Tuttavia, senza comprendere come queste tendenze emergano nell'ambito di una fase determinata del conflitto politico-sociale e di rapporti di forza sfavorevoli alle classi subalterne - rapporti talmente sfavorevoli da indurre un intenso conflitto orizzontale nell'ambito di ogni classe, ma in particolar modo nei segmenti inferiori del mercato de lavoro - queste parole rimangono vuote. In questo senso, del tutto difensiva e propagandistica è l'analisi de l'Unità, nella quale si rinuncia a indicare le gravissime responsabilità delle socialdemocrazie europee [SGA].
Alberto Martinelli:
Mal di nazione. Contro la deriva populista, Università Bocconi Editore
Risvolto
Nella storia dei paesi europei, il Nazionalismo ha svolto un ruolo
fondamentale nel bene e nel male. Da una parte è stato l’ideologia che
ha portato alla fondazione dei moderni stati-nazione e alla nascita di
forti identità di legami. Dall’altra ha alimentato lo sviluppo di
pregiudizi, atteggiamenti aggressivi e guerre.
Nel corso della storia, e specificatamente dopo la seconda guerra mondiale, come emerge dall’affresco di Alberto Martinelli in Mal di nazione. Contro la deriva populista” (Università Bocconi Editore 2013, 152 pagg., 16 euro)
, il nazionalismo ha assunto nuove forme, pur rimanendo cruciale
l’obiettivo, con la creazione di una comunità europea, di porre fine
alle guerre civili che avevano afflitto il continente per secoli.
La stringente analisi e discussione degli studi più importanti sul
tema della nazione e sul nazionalismo porta l’autore all’individuazione
di un fenomeno centrale nel dibattito contemporaneo: il
nazional-populismo.
Partiti e movimenti nazional populisti sono in crescita in diversi
Paesi dell’Unione europea e atteggiamenti antieuropeisti si diffondono
tra intellettuali e leader politici di diverso orientamento. “Lo stato
nazionale è allora la sola istituzione reale a fronte delle utopie
sopranazionali” come si legge nella prefazione dello stesso autore.
“Considero” afferma Martinelli, “la rinascita del nazionalismo
populista e il diverso, ma di fatto complementare, arretramento critico
di questi intellettuali, una seria sfida al progetto, per me
irrinunciabile, di costruzione degli stati Uniti d’Europa”
E’ chiaro che si tratta di un progetto estremamente complesso e
carico di problematiche e contraddizioni, su cui fa leva proprio il
nazional-populismo.
Da qui le proposte per sviluppare una identità europea e riformare le
istituzioni europee, prendendo peraltro atto delle divergenze tra i
paesi dell’Eurozona e gli altri e quindi della necessità di procedere
con il metodo delle cooperazioni rafforzate verso un assetto a geometria
variabile.
Alberto Martinelli è professore emerito di Scienza politica e
Sociologia presso l’Università degli studi di Milano, dove è stato
preside della facoltà di Scienze politiche dal 1987 al 1999.
Presidente dell’International Social Science Council. Dal 1998 al 2002 è
stato presidente della International Sociological Association. Membro
dell’Istituto lombardo Accademia di Scienze e Lettere. Tra i suoi libri
recenti L’Occidente allo specchio (2011), La modernizzazione (2010),
La democrazia globale (2008).
La pesantezza delle nazioni
Martinelli: la cittadinanza europea antidoto al populismo
di Antonio Carioti Corriere 13.11.13
Se
un tempo per l’Europa si aggirava il fantasma del comunismo, evocato da
Karl Marx e Friedrich Engels, oggi lo spettro che turba i sonni della
classe dirigente è piuttosto quello del populismo. Si tratta di una
minaccia per il processo d’integrazione europea — scrive il politologo
Alberto Martinelli nel suo nuovo saggio — dal volto «multiforme e
variabile», che non risulta affatto «facile da definire».
Per la
verità gli studi sull’argomento non mancano: dal classico Populismo e
democrazia di Yves Mény e Yves Surel (Il Mulino), al lavoro di Marco
Tarchi L’Italia populista (Il Mulino), dedicato alla situazione attuale
del nostro Paese, fino al recentissimo Il populismo di Loris Zanatta
(Carocci, pp. 166, e 14), che collega invece il fenomeno a un’«antica
visione del mondo». Senza dimenticare i libri riguardanti singoli
movimenti, quali il pamphlet Clic. Grillo, Casaleggio e la demagogia
elettronica (Cronopio, pp. 146, e 12) pubblicato in questi giorni da
Alessandro Dal Lago. Ma il libro di Martinelli, come suggerisce il
titolo stesso Mal di nazione. Contro la deriva populista (Università
Bocconi Editore), si distingue per la stretta connessione che individua
tra i movimenti antieuropei e la radicata permanenza delle identità
nazionali nell’Unione. Un legame che generalmente in Italia non è stato
enfatizzato perché da noi appare più tenue che altrove, per la vocazione
localista della Lega e per le forti venature cosmopolite della
partecipazione digitale vagheggiata da Beppe Grillo.
