domenica 6 ottobre 2013
Tradotti due saggi "postcoloniali" dell'allievo di Pierre Bourdieu Abdelmalek Sayad
Risvolto
Abdelmalek Sayad può essere considerato uno
dei pensatori più originali della sociologia francese del Novecento,
studioso dei processi migratori e della società coloniale, ha fornito un
apporto fondamentale all'analisi dei processi di subordinazione e di
esclusione sociale. Il volume raccoglie due testi inediti in Italia del
sociologo algerino Abdelmalek Sayad, il primo è un'intervista rilasciata
al periodico brasiliano Mana, il secondo un saggio pubblicato sulla
rivista Peuples méditerranéens. Il volume contiene anche due saggi di
Ahmed Boubeker e Abdellali Hajjat, oltre ad un'introduzione di Gennaro
Avallone e Salvo Torre, che riflettono sull'opera di Sayad e sul suo
apporto alla costruzione del dibattito postcoloniale.
Scorribande ai confini dell'esclusione
Un attento studioso delle migrazioni alla ricerca di una democrazia senza Stato
ARTICOLO - Fabio Raimondi il manifesto 2013.10.05 - 11
Gennaro Avallone e Salvo Torre hanno pubblicato un prezioso libretto dal
titolo Abdelmalek Sayad: per una teoria postcoloniale delle migrazioni
(Il Carrubo, pp. 128, euro 11) che, oltre a due testi inediti in
italiano del grande sociologo algerino, allievo e collega di Pierre
Bourdieu, scomparso nel 1998, contiene un'ampia presentazione dei due
curatori del percorso intellettuale e politico di Sayad assieme agli
interventi di Ahmed Boubeker e Abdellali Hajjat. Il nodo attorno a cui
ruotano i materiali qui raccolti è il nesso tra Stato, nazione e
immigrazione , titolo di un saggio del 1983 che anticipa i più noti La
doppia pena e l'immigrazione. Riflessioni sul pensiero di Stato del 1996
(pubblicato in aut-aut, n˚ 275) e Immigrazione e «pensiero di Stato»
del 1998 (pubblicato nella raccolta La doppia assenza , Cortina) che
riprendono l'idea di Bourdieu, secondo cui «affrontare una riflessione
sullo Stato significa esporsi a fare proprio un pensiero di Stato»,
perché «uno dei poteri principali dello Stato è quello di produrre
(specialmente attraverso la scuola) le categorie di pensiero che
applichiamo spontaneamente a qualunque cosa, a cominciare dallo Stato
stesso» ( Ragioni pratiche ). Ciò non significa attribuire allo Stato il
monopolio della produzione delle categorie del pensiero né affermare
che pensiamo solo attraverso quelle, ma significa mettere in luce il
ruolo performante dello Stato in ambito cognitivo, e non solo in quello
simbolico o dei rapporti di forza. La politica coloniale francese in
Algeria, campo d'osservazione privilegiato per Sayad e Bourdieu,
costituisce il referente storico su cui poggiano le riflessioni di
entrambi; il punto dunque è capire cosa resta ancora di valido di questa
impostazione in epoca postcoloniale, a fronte di processi profondi di
riarticolazione e ridefinizione delle prerogative dello Stato, il
gigante dai piedi d'argilla più che il cristallo inscalfibile auspicato
da qualcuno, il cui essere mortale non lo rende per questo già morto.
