mercoledì 13 novembre 2013

Uno studio sul nazional-populismo



Tuttavia, senza comprendere come queste tendenze emergano nell'ambito di una fase determinata del conflitto politico-sociale e di rapporti di forza sfavorevoli alle classi subalterne - rapporti talmente sfavorevoli da indurre un intenso conflitto orizzontale nell'ambito di ogni classe, ma in particolar modo nei segmenti inferiori del mercato de lavoro - queste parole rimangono vuote. In questo senso, del tutto difensiva e propagandistica è l'analisi de l'Unità, nella quale si rinuncia a indicare le gravissime responsabilità delle socialdemocrazie europee [SGA].

Alberto Martinelli: Mal di nazione. Contro la deriva populista, Università Bocconi Editore

Risvolto

Nella storia dei paesi europei, il Nazionalismo ha svolto un ruolo fondamentale nel bene e nel male. Da una parte è stato l’ideologia che ha portato alla fondazione dei moderni stati-nazione e alla nascita di forti identità di legami. Dall’altra ha alimentato lo sviluppo di pregiudizi, atteggiamenti aggressivi e guerre.
Nel corso della storia, e specificatamente dopo la seconda guerra mondiale, come emerge dall’affresco di Alberto Martinelli in Mal di nazione. Contro la deriva populista” (Università Bocconi Editore 2013, 152 pagg., 16 euro) , il nazionalismo ha assunto nuove forme, pur rimanendo cruciale l’obiettivo, con la creazione di una comunità europea, di porre fine alle guerre civili che avevano afflitto il continente per secoli.
La stringente analisi e discussione degli studi più importanti sul tema della nazione e sul nazionalismo porta l’autore all’individuazione di un fenomeno centrale nel dibattito contemporaneo: il nazional-populismo.


Partiti e movimenti nazional populisti sono in crescita in diversi Paesi dell’Unione europea e atteggiamenti antieuropeisti si diffondono tra intellettuali e leader politici di diverso orientamento. “Lo stato nazionale è allora la sola istituzione reale a fronte delle utopie sopranazionali” come si legge nella prefazione dello stesso autore.
“Considero” afferma Martinelli, “la rinascita del nazionalismo populista e il diverso, ma di fatto complementare, arretramento critico di questi intellettuali, una seria sfida al progetto, per me irrinunciabile, di costruzione degli stati Uniti d’Europa”
E’ chiaro che si tratta di un progetto estremamente complesso e carico di problematiche e contraddizioni, su cui fa leva proprio il nazional-populismo.

Da qui le proposte per sviluppare una identità europea e riformare le istituzioni europee, prendendo peraltro atto delle divergenze tra i paesi dell’Eurozona e gli altri e quindi della necessità di procedere con il metodo delle cooperazioni rafforzate verso un assetto a geometria variabile.


Alberto Martinelli è professore emerito di Scienza politica e Sociologia presso l’Università degli studi di Milano, dove è stato preside della facoltà di Scienze politiche dal 1987 al 1999.
Presidente dell’International Social Science Council. Dal 1998 al 2002 è stato presidente della International Sociological Association. Membro dell’Istituto lombardo Accademia di Scienze e Lettere. Tra i suoi libri recenti L’Occidente allo specchio (2011), La modernizzazione (2010), La democrazia globale (2008).





La pesantezza delle nazioni

Martinelli: la cittadinanza europea antidoto al populismo
di Antonio Carioti Corriere 13.11.13


