lunedì 24 febbraio 2014

La sinistra che si è fatta destra

Persino al di là delle intenzioni di Bobbio, che dapprima fu ruffiano ma negli ultimi anni non scherzava [SGA].

Cosa rimane oggi di Destra e sinistra
Daniel Cohn-Bendit 144 24-02-2014 la repubblica 53 

“Innovazione e uguaglianza la mia idea di destra e sinistra nell’Europa della crisi”
Il manifesto di Renzi: “ La lezione di Bobbio è viva”
di Matteo Renzi Repubblica 23.2.14


La sinistra secondo Matteo

Ma Bobbio aveva già risposto a Renzi

di Bruno Gravagnuolo l’Unità 24.2.14




E a venti anni dalla sua esplosione editoriale, Matteo Renzi prova a rileggere Destra e sinistra, il best seller di Norberto Bobbio. Anzi, a riscriverlo. Con un contributo «esegetico» apposto alla nuova edizione del volumetto, ultimato da Bobbio per Donzelli proprio nel febbraio 1994, in piena discesa in campo berlusconiana.
Il saggio del premier, anticipato ieri da Repubblica, è in buona compagnia. Infatti nella nuova edizione approntata da Donzelli compare accanto ai i contributi di Daniel Cohn-Bendit e di Massimo Salvadori, radical-ambientalista il primo, socialdemocratico classico il secondo. 
Ma ciò che lo connota è appunto «l’ambizione » teorica. L’ambizione in Renzi di rivedere integralmente le idee di Norberto Bobbio. E a partire proprio dal sottotitolo del pamphlet che fece scuola: «Ragioni e significati di una distinzione politica». Riassumiamole le ragioni di quella «distinzione», che stavano in una doppia coppia oppositiva: destra/ineguaglianza e sinistra/uguaglianza. Vale a dire che per Bobbio, storicamente e in termini di valori, la destra rappresentava il polo dell’asimmetria tra gli uomini, cioè l’ineguaglianza. Mentre la sinistra quello della simmetria e quindi l’aspirazione a una tendenziale eguaglianza, non «egualitarista», come il filosofo non mancava di ricordare. Ebbene Renzi capovolge un po’ le cose, e nell’apprezzabile tentativo di riattualizzare il Bobbio del 1994, finisce in realtà con lo sbiadirla alquanto, la sua faticata distinzione, se non proprio con il toglierla di mezzo. E che cosa inserisce al posto della coppia oppositiva bobbiana? Subentrano varie coppie concettuali alternative, delineate in via ipotetica dal neo-premier. Ma tali da spiantare il ragionamento originario del filosofo torinese. Vediamole, le coppie di Renzi: conservazione/innovazione, aperto/chiuso, avanti/indietro, movimento/ stagnazione. Ma cita anche Tony Blair, Matteo Renzi. E con lui anche Clinton e i favolosi anni della «terza via», di cui il segretario premier trova gli addentellati nel «socialismo liberale e nell’utopia azionista di Bobbio». Benchè quegli anni e quei nomi, siano stati quelli della grande illusione dell’economia virtuale. Con la fine della distinzione canonica tra banche commerciali e banche d’affari e danza macabra di «derivati», sino allo tsunami del 2008.Emalgrado - oltre al pasticcio e alle bugie delle armi chimiche - il governo Blair sia stato quello che ha fatto della Gran Bretagna il paese bobbianamente più ineguale al mondo (10% della popolazione che detiene il 90% delle