lunedì 6 gennaio 2014

Il libro dei miracoli

The book of miracles, a cura di Til-Holger Borchert e Joshua P. Waterman, Taschen, pp. 560, € 99,98).


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1551, sul cielo della Svevia splendono tre soli 

Fenomeni celesti, catastrofi naturali, nascite mostruose: dalla Germania rinascimentale uno straordinario “libro dei miracoli”

Alessandra Iadicicco La Stampa 3 gennaio 2014


«Nell’anno del Signore 1119 una nuvola di frecce e di lance infuocate apparve nel cielo, su tutta la volta celeste. E le stelle caddero dal cielo e quando su di loro fu versata dell’acqua emisero grida strazianti». In queste parole, o nel loro equivalente in antico alto tedesco, risuonano i vagiti della moderna astronomia che emerge dal grembo oscuro del Medioevo e affiora da sotto una fitta coltre di credenze terrifiche e di superstizioni. Le parole sono tratte da un catalogo di mirabilia senza precedenti, un «Libro dei miracoli», il Wunderzeichenbuch: straordinario documento rinascimentale composto in Germania nel XVI secolo, rinvenuto di recente nei circuiti del mercato dell’arte, acquistato nel 2007 a un’asta in Germania dal gallerista londinese James Faber di Bond Street, da questi rivenduto un paio d’anni fa a un collezionista americano e appena pubblicato nella veste lussuosa di una strenna dall’editore Taschen di Colonia (a cura di Til-Holger Borchert e Joshua P. Waterman, pp. 560, € 99,98).
I miracoli di cui il prezioso volume dà conto – fenomeni celesti, catastrofi naturali, scene apocalittiche, nascite mostruose – sono illustrati su 167 fogli di grande formato, dipinti a guazzo o ad acquerello dalla mano di un artista anonimo il quale, più che succubo delle paure del suo tempo, si direbbe sedotto dall’aspetto meraviglioso delle immagini che ritrae. Gli episodi illustrati sono ordinati in sequenza cronologica dalle scene dell’Antico Testamento (il diluvio universale, la separazione del Mar Rosso, il roveto ardente) fino al giorno del giudizio descritto nell’Apocalisse di Giovanni. Il corpo più consistente del lavoro rimanda tuttavia a una quantità di favolose dicerie sul conto di eclatanti accadimenti della storia, ad antiche tradizioni, a fatti registrati nelle cronache medievali e cinquecentesche.
Ogni soggetto reca una data e una precisa localizzazione – per esempio la serie delle dodici nevicate che caddero su Milano nel 1162, o l’invasione di vipere che colpì l’Ungheria, o l’ondata di locuste portata fino in Polonia da un vento che soffiava dalla Turchia -, con uno stile quasi giornalistico, come nel rispetto dell’esigenza di attendibilità di un reportage. Ciò che colpisce è la discrepanza tra la portata incredibile, innegabilmente inquietante dei fenomeni raffigurati, e la curiosità disincantata, quasi scientifica di chi li ha inventariati ricercandoli attraverso i secoli per documentarli con un totale disinteresse verso ogni possibile interpretazione teologica o morale. Che l’autore abbia collezionato prodigi senza credervi? O che, col piglio dissacrante, demistificante del ricercatore, intendesse toglier loro l’aura del miracolo, l’aureola dell’intervento divino? Eppure un alone radioso li avvolge: stemperato a colpi di pennello con smaglianti colori, o disteso con la patina d’oro di cui l’artista fa uso ogni volta che disegna una stella o una cometa.
Gli astri caudati, per dire, che nel 1007, nel 1300 e ancora nel 1500 solcarono il cielo, appaiono spettacolari con la loro scia luminosa, ma non è detto – e appunto non se ne fa cenno – che vadano presi come un segno divino. E il terremoto che con le sue catastrofiche conseguenze – pioggia di fuoco, luci di brace, fauci di balene aperte tra i flutti – si abbatté su Lisbona nel 1531 non è presentato come un castigo. Più difficile guardare con occhi smaliziati il volo dello stormo di draghi che planò in Boemia sulla città di Vogtland nell’ottobre del 1533. Eppure gli appunti che corredano la visione della bestiale epifania sono riportati senza emozioni, come per compilare un verbale: «Ciascuno di essi aveva sul capo una corona, aveva il grugno di un maiale e sul dorso un paio d’ali. Il passaggio durò alcuni giorni. Lo stormo, formato da creature sia grandi sia piccole, come si vede dal disegno, contava circa quattrocento unità».
Passando dalle scene bibliche, accompagnate da citazioni delle Sacre Scritture, ad avvenimenti a lui più vicini, l’autore tende sempre più a redigere le sue glosse come la didascalia di una foto. Anche se non sembra abbia mai eseguito i suoi dipinti come copie dal vero. Con riferimento all’anno domini 1551, per esempio, sotto l’immagine di un ampio paesaggio illuminato contemporaneamente da tre soli, si legge: «Nel mese di marzo, qui in Svevia, si è visto questo fenomeno più di una volta». Il cronista, che riporta i suoi dati sempre col diligente distacco del «relata refero», non tradisce alcuna sorpresa. Eppure in quell’anno doveva trovarsi nei paraggi, stando all’uso che fa dell’avverbio «qui». «Qui in Svevia», «qui ad Augusta».
Proprio là, nella città imperiale e a metà del Cinquecento, il libro pare sia stato composto. James Faber, il gallerista che l’ebbe tra le mani informa come il precedente proprietario lo ritenesse un testo secentesco. Ma grazie alla consulenza di Peter Bower, un esperto di antichi manoscritti, all’analisi delle filigrane della carta, a certe inequivocabili espressioni dell’autore e all’anno di riferimento dell’ultimo episodio illustrato, il 1552, ha retrodatato il Wunderzeichenbuch di un centinaio di anni.
Chi lo avesse commissionato e perché è ignoto. Che ci fosse l’intenzione di trarne un testo di devozione è escluso: Dio vi ha una parte solo nelle prime 15 tavole ispirate alla Bibbia, poi esce di scena e scompare del tutto. Che dovesse essere un libro edificante anche è improbabile, perché non vi è traccia di giudizio, né cenno alla distinzione tra il bene e il male. Un’indagine scientifica? Ma delle visioni fantastiche descritte non si mette in questione la plausibilità, né dei più strabilianti fenomeni naturali si cerca una recondita causalità. Di un compendio di miracoli si tratta. Da contemplare a bocca aperta, come meritano, senza bisogno di spiegazioni. Da riprodurre con accurata precisione artistica: con un’acribia che ricorda le incisioni di Dürer, o di un Holbein, con l’empirismo ipnotizzato di un Brueghel. Con il tocco di un artista alle prese con la composizione di un quadro, o di un intero libro, meraviglioso.

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