Martinelli
invece insiste sul ruolo dello Stato nazionale, da lui definito «la
principale innovazione istituzionale della società europea moderna,
accanto al capitalismo di mercato e all’università di ricerca». Si
tratta di un prodotto relativamente recente, perché connesso «alla
formazione dell’economia industriale, della società di massa, e
all’espansione della comunicazione culturale». Non siamo insomma di
fronte a un ferrovecchio in disuso: la retorica patriottica può sembrare
bolsa e antiquata, ma la politica, l’identità, il rapporto tra
cittadino e istituzioni continuano ad avere una dimensione nazionale di
gran lunga prevalente.
Martinelli è un convinto fautore
dell’integrazione europea, boccia l’idea di restituire quote di
sovranità ai Paesi membri dell’Ue. Ma riconosce che il populismo fa leva
su contraddizioni reali, rese stridenti dall’effetto della crisi
finanziaria globale sull’euro. Chi geme sotto i colpi della recessione,
vive come un grave sopruso il fatto che decisioni destinate a incidere
pesantemente sul proprio tenore di vita vengano assunte da organismi
privi di legittimazione democratica, espressione dell’algida tecnocrazia
di Francoforte e Bruxelles.
In effetti, ammette l’autore, è già
un’operazione acrobatica «costruire una unione sopranazionale usando gli
Stati nazionali come elementi costitutivi». Ma diventa ancora più
difficile nel momento in cui alla cessione di sovranità verso il livello
europeo, fortemente accelerata dalla nascita della moneta unica, non
corrisponde affatto un paragonabile «trasferimento d’impegno e lealtà»
delle persone appartenenti ai singoli Paesi verso le istituzioni
comunitarie. Senza una vera cittadinanza europea, il populismo ha la
strada spianata.
Martinelli chiede quindi d’investire nella
creazione di una nuova identità, intensificando gli scambi culturali,
omogeneizzando i percorsi formativi, attribuendo consistenza politica
alla dimensione europea. Auspica per tutti i giovani tre mesi di
servizio civile obbligatorio in un Paese dell’Unione Europea diverso da
quello di nascita, ipotizza referendum di portata continentale «sulle
questioni più importanti dell’agenda politica», invoca l’armonizzazione
fiscale, «l’emissione di eurobond» e anche «l’elezione diretta dei
leader del governo europeo».
Proposte molto radicali, temperate però
con il suggerimento di prendere atto che non tutti gli Stati membri
sono disposti a incamminarsi su questa via. Si tratterebbe allora di
procedere, secondo Martinelli, «verso un assetto a geometria variabile»,
in cui i Paesi dell’euro realizzerebbero «un federalismo innovativo»,
mentre gli altri (tipo la Gran Bretagna) rimarrebbero loro partner in
«una più ampia associazione di libero scambio», in cui potrebbero più
facilmente entrare nuovi Stati come la Turchia.
Ciò comporta però
una riforma profonda delle istituzioni comunitarie, con la costruzione
di un’architettura assai complicata. Che rapporto avrebbero i Paesi
esterni all’euro con gli organi di governo dell’Unione? In che misura
contribuirebbero al bilancio? Parteciperebbero all’elezione di un
vertice comunitario legittimato democraticamente, oppure uscirebbero
anche dal Parlamento di Strasburgo? Martinelli non entra in questi
dettagli, ma ammette le difficoltà del percorso da lui tracciato. È
ovvio infatti che esso andrebbe definito attraverso negoziati complessi e
presumibilmente molto lunghi. Mentre l’ondata del populismo antieuropeo
bussa alla porta adesso.
L’alleanza anti-Europa. Populisti di tutta Europa uniti
LePen, la marcia populista
Oggi il via al «partito» nazionalista. E il Front National corteggia Grillo
di Paolo Soldini l’Unità 13.11.13
Nasce
la Grande Alleanza dei populisti antieuropei. Una formazione
sovranazionale xenofoba, anti-islamica, nazionalista che si prepara a
chiedere il ritorno alle sovranità dei singoli stati dell’Unione europea
e l’abolizione dell’euro. I promotori sono Marine Le Pen e Geert
Wilders, l’esponente del sedicente Partito per la Libertà (Pvv) olandese
che ha appoggiato, per breve tempo, il governo di centrodestra nei
Paesi Bassi sconfitto qualche mese fa proprio per la sua deriva
estremistica.
