venerdì 28 febbraio 2014

La mitica "governance" ovvero una struttura di comando intrinsecamente neoliberale

Ales­san­dro Arienzo: La gover­nance, Ediesse, pp. 205, euro 12
Risvolto
Dalla governance globale a quella dell’università, dal la governance d’impresa alla governance dei servizi pubblici, il dibattito politico è ormai segnato dal persistente riferimento a un oggetto oscuro e sfuggente che lascia nell’ombra il «chi» governa «cosa» e «come». Quando si usa la parola governance, sembra si voglia intendere che le cose devono governarsi da sé, magari per favorire un processo di riduzione del ruolo dello Stato e del peso della dimensione pubblica. In questo libro sono tratteggiate le caratteristiche di un «discorso politico» che non solo descrive alcune importanti trasformazioni della forma dello Stato e della relazione tra pubblico e privato, ma propone modalità nuove di governo e di autogoverno delle comunità umane. Collocata nell’odierno dibattito intorno al rapporto tra politica ed economia, la governance che emerge dai documenti istituzionali internazionali svela il volto oscuro di un inedito primato dell’economia sulla politica.



Il dogma dell’austerità in una parola 
Saggi . «Governance» di Alessandro Arienzo per Ediesse. La ricostruzione storica e l’analisi puntale di un modello neoliberista di gestione politica delle società contemporanee

Giuseppe Allegri, il Manifesto 28.2.2014 


È un libro assai utile quello di Ales­san­dro Arienzo su La gover­nance (Ediesse, pp. 205, euro 12). Per­ché per­mette di inda­gare una for­mula con­fusa ed abu­sata, nell’oramai qua­ran­ten­nale domi­nio neo-liberista del capi­ta­li­smo finanziario. 

Il volume fa parte di una col­lana di recente crea­zione. È quella dei «fondamenti», che un gruppo di gio­vani cura­tori pro­muove, con l’editore Ediesse, «per un vasto pub­blico di let­tori curiosi e appas­sio­nati», incro­ciando il «taglio mono­gra­fico» con «l’alta divul­ga­zione». Una sfida note­vole, di que­sti tempi, quella di unire appro­fon­di­mento della ricerca e dif­fu­sione del sapere. Sem­bra sco­mo­dare i cele­bri Libri di base diretti da Tul­lio De Mauro, che Edi­tori Riu­niti pensò in tutt’altra fase cul­tu­rale. Ad ogni modo l’impostazione gra­fica di que­sti volumi è carat­te­riz­zata dalla pre­senza di schemi esem­pli­fi­ca­tivi, glos­sari, biblio­gra­fie com­men­tate e sunti chia­ri­fi­ca­tori posti alla fine di cia­scun capi­tolo, «per rias­su­mere» il con­te­nuto di quanto detto in pre­ce­denza. Il tutto senza per­dere il taglio ana­li­tico cri­tico che vor­rebbe con­trad­di­stin­guere la col­lana. Sicu­ra­mente così suc­cede con il volume di Ales­san­dro Arienzo, ricer­ca­tore appar­te­nente alla scuola filo­so­fica napo­le­tana e attento stu­dioso di gover­na­men­ta­lità e bio­po­li­tica che dagli studi sulla ragion di Stato è da tempo appro­dato a scan­da­gliare i mean­dri delle tec­ni­che di gover­nance con­tem­po­ra­nea. 
Un gene­rico termine 
Ma che cos’è la gover­nance? Que­sto l’interrogativo che apre il libro. Seguono tre capi­toli riguar­danti la gover­nance euro­pea, quella inter­na­zio­nale, tra sicu­rezza e svi­luppo, per finire con una rifles­sione sulla por­tata della gover­nance tra Stato e mercato. 

Arienzo chia­ri­sce subito che il lemma gover­nance può essere inteso come «espres­sione gene­rica del gover­nare»: «qual­siasi forma di orga­niz­za­zione dell’azione col­let­tiva». Qui la memo­ria risale alle for­mule uti­liz­zate nella Fran­cia medie­vale, piut­to­sto che nell’Inghilterra del Sei­cento. Ma l’opposizione tra gover­nance e govern­ment si afferma nel les­sico pub­bli­ci­stico e scien­ti­fico con le riforme delle isti­tu­zioni di governo locale e metro­po­li­tano negli Stati Uniti degli anni Ses­santa e Set­tanta del Nove­cento. Poi arriva la cor­po­rate gover­nance delle imprese finan­zia­rie, che diviene para­me­tro di com­por­ta­mento delle isti­tu­zioni della glo­ba­liz­za­zione: dal Fondo mone­ta­rio inter­na­zio­nale alla Banca mon­diale. Da una parte quindi il governo gerarchico-piramidale che si fonda sull’autorità sovrana dello Stato. Dall’altra la gover­nance dei mec­ca­ni­smi infor­mali, di pro­cessi aperti e dif­fusi, ten­den­zial­mente oriz­zon­tali e non-gerarchici, che inclu­dono reti deci­sio­nali miste, pub­bli­che e private. 