Se un tempo per l’Europa si aggirava il fantasma del comunismo, evocato da Karl Marx e Friedrich Engels, oggi lo spettro che turba i sonni della classe dirigente è piuttosto quello del populismo. Si tratta di una minaccia per il processo d’integrazione europea — scrive il politologo Alberto Martinelli nel suo nuovo saggio — dal volto «multiforme e variabile», che non risulta affatto «facile da definire». 
Per la verità gli studi sull’argomento non mancano: dal classico Populismo e democrazia di Yves Mény e Yves Surel (Il Mulino), al lavoro di Marco Tarchi L’Italia populista (Il Mulino), dedicato alla situazione attuale del nostro Paese, fino al recentissimo Il populismo di Loris Zanatta (Carocci, pp. 166, e 14), che collega invece il fenomeno a un’«antica visione del mondo». Senza dimenticare i libri riguardanti singoli movimenti, quali il pamphlet Clic. Grillo, Casaleggio e la demagogia elettronica (Cronopio, pp. 146, e 12) pubblicato in questi giorni da Alessandro Dal Lago. Ma il libro di Martinelli, come suggerisce il titolo stesso Mal di nazione. Contro la deriva populista (Università Bocconi Editore), si distingue per la stretta connessione che individua tra i movimenti antieuropei e la radicata permanenza delle identità nazionali nell’Unione. Un legame che generalmente in Italia non è stato enfatizzato perché da noi appare più tenue che altrove, per la vocazione localista della Lega e per le forti venature cosmopolite della partecipazione digitale vagheggiata da Beppe Grillo. 
Martinelli invece insiste sul ruolo dello Stato nazionale, da lui definito «la principale innovazione istituzionale della società europea moderna, accanto al capitalismo di mercato e all’università di ricerca». Si tratta di un prodotto relativamente recente, perché connesso «alla formazione dell’economia industriale, della società di massa, e all’espansione della comunicazione culturale». Non siamo insomma di fronte a un ferrovecchio in disuso: la retorica patriottica può sembrare bolsa e antiquata, ma la politica, l’identità, il rapporto tra cittadino e istituzioni continuano ad avere una dimensione nazionale di gran lunga prevalente. 
Martinelli è un convinto fautore dell’integrazione europea, boccia l’idea di restituire quote di sovranità ai Paesi membri dell’Ue. Ma riconosce che il populismo fa leva su contraddizioni reali, rese stridenti dall’effetto della crisi finanziaria globale sull’euro. Chi geme sotto i colpi della recessione, vive come un grave sopruso il fatto che decisioni destinate a incidere pesantemente sul proprio tenore di vita vengano assunte da organismi privi di legittimazione democratica, espressione dell’algida tecnocrazia di Francoforte e Bruxelles. 
In effetti, ammette l’autore, è già un’operazione acrobatica «costruire una unione sopranazionale usando gli Stati nazionali come elementi costitutivi». Ma diventa ancora più difficile nel momento in cui alla cessione di sovranità verso il livello europeo, fortemente accelerata dalla nascita della moneta unica, non corrisponde affatto un paragonabile «trasferimento d’impegno e lealtà» delle persone appartenenti ai singoli Paesi verso le istituzioni comunitarie. Senza una vera cittadinanza europea, il populismo ha la strada spianata. 
Martinelli chiede quindi d’investire nella creazione di una nuova identità, intensificando gli scambi culturali, omogeneizzando i percorsi formativi, attribuendo consistenza politica alla dimensione europea. Auspica per tutti i giovani tre mesi di servizio civile obbligatorio in un Paese dell’Unione Europea diverso da quello di nascita, ipotizza referendum di portata continentale «sulle questioni più importanti dell’agenda politica», invoca l’armonizzazione fiscale, «l’emissione di eurobond» e anche «l’elezione diretta dei leader del governo europeo». 
Proposte molto radicali, temperate però con il suggerimento di prendere atto che non tutti gli Stati membri sono disposti a incamminarsi su questa via. Si tratterebbe allora di procedere, secondo Martinelli, «verso un assetto a geometria variabile», in cui i Paesi dell’euro realizzerebbero «un federalismo innovativo», mentre gli altri (tipo la Gran Bretagna) rimarrebbero loro partner in «una più ampia associazione di libero scambio», in cui potrebbero più facilmente entrare nuovi Stati come la Turchia. 
Ciò comporta però una riforma profonda delle istituzioni comunitarie, con la costruzione di un’architettura assai complicata. Che rapporto avrebbero i Paesi esterni all’euro con gli organi di governo dell’Unione? In che misura contribuirebbero al bilancio? Parteciperebbero all’elezione di un vertice comunitario legittimato democraticamente, oppure uscirebbero anche dal Parlamento di Strasburgo? Martinelli non entra in questi dettagli, ma ammette le difficoltà del percorso da lui tracciato. È ovvio infatti che esso andrebbe definito attraverso negoziati complessi e presumibilmente molto lunghi. Mentre l’ondata del populismo antieuropeo bussa alla porta adesso. 


