lunedì 24 febbraio 2014

Appadurai: antropologia e globalizzazione capitalistica


Il futuro come fatto culturaleArjun Appadurai: Il futuro come fatto culturale. Saggi sulla condizione globale, Raffaello Cortina

Risvolto
Brillante teorico della società contemporanea, Arjun Appadurai propone qui un importante contributo agli studi sulla globalizzazione. Attraverso scritti sulla violenza, la mercificazione, il nazionalismo e il terrore, Appadurai svolge un'ampia indagine sulle genealogie dell'era attuale della globalizzazione.

Non più arcaici retaggi

La nuova antropologia si proietta nel futuro

di Adriano Favole Corriere La Lettura 23.2.14


Le società umane sono legate da una fitta trama di fili che, direttamente o indirettamente, le connettono le une alle altre, sosteneva Arjun Appadurai nel libro del 1996 Modernità in polvere (Raffaello Cortina, 2012). La globalizzazione degli ultimi trent’anni ha accelerato la corrente che percorre le culture, dando vita, allo stesso tempo, a «gobbe» e «ostacoli» che, in alcune parti, ne rallentano i percorsi. Fuor di metafora, la corrente è rappresentata dagli ingenti flussi di merci, persone e soprattutto rappresentazioni e immaginari che si dipanano nell’ecumene globale con sorprendente velocità. Ciò che è rilevante, per Appadurai, non sono tanto i contenuti che viaggiano sulle reti (le reti online del web o le reti offline della comunicazione tradizionale), quanto le forme. Tra queste spiccano la «forma nazione», le costituzioni e la democrazia a livello politico; i giornali, le soap opera e più recentemente i social network a livello mediatico. Anche nelle aree del pianeta considerate più remote e periferiche (dal Nepal alla Papua Nuova Guinea), gli esseri umani oggi «producono località», ovvero costruiscono società e culture posizionate localmente, ma a partire da dialoghi, conflitti e negoziazioni con quei format politici e mediatici che viaggiano senza sosta sulle reti globali. 
Di Appadurai esce il 26 febbraio in Italia Il futuro come fatto culturale. Saggi sulla condizione globale (Raffaello Cortina). Conosciuto a livello internazionale come uno degli autori più importanti nel vasto campo interdisciplinare dei post-colonial studies , Appadurai ha di recente intensificato i legami con il nostro Paese, intervenendo in seminari accademici e in incontri con il pubblico (il suo intervento al Festival Dialoghi sull’Uomo di Pistoia, dal titolo Così vicini, così lontani , è in pubblicazione nel volume a più mani, L’oltre e l’altro , Utet). 
Gentile, affabile ed affabulante, profondo conoscitore di Vico e della storia dei Comuni, sottilmente ironico e pungente, Appadurai incarna la figura «prototipica» dell’antropologo contemporaneo. Un antropologo che viene da «altrove» — l’India — e parla di «noi» e della globalizzazione che ci circonda e ci assedia, dando concretezza a quella reciprocità o inversione di sguardi tanto spesso evocata. L’antropologo che rompe i confini disciplinari e si addentra nei territori dell’economia, della sociologia e dei cultural studies . Lo scrittore che, conforme al clima post-moderno, evita di dare vita a un paradigma teorico forte e onnicomprensivo, ma è capace di mettere a punto concetti («flussi», «produzione di località», «democrazia profonda», «etica della possibilità» contro «etica della probabilità») che aprono nuovi sentieri nelle complesse foreste di significati che ci avvolgono. 
Il futuro come fatto culturale nasce dalla scommessa di rilanciare una teoria e una pratica della modernizzazione, ripartendo da Max Weber. Appadurai comincia però col criticare la modernizzazione «europea» laddove si è connessa al progetto imperialista e laddove ha confuso l’universalismo con l’imposizione delle proprie traiettorie storiche. Occorre, secondo l’antropologo della New York University, tenere ben presente le «sorprese» che la modernizzazione d’ancien régime ci ha riservato: «Il rifiuto della religione di essere sacrificata sul tavolo dello sviluppismo della scienza moderna; la paradossale tendenza delle nuove tecnologie di comunicazione a incoraggiare la differenza culturale invece di rincorrere la somiglianza; la propensione della voce popolare a pretendere sangue, vendetta, guerra ed etnocidio (…) provando in questo modo la falsità delle correlazioni che ci si attendeva tra istituzioni democratiche e crescita della tolleranza e della pazienza come virtù politiche». 
La globalizzazione non ha annullato le diversità culturali, come si era paventato, ma, ugualmente, non ha indebolito le diseguaglianze. Gli slum di Mumbai in cui Appadurai compie le ricerche etnografiche che presenta nel libro sono esemplari. La crescita in tutto il mondo di megalopoli, che assumono l’aspetto di nuove «città-Stato», ha creato grandi sacche di non cittadini, abitanti delle città senza diritto a condividerne le risorse. I poveri di Mumbai abitano baracche o giacigli provvisori, vagano in cerca di cibo e non hanno posti in cui depositare gli escrementi. Le società opulente producono affamati e li costringono a una nudità simbolica e reale nel momento in cui li privano dell’intimità persino nel defecare. 
Il panorama dipinto da Appadurai, tuttavia, non è così fosco. La costruzione di pratiche inclusive e condivise di modernizzazione sarà possibile se gli scienziati sociali, specie gli antropologi, sapranno guardare al futuro. In un’epoca di «pace fredda», caratterizzata da un basso livello di conflittualità internazionale, ma da forti tensioni interne, il discorso sul futuro è stato monopolizzato da economisti e speculatori. L’economia dei disastri (finanziari e ambientali) è un’attività quanto mai lucrosa, basata sul calcolo probabilistico del rischio che qualcosa di grave possa succedere in futuro in qualche parte di mondo . 
Riappropriarsi del futuro inteso come «fatto culturale» significa invece passare da un’etica della probabilità a un’etica della possibilità, guardando alle speranze e alle immagini della «buona vita» che ogni società elabora. L’antropologia ha dato priorità in passato allo studio delle culture come retaggi, alle tradizioni, ai costumi: perlopiù ha camminato con lo sguardo volto all’indietro. È ora di indagare le costruzioni culturali del futuro, le aspirazioni, i progetti, i sogni che germogliano nelle località del mondo globalizzato. A Mumbai sono in primo luogo i poveri a immaginare vie di uscita dalla miseria, a partire dalla loro esperienza, ma anche dalle connessioni con i poveri di altre mega-città, rese possibili dalle nuove tecnologie (il «cosmopolitismo» dei poveri). 
Possibilità, speranza, immaginazione, futuro sono le parole chiave che Appadurai consegna agli studiosi delle nuove generazioni, invitandoli a cogliere «dal basso» l’improvvisazione e la creatività culturale.

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