ricchezze). In sorprendente continuità con quella che Renzi stesso definisce, criticamente nel suo scritto, «maschera di durezze dell’era Reagan-Thatcher», da superare appunto con la «terza via» (e abbiamo visto come). Ma al di là di tutto questo, che è materia di bilancio per gli storici, qual è il punto di attacco e «revisione» di Renzi, all’idea bipolare destra/ sinistra di Bobbio? Due sono i punti di scenario che inducono Renzi ad accantonare - di fatto - Bobbio: globalizzazione e fine dei «blocchi sociali». Con conseguente irruzione dell’«atomismo sociale»: dell’individualismo di massa senza appartenenze ideologiche o di categoria. E parallelo esplodere nel mondo della questione degli «ultimi» (migranti, emarginati, precari). Da integrare senza «ignavia» e mettendosi al loro servizio. 
Dunque un mix in Renzi di «meriti e bisogni », con ampie citazioni di Papa Francesco, ma con un rifiuto netto di far coincidere necessariamente progresso ed «eguaglianza», innovazione ed emancipazione organizzata dei subalterni. E affidando piuttosto «la missione storica della sinistra» all’inclusione delle «chance». Della cittadinanza allargata sostenuta da innovazione, tecnica e competizione. Nonché da un altro Welfare. Diretto agli individui si suppone, e non più sorretto dalla concertazione tra parti e blocchi sociali, che per Renzi non esistono più (ma in Germania?...). Bene, intanto però una cosa va osservata: Bobbio stesso aveva già previsto questo insieme di obiezioini alla sua distinzione destra/sinistra imperniata sulla «stella polare» dell’eguaglianza. E lo aveva fatto sia nel pamphlet originario, che nelle successive edizioni in risposta ai suoi critici. 
Ecco l’argomento chiave del filosofo: cittadinanza, ambizioni, merito, diversità, diritti (e doveri) richiedono l’espansione della civiltà democratica. Contro le asimmetrie del potere e dell’economia globale. Dunque esigono un rilancio continuo dell’eguaglianza, come modello ideale e stigma identitario della sinistra. Nonché come sostanza stessa del progresso, annotava Bobbio nel citare di continuo il conservatore Tocqueville. Insomma anche la libertà - che assumeva per Bobbio stili di vita e «antropologie» inedite - richiedeva per il filosofo torinese un innesto sostanziale sui «diritti sociali». Come da art. 3 della Costituzione. E in termini di reddito, potere, redistribuzione e diritti spendibili: per far valere la libertà. Inoltre Bobbio osservava - già in quegli anni e in quelle pagine - che l’innovazione del mondo globale non era garanzia di progresso civile, nell’atto stesso in cui si delineava una forbice inaudita di diseguaglianza tra ricchi, poveri e impoveriti su scala planetaria. Di là delle magnifiche e progressive sorti del capitalismo dilagante sulle ceneri del totalitarismo comunista. Dunque è imprescindibile il tentativo di agganciare la moderna sfida dell’eguaglianza alle questioni dell’efficienza e del rilancio produttivo: senza sprechi e privilegi. Ma anche questo Bobbio lo aveva già chiarito: la sinistra è l’incivilimento materiale e morale in lotta contro tutti i privilegi.