L'essenza dello Stato e del potere, per Sayad, è il pensare per confini
che, dividendo tra un interno e un esterno politicamente connotati
(cittadino/non-cittadino, libero/assoggettato, politico/non-politico),
diventano pietre angolari di un ordine basato sulle appartenenze
(nazionali, geografiche, linguistiche, storiche o altro). Così però
Sayad rischia di fare dello Stato un dispositivo astorico, presente,
nonostante le specificità, anche ad Atene e a Sparta o nelle città
medioevali e rinascimentali, quasi fosse una costante antropologica,
naturalizzando il dispositivo che ha il compito di naturalizzare la
divisione arbitraria tra interno ed esterno: attraverso l'idea di
nazione, ad esempio. Tra inclusione e esclusione L'attualità della
teoria di Sayad è duplice: innanzitutto, essa mostra il permanere delle
categorie del pensiero di Stato anche dopo la decolonizzazione quali
pilastri per la costruzione degli Stati postcoloniali - un effetto di
lunga durata dovuto all'assimilazione forzata delle strutture cognitive,
materiali e simboliche imposte dai colonizzatori; secondariamente, ma
non per importanza, essa mostra la versatilità dello Stato, capace di
riprodursi di là dall'idea di nazione, perché «non è necessario che lo
spazio da difendere coincida con i confini nazionali della tradizione
otto-novecentesca: il principio di esclusione si applica
all'appartenenza istituzionale o ideale riconosciuta». Anche nella
società capitalistica globalizzata, infatti, dentro e fuori quel che
resta (a volte molto) degli Stati-nazione (si pensi all'Europa, che si
comporta come uno Stato pur non essendolo formalmente e senza essere una
nazione; o al desiderio di uno Stato da cui sgorgano gli immaginari
confini padani), si costruiscono nuovi muri e si tracciano nuovi confini
d'ogni tipo per provare a governare il rapporto tra inclusione ed
esclusione. L'idea che guida lo Stato è che, grande o piccolo,
immaginario o reale, cognitivo o simbolico che sia il «territorio»
recintato , c'è una «proprietà» da difendere. Una proprietà materiale,
simbolica e cognitiva che è tutt'uno con l'identità, immaginaria ma
reale, di coloro che la difendono dall'espropriazione e dalla
contaminazione. Se, però, da un lato, è vero che i difensori del
fantasma della purezza spesso non si rendono conto che «le frontiere
sono ormai mescolate» e che non riconoscerlo significa essere «stranieri
alla propria storia» (Boubeker), in altri casi è proprio perché ne sono
consapevoli che cercano di riattivare la macchina cognitiva, militare e
simbolica (che funziona a paranoia più che a paura), che cerca di
gestire i confini e la mobilità attraverso di essi stabilendo «come si
entra regolarmente al suo interno». Lo Stato, come una setta o una
cosca, si basa sull'assimilazione di un'identità. È solo esibendola che
si può entrare. Ecco perché «libere migrazioni e liberi migranti sono
possibili solo facendo saltare il pensiero di Stato» ed ecco perché i
migranti «sono il limite della democrazia europea». Finché ci sono
migranti (emigrantiimmigrati), la democrazia è incompiuta, perché finché
ci sono confini c'è Stato. Ci vorrebbe, dunque, una democrazia senza
Stato , del tutto fuori moda rispetto ai mille particolarismi e ai mille
Leviatani che spuntano ovunque nel mondo e che, procedendo per
esclusione o per integrazione, «l'ultimo rifugio ideologico del
colonialismo», configurano «il continuo processo di costruzione e
ricostruzione della nazione». Decolonizzare l'Europa e i paesi coloniali
(vecchi e nuovi) è un'esigenza che va di pari passo con la
deconolizzazione dei colonizzati, perché, come mostra Sayad «da
immigrato», «lo spazio coloniale» è presente anche nelle «città
francesi» e dà loro la forma. La decolonizzazione non è conclusa, ma è
«un processo incompiuto, che continua a esprimersi, conflittualmente»,
in ogni luogo e a ogni livello della società postcoloniale, dove vecchi e
nuovi colonizzatori e vecchi e nuovi colonizzati vengono a contatto
quotidianamente. La menzogna delle istituzioni È vero, notano
giustamente i curatori, che «Sayad non valorizza la libertà dei corpi
dei migranti postcoloniali», perché legge in essi solo «l'eredità del
rapporto sociale coloniale», pur cogliendo «la portata politica
sovversiva della migrazione» (Boubeker), come dimostra la sua attenzione
per le forme di organizzazione politica degli immigrati algerini in
Francia (Hajjat). Evidenziando i lasciti coloniali nei comportamenti e
nei pensieri dei migranti, Sayad ha impostato, ma non portato a termine,
una «sociologia della liberazione» che dovrebbe consentire ai migranti
di «ripensare se stessi in termini nuovi», perché «ribellarsi contro la
menzogna di Stato significa ribellarsi contro se stessi» (Boubeker). È
proprio perché i migranti modificano con i loro movimenti i territori di
origine e di approdo, bucando e trasformando i confini che li
definiscono, che le categorie di inclusione ed esclusione vengono
riattivate, anche se in forme differenziali, sia da parte di chi le
vorrebbe più rigide sia da parte di chi le vorrebbe più dialettiche o
porose. È in questa contraddizione che Sayad ha scavato e ci sollecita a
proseguire.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento