica può sostenere la sfida dei poteri e degli imperi della globalizzazione: un’idea di Europa che «ancora non esiste, ma è necessaria o perirà» esce dal dialogo tra Eugenio Scalfari, fondatore diRepubblica, e il filosofo Massimo Cacciari, chiusura dei tre giorni della Repubblica delle Idee, al teatro Toniolo diMestre.
CACCIARI. L’Europa non può che essere democratica, ma cosa è democrazia oggi? Una parolaspugna che tutto assorbe e tutto respinge. Dobbiamo articolare un modello di democrazia nuovo per salvarne l’idea. All’Europa serve una democrazia che decide rapidamente e in modo competente, per reggere la sfida delle potenze globali e dei poteri metastatuali, e una sacrosanta partecipazione del popolo che continuiamo a dire sovrano e che si sente sempre meno sovrano. È possibile risolvere questa equazione?
SCALFARI. Il guaio di questo dialogo è che io la penso al 99 per cento come Cacciari, quindi cercherò un’angolazione diversa. Ha ragione Massimo quando dice che reinventare una democrazia per l’Europa è molto difficile, se non altro perché qui si parlano molte lingue, ed è un problema costruire una democrazia partecipata su storie culturali diversissime. Gli Stati Uniti non ebbero il problema della lingua, ma anche per loro il passaggio da una confederazione di Stati separati a una federazione fu un processo arduo, che costò una guerra civile con più vittime dei morti americani nelle due guerre mondiali. Il superamento degli Stati nazionali non è cosa semplice. Noi attualmente, salvo alcune cessioni di sovranità nella sfera economica, come il fiscal compact e la Bce (che nonostante i suoi poteri non è una vera banca centrale, perché non ha di fronte un governo) non abbiamo istituzioni democratiche davvero federali.
CACCIARI. Che l’Europa economica debba farsi è un destino, non una scelta, o collassiamo tutti. Ma il passaggio dalla moneta unica a forme più alte di integrazione politica è stato affrontato male, a volte nel ridicolo come nel caso del dibattito sulla Costituzione europea. Ma ora che abbiamo buttato il cuore oltre l’ostacolo, con l’euro, dobbiamo seguirlo con la politica, a meno che non deleghiamo ogni potere alle strutture burocratico- amministrative, ma allora sarebbe difficile pensare all’Europa come a una democrazia. Il salto politico è necessario, ma è anche possibile? Questo è il punto. Di certo non serve all’Europa un governo che sia solo la risultante delle decisioni maturate nelle vecchie sovranità statali, ma neppure uno schema centralista: l’Europa è policentrica, e ogni sogno napoleonico di ridurla adunumè fallito. Serve grande immaginazione istituzionale, un po’ di utopia, o di eutopia. Serve un governo effettivo, che su alcune delimitate materie non dipenda da una dialettica parlamentare classica. E poi serve un parlamento che sia una tribuna della sovranità popolare. Come intersecare questi due livelli? Questione affascinante... Infine, un ultimo livello, autenticamente federale: ci sono infiniti problemi, servizi, funzioni fondamentali che vanno decisi al livello più basso possibile, con grande autonomia e capacità di autogoverno dellecomunità locali.
SCALFARI. La democrazia partecipata è qualcosa di più che il voto, che pure è fondamentale. I modelli di democrazia sono diversi, nella storia. Venezia, grande repubblica marinara, era una democrazia? Direi di no, c’era un senato di famiglie aristocratiche. Eppure in un certo senso sì, perché dentro l’oligarchia senatoriale non la pensavano tutti allo stesso modo. La democrazia era dentro l’oligarchia. Dirai: ma il popolo? Ma anche nei Comuni italiani la dialettica del bene comune si giocava in cerchie ristrette, a Firenze dove si riunivano i cittadini? Nella sala dei Cinquecento, il nome dice tutto. Nell’agorà dell’Atene classica scendevano solo i cittadini liberi, Pericle ne teneva conto ma poi decideva da solo, era un saggio democratico dittatore, eppure viene ricordato nei libri di storia come il vertice della democrazia greca. Bene, una democrazia dentro un’oligarchia può essere un suggerimento per il governo del continente in cui viviamo, soprattutto se, hai ragione Massimo, il massimo di democrazia si realizza poi al livello più basso, quello dei comuni. Man mano che si sale è sempre più una democrazia indiretta, attraverso la delega, e questo produce sempre democrazie che vivono nelle oligarchie.
CACCIARI. La strada è giusta, democrazia all’interno di oligarchie, con un parlamento che dovrà controllare davvero, con un potere di veto su scelte lesivedegli interessi dei popoli. E qui più che all’Atene di Pericle mi rifarei alla Roma letta dal nostro Machiavelli: a quella repubblica romana governata da patrizi che però non muovevano un dito se il tribuno della plebe non voleva. E poi c’è il livello, enorme, delle decisioni sociali e territoriali, da affidare alle comunità locali, secondo uno schema federalista tenuto insieme da una nuova idea di cittadinanza. Anche qui non è quello ateniese il modello: lì si era cittadini per identità di
genos, erano tutti della stessa stirpe e della stessa lingua. Può essere così oggi? No. Anche qui c’insegna qualcosa la cittadinanza romana, il concetto assolutamente attuale di persone che condividono la stessa legge e una utilità comune. Anche i dibattiti sull’immigrazione devono ripartire da qui. Bisogna essere radicali: solo questa cittadinanza può essere accettabile sul piano europeo. Se costruisci su questa idea, metà della democrazia effettiva c’è già.
SCALFARI. Una cosa è passata inosservata sui giornali, eppure capovolge la storia europea: il discorso di Hollande contro i nazionalismi. Fatto dal leader del paese che finora è stato il più ostile a un’idea di Europa politica sovranazionale. Se anche la Francia della grandeur si sta spostando, qualche passo avanti si può fare.
CACCIARI. Ci saranno conflitti, il requisito è disporre di un comune sentire, che evita la guerra civile. Le guerre civili non distrussero Roma, perché Roma aveva in comune Roma. Nei comuni medievali era lacivitaschenessuno voleva distruggere. Cosa riuscirà a mettere in comune l’Europa?
SCALFARI. Nel dialogo che ho avuto con papa Francesco, a un certo punto mi ha detto: «Il proselitismo è una sciocchezza, dobbiamo solo ascoltare gli altri, e capirli». Credo che abbia qualcosa a che vedere con le cose che abbiamo discusso oggi.

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