L’alleanza anti-Europa. Populisti di tutta Europa uniti
LePen, la marcia populista
Oggi il via al «partito» nazionalista. E il Front National corteggia Grillo
di Paolo Soldini l’Unità 13.11.13

Nasce la Grande Alleanza dei populisti antieuropei. Una formazione sovranazionale xenofoba, anti-islamica, nazionalista che si prepara a chiedere il ritorno alle sovranità dei singoli stati dell’Unione europea e l’abolizione dell’euro. I promotori sono Marine Le Pen e Geert Wilders, l’esponente del sedicente Partito per la Libertà (Pvv) olandese che ha appoggiato, per breve tempo, il governo di centrodestra nei Paesi Bassi sconfitto qualche mese fa proprio per la sua deriva estremistica.
L’obiettivo dichiarato dei due è di costituire il nucleo di un grande gruppo antieuropeo che, sotto il nome (provvisorio) di «Alleanza europea per la libertà» (Eaf) dovrebbe raccogliere tutti i partiti e i movimenti di quella ispirazione nel Parlamento europeo che verrà eletto nel maggio dell’anno prossimo.
ATTRAZIONE A DESTRA
La presidente del Front National, Marine Le Pen, e il capo del Pvv presenteranno il loro progetto questo pomeriggio, e hanno scelto una rispettabile sede istituzionale: la sala stampa del Parlamento olandese all’Aja. L’iniziativa sta sollevando molto rumore nei Paesi Bassi, anche perché alla convocazione delle due star del populismo avrebbero risposto esponenti politici da tutta Europa, fra gli altri i capi del Partito democratico svedese, il belga Filip Dewinter del partito indipendentista Vlaams Belang, Heinz-Christian Strache, capo della Fpö austriaca.
La portavoce della tedesca «Alternative für Deutschland» ha fatto sapere che, pur invitato, il partito non sarà rappresentato oggi all’Aja, ma nel futuro parlamento europeo esponenti di AfD con ogni probabilità ci saranno, visto e considerato che la soglia minima per eleggere parlamentari europei in Germania è del 3 per cento, ben più abbordabile del 5% mancato per poco dagli «alternativi» alle recenti elezioni federali tedesche.
Anche il britannico Nigel Farage, per il momento, terrebbe fuori dalla partita il suo Partito indipendentista Ukip. Ma Le Pen e Wilders contano sul fatto che al loro gruppo finiranno per aderire tutte le formazioni che rifiutano l’euro.
UN OCCHIO AI CINQUE STELLE
E l’Italia? All’incontro di oggi sarebbero stati invitati anche rappresentanti della Lega Nord italiana, ma non è stato dato sapere chi verrà a rappresentarla. Ma i capi in pectore della Grande Alleanza per quanto riguarda il nostro paese mirano anche ad altro. Nei giorni scorsi si è parlato insistentemente di «contatti» che sarebbero intercorsi tra Marine Le Pen e Beppe Grillo e lei stessa ha confessato di considerare con «interesse» il movimento italiano Cinque Stelle. Inoltre Grillo, qualche mese fa, non si è fatto scrupolo di mostrare le proprie simpatie per Nigel Farage e per le sue «coraggiose» posizioni sull’euro. Ma la rinascita imminente di Forza Italia e la spaccatura del Pdl suscitano certamente appetiti anche in quel campo.
Le riserve di Silvio Berlusconi nei confronti dell’euro sono pubbliche e note da tempo e gli accenti populistici ed antieuropei hanno libero campo dentro la destra berlusconiana e hanno contribuito non poco ad alienarne le simpatie dentro il Partito popolare europeo. In ogni caso, si fa notare a Bruxelles, è molto improbabile che la vecchia-nuova Forza Italia possa aderire, nella prossima legislatura europea, al gruppo del Ppe. Sulla destra dei Popolari nella prossima assemblea non dovrebbe esserci granché.
Un gruppo cui aderirono esponenti della destra italiana fu «Identità, Tradizione, Sovranità», ma ebbe vita breve perché andò a picco dopo le dichiarazioni con cui Alessandra Mussolini accusò il popolo rumeno in blocco di aver «assunto la criminalità come stile di vita», sparata che provocò le conseguenti rimostranze dei parlamentari di quella nazionalità.
ESTREMISTI ALLA LARGA
I promotori dell’iniziativa anti europea sono (per il momento) ben attenti a evitare contatti con partiti e movimenti esplicitamente razzisti e violenti come Alba Dorata in Grecia, gli estremisti di Jablok in Ungheria e i neonazisti della Repubblica federale.
Ma è evidente la loro intenzione di pascolare liberamente nelle praterie delle scontentezze diffuse nell’opinione pubblica di tutti i paesi dell’Unione europea per le debolezze delle risposte dell’Europa alla crisi economica. Nei mesi scorsi non sono mancati i richiami al rischio che la demagogia e il populismo condizionino pesantemente le prossime elezioni europee.
Ecco, l’appuntamento di oggi arriva a confermare quei timori. Staremo a vedere se si concretizzerà qualcosa.

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