L’obiettivo dichiarato dei due è di costituire il
nucleo di un grande gruppo antieuropeo che, sotto il nome (provvisorio)
di «Alleanza europea per la libertà» (Eaf) dovrebbe raccogliere tutti i
partiti e i movimenti di quella ispirazione nel Parlamento europeo che
verrà eletto nel maggio dell’anno prossimo.
ATTRAZIONE A DESTRA
La
presidente del Front National, Marine Le Pen, e il capo del Pvv
presenteranno il loro progetto questo pomeriggio, e hanno scelto una
rispettabile sede istituzionale: la sala stampa del Parlamento olandese
all’Aja. L’iniziativa sta sollevando molto rumore nei Paesi Bassi, anche
perché alla convocazione delle due star del populismo avrebbero
risposto esponenti politici da tutta Europa, fra gli altri i capi del
Partito democratico svedese, il belga Filip Dewinter del partito
indipendentista Vlaams Belang, Heinz-Christian Strache, capo della Fpö
austriaca.
La portavoce della tedesca «Alternative für Deutschland»
ha fatto sapere che, pur invitato, il partito non sarà rappresentato
oggi all’Aja, ma nel futuro parlamento europeo esponenti di AfD con ogni
probabilità ci saranno, visto e considerato che la soglia minima per
eleggere parlamentari europei in Germania è del 3 per cento, ben più
abbordabile del 5% mancato per poco dagli «alternativi» alle recenti
elezioni federali tedesche.
Anche il britannico Nigel Farage, per il
momento, terrebbe fuori dalla partita il suo Partito indipendentista
Ukip. Ma Le Pen e Wilders contano sul fatto che al loro gruppo finiranno
per aderire tutte le formazioni che rifiutano l’euro.
UN OCCHIO AI CINQUE STELLE
E
l’Italia? All’incontro di oggi sarebbero stati invitati anche
rappresentanti della Lega Nord italiana, ma non è stato dato sapere chi
verrà a rappresentarla. Ma i capi in pectore della Grande Alleanza per
quanto riguarda il nostro paese mirano anche ad altro. Nei giorni scorsi
si è parlato insistentemente di «contatti» che sarebbero intercorsi tra
Marine Le Pen e Beppe Grillo e lei stessa ha confessato di considerare
con «interesse» il movimento italiano Cinque Stelle. Inoltre Grillo,
qualche mese fa, non si è fatto scrupolo di mostrare le proprie simpatie
per Nigel Farage e per le sue «coraggiose» posizioni sull’euro. Ma la
rinascita imminente di Forza Italia e la spaccatura del Pdl suscitano
certamente appetiti anche in quel campo.
Le riserve di Silvio
Berlusconi nei confronti dell’euro sono pubbliche e note da tempo e gli
accenti populistici ed antieuropei hanno libero campo dentro la destra
berlusconiana e hanno contribuito non poco ad alienarne le simpatie
dentro il Partito popolare europeo. In ogni caso, si fa notare a
Bruxelles, è molto improbabile che la vecchia-nuova Forza Italia possa
aderire, nella prossima legislatura europea, al gruppo del Ppe. Sulla
destra dei Popolari nella prossima assemblea non dovrebbe esserci
granché.
Un gruppo cui aderirono esponenti della destra italiana fu
«Identità, Tradizione, Sovranità», ma ebbe vita breve perché andò a
picco dopo le dichiarazioni con cui Alessandra Mussolini accusò il
popolo rumeno in blocco di aver «assunto la criminalità come stile di
vita», sparata che provocò le conseguenti rimostranze dei parlamentari
di quella nazionalità.
ESTREMISTI ALLA LARGA
I promotori
dell’iniziativa anti europea sono (per il momento) ben attenti a evitare
contatti con partiti e movimenti esplicitamente razzisti e violenti
come Alba Dorata in Grecia, gli estremisti di Jablok in Ungheria e i
neonazisti della Repubblica federale.
Ma è evidente la loro
intenzione di pascolare liberamente nelle praterie delle scontentezze
diffuse nell’opinione pubblica di tutti i paesi dell’Unione europea per
le debolezze delle risposte dell’Europa alla crisi economica. Nei mesi
scorsi non sono mancati i richiami al rischio che la demagogia e il
populismo condizionino pesantemente le prossime elezioni europee.
Ecco, l’appuntamento di oggi arriva a confermare quei timori. Staremo a vedere se si concretizzerà qualcosa.
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