Destra e sinistra: “la famigerata distinzione” di Bobbio esiste ancora.
di Noemi Ghetti Altritaliani.net 19.1.14 da Spogli
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Quella irriducibile differenza
In occasione del centenario della nascita, esce la nuova edizione del celebre saggio di Norberto Bobbio Destra e sinistra che offre, a sedici anni dalla prima edizione, suggestioni di forte attualità
di Noemi Ghetti Left 12.3.10 da Spogli
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I due volti della sinistra europea
di Marc Lazar Repubblica 24.2.14

SUBENTRATO a Enrico Letta, Matteo Renzi è diventato l’undicesimo capo di governo o di Stato di sinistra nei ventotto Paesi dell’Unione Europea. Tra questi leader, il presidente della Repubblica francese François Hollande e il nuovo presidente del Consiglio italiano incarnano due figure antinomiche - benché siano entrambi alle prese con dilemmi consimili: i dilemmi che si pongono alla sinistra al potere.
Il primo, sessantenne, ha percorso tutte le tappe del cursus honorum dei politici francesi. Brillante negli studi, accede a una carica di alto funzionario e nel 1979 aderisce al partito socialista di François Mitterrand, che servirà fedelmente. Primo segretario del Ps dal 1997 al 2008, François Hollande è un uomo di partito a tutto tondo. Per restare alla guida del Ps ha realizzato di volta in volta sintesi morbide tra le varie correnti. Condizionato com’era dalle molteplici contraddizioni politiche e ideologiche della sinistra francese, ha dovuto attendere il gennaio scorso - un periodo di crescente impopolarità della sua figura e di degrado della situazione economica e sociale in Francia - per esprimere con chiarezza i propri convincimenti social-liberali. Questo professionista della politica, che ha profonde radici nel suo dipartimento, conosce perfettamente i leader e gli eletti dei partiti e sa tutto dei meccanismi e degli arcani della vita politica. Aveva incentrato la sua campagna sul tema del “presidente normale” proprio quando la congiuntura mondiale, europea e francese erano lontanissime dalla normalità, e le istituzioni della V Repubblica avrebbero avuto bisogno di una personalità forte per poter funzionare al meglio. Poco carismatico, legato alla cultura dell’uguaglianza, François Hollande non è a suo agio nella comunicazione moderna; preferisce le riunioni vecchio stile o i dibattiti con un avversario, nei quali brilla per eloquenza e presenza di spirito e per l’efficacia delle sue battute. Intelligente, molto preparato, scaltro, smaliziato, sa essere duro quando serve. Vero artista della tattica, Hollande simboleggia la figura del politico tradizionale di sinistra persino nell’ineleganza dei suoi completi di taglio scadente, con la cravatta perennemente di traverso.
Matteo Renzi è l’esatto opposto, e proprio per questo affascina e intriga, in Italia come all’estero. Con i suoi trentotto anni, gioca la carta del cambiamento generazionale. È riuscito a presentarsi come l’uomo nuovo, pur essendo entrato in politica appena ventunenne, in seno al Ppi e nei comitati di sostegno a Romano Prodi. Per lui il partito è solo un mezzo, che ha dovuto innanzitutto neutralizzare per strumentalizzarlo d’ora in poi al servizio della sua persona e del suo progetto. Vero animale politico, è in sintonia con le attese di molti italiani, e risponde perfettamente al loro bisogno di un uomo nuovo. La profusione dei qualificativi cui ricorrono giornalisti e analisti per tentare di definirlo dà la misura dell’originalità che rappresenta: “erede a sinistra di Berlusconi”, “leader postberlusconiano”, “post-ideologico”, “anti-politico”, “populista”, “outsider” - e l’elenco non finisce qui. Ma si è anche dimostrato un “killer” - avendo cacciato dal Partito democratico gran parte della vecchia guardia - e un abile manovratore: di fatto non ha esitato a fare il contrario di quanto aveva annunciato in relazione al governo di Enrico Letta, ricorrendo a procedimenti degni del costume di quella prima Repubblica che si compiace di aver conosciuto solo indirettamente. Virtuoso della comunicazione e dei media, appare a suo agio sia in tv che sui social network o nei suoi show all’americana. Ha cura della sua immagine disinvolta, usando e abusando del linguaggio dei giovani; ai completi classici preferisce jeans e giubbotti. Il vasto programma di riforme che annuncia a gran voce stravolge i canoni della sinistra classica - ad esempio sulla questione del mercato del lavoro. Matteo Renzi incarna un centro-sinistra disinibito, pragmatico, innovativo, e rivendica senza turbamenti il primato del leader.
Il paradosso sta nel fatto che al di là delle differenze personali e delle diverse caratteristiche dei rispettivi Paesi, Hollande e Renzi devono fare i conti con sfide analoghe: le tre sfide che ogni formazione di sinistra si trova ad affrontare quando va al potere. Innanzitutto, come governare, soprattutto quando si è privi di esperienza in materia, e sempre esposti al sospetto di scarsa competenza? È la grande domanda che si pone Matteo Renzi; la stessa - tuttora irrisolta - posta anche nel caso di François Hollande, che al pari del suo primo ministro, e nonostante la sua lunga carriera, non era mai stato investito di responsabilità a livello nazionale. In secondo luogo, quale politica adottare? Matteo Renzi e il François Hollande del 2014 sono assai vicini tra loro, sia sui temi economici e sociali che su talune riforme della società. Ma come promulgarle, con quali procedimenti e mezzi d’azione, in funzione di quale narrativa? E infine, come dare nuovo slancio all’Europa in crisi di ispirazione?
Quale dei due - la volpe francese o il giovane lupo italiano - sarà in grado di raccogliere queste sfide nel modo più efficace? L’Italia, la Francia e tutta la sinistra europea sono in attesa, con un misto di ansia e speranza.

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