Ecco che qui Arienzo si con­cen­tra giu­sta­mente sulla ten­denza ora­mai qua­ran­ten­nale dell’attuale con­cetto e pra­tica di gover­nance: «un per­corso di messa in discus­sione delle pro­ce­dure del governo rap­pre­sen­ta­tivo negli Stati demo­cra­tici e par­la­men­tari», non per aprire spazi di oriz­zon­ta­lità par­te­ci­pa­tiva, ma per obbe­dire al dogma della «gover­na­bi­lità». È un man­tra che giunge fino agli epi­goni del com­pro­messo sto­rico, tut­tora ai ver­tici isti­tu­zio­nali, ma che prende le mosse dal cele­bre Rap­porto alla Com­mis­sione Tri­la­te­rale, tra­dotto in Ita­lia nel 1977 con pre­fa­zione di Gio­vanni Agnelli: non è certo una strana com­bi­na­zione. Piut­to­sto un manuale che impone il verbo della gover­na­bi­lità per argi­nare som­mo­vi­menti sociali che riven­di­cano giu­sti­zia sociale, demo­cra­zia, diritti, redi­stri­bu­zione del red­dito. È l’inizio di un pro­cesso di spo­li­ti­ciz­za­zione dell’orizzonte demo­cra­tico e di incu­ba­zione di una reto­rica sulla gover­nance, intesa esclu­si­va­mente come pro­cesso di «forme orga­niz­za­tive e poli­ti­che di diretta espres­sione del con­tem­po­ra­neo neo­li­be­ra­li­smo», piut­to­sto che come occa­sione di redi­stri­bu­zione dei pro­cessi deci­sio­nali verso il basso, in favore di sog­getti non appar­te­nenti alla strut­tura gerar­chica dei poteri economico-politici esi­stenti. Sono Mar­ga­ret That­cher e Ronald Rea­gan che si affac­ciano, in com­pa­gnia dei Chi­cago boys, fino all’ortodossa auste­rità tedesca. 

Così Arienzo sin­te­tizza per­fet­ta­mente lo stato dell’arte. Nell’ultimo decen­nio è uscita scon­fitta l’ipotesi di una «gover­nance poli­tica dell’economia» che la Com­mis­sione euro­pea aveva descritto nel Libro bianco del 2001, insi­stendo par­ti­co­lar­mente sui prin­cìpi di «aper­tura, par­te­ci­pa­zione, respon­sa­bi­lità, effi­ca­cia e coe­renza». Nella biblio­gra­fia com­men­tata è ricor­dato un volume col­let­tivo che provò a con­fron­tarsi a viso aperto con quell’opzione, insi­stendo sugli spazi di azione dei movi­menti sociali euro­pei e glo­bali: Gover­nance, società civile e movi­menti sociali. Riven­di­care il comune (Ediesse, 2009). Nello stesso decen­nio ha preso sem­pre più corpo una «gover­nance eco­no­mica della poli­tica e della società», fau­trice di uno Stato rego­la­tore minimo, imbe­vuta di neo­cor­po­ra­ti­vi­smo, capace di con­ser­vare i rap­porti di potere esi­stenti e al con­tempo di colo­niz­zare l’immaginario collettivo. 
Una par­tita ancora aperta 

È la nuova ragione dell’ordine neo-liberale (per dirla con Dardot-Laval, da poco tra­dotti per Deri­veAp­prodi) che diventa «gover­nance com­mis­sa­ria di mer­cato», in grado di «com­mis­sa­riare le poli­ti­che eco­no­mi­che degli Stati» e gover­nare le forme di vita degli indi­vi­dui, nel «gestire e ammi­ni­strare il loro capi­tale umano», così come gli spazi dei «pro­cessi aggre­ga­tivi», tanto reali, quanto vir­tuali. Eppure Ales­san­dro Arienzo ci invita a non con­si­de­rare con­clusa la par­tita. Tra i «vuoti e gli scarti della demo­cra­zia» (ripren­dendo un lavoro curato dallo stesso Arienzo e da Diego Laz­za­rich, Esi, 2012) si apre l’urgenza di rico­no­scere il carat­tere poli­tico e con­flit­tuale che la gover­nance inscrive nei rap­porti di potere. È quello il ter­reno dove sfi­dare le derive neo-oligarchiche e tec­no­cra­ti­che. Magari con il pro­ta­go­ni­smo di sog­getti col­let­tivi con­sa­pe­voli del fatto che gli spazi poli­tici di azione sono quelli locali – per un nuovo diritto alla città – insieme con quello con­ti­nen­tale – per un’Europa poli­tica e sociale.

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