venerdì 28 febbraio 2014

Prima fanno la catastrofe, poi vorrebbero salvarci: la disciplina neoliberale secondo Schulz il kapò e i socialisti europei


Martin Schulz: Europa gigante incatenato, Fazi

Risvolto
Siamo veramente disposti a rinunciare al progetto europeo, che ha saputo garantire la pace nel nostro continente per oltre sessant’anni? Martin Schulz, presidente Parlamento Europeo, è sicuro che valga la pena dargli un nuovo impulso per farlo progredire e motiva qui le sue teorie in modo chiaro ed efficace. Martin Schulz traccia uno scenario realistico quanto inquietante: crollo del mercato interno europeo, disoccupazione alle stelle, gli Stati europei inevitabilmente sottoposti al potere degli Stati Uniti e dei paesi in crescita come la Cina, mentre all’interno monta la minaccia del populismo di destra. In modo provocatorio e senza reticenze, Martin Schulz, uno dei più convinti europeisti, elenca tutto ciò che nell’Europa di oggi non va, puntando l’indice soprattutto sul deficit democratico, sulla mentalità degli Stati membri ancora legata all’ambito nazionale, e sulla mancanza di una politica estera unitaria. Schulz si scaglia inoltre contro le illusioni degli euroscettici e argomenta con forza in favore di una vera democrazia europea che sappia mantenere un ruolo di rilievo nello scacchiere globale e allo stesso tempo preservare quel modello sociale che tanto è ammirato nel resto del mondo. 



Martin Schulz Dal 2012 presidente del Parlamento Europeo, Schulz ha militato nella spd tedesca dall’età di diciannove anni. Già libraio, sindaco della sua cittadina natale, nel 1984 entra nel direttivo nazionale del partito, e nel 1994 è eletto per la prima volta nel Parlamento Europeo, dove presiede il gruppo socialista tra il 2004 e il 2012. Oggi è lui il candidato ufficiale del Pse per la presidenza della Commissione Europea.


Un’autocritica dal respiro corto
Pamphlet. «Il gigante incatenato» di Martin Schulz per Fazi Editore. Le politiche liberiste per gestire la crisi europea secondo il candidato socialista a presidente della Commissione Giuseppe Allegri, il Manifesto 20.3.2014

Ultima oppor­tu­nità per l’Europa? Così recita l’epocale sot­to­ti­tolo de Il gigante inca­te­nato (Fazi edi­tore, pp. 250, euro 18) di Mar­tin Schulz, pre­si­dente uscente dell’Europarlamento e can­di­dato dai Socia­li­sti e Demo­cra­tici alla pre­si­denza della Com­mis­sione euro­pea in occa­sione delle ele­zioni euro­pee della pros­sima pri­ma­vera. Schulz è l’eurodeputato cono­sciuto alle cro­na­che ita­li­che per l’infausto appel­la­tivo di Kapò affib­bia­to­gli nel luglio 2003 da Sil­vio Ber­lu­sconi, pro­ta­go­ni­sta di un incan­de­scente dibat­tito all’Europarlamento, in qua­lità di Capo del Governo ita­liano e pre­si­dente di turno del seme­stre euro­peo. A luglio ci sarà Mat­teo Renzi in quella fun­zione. Dif­fi­cile imma­gi­nare che rie­sca ad egua­gliare il suo pre­de­ces­sore. E una volta tanto ver­rebbe da dire: per for­tuna. Magra consolazione.

Ma Mar­tin Schulz è soprat­tutto un lea­der social­de­mo­cra­tico tede­sco for­te­mente euro­pei­sta. Negli anni Set­tanta, era un gio­vane libraio nel pic­colo borgo di Wür­se­len, del quale è stato poi anche sin­daco. Quindi la tren­ten­nale mili­tanza nella social­de­mo­cra­zia tede­sca e il ruolo da euro­de­pu­tato rico­perto dal 1994. Il libro è un acco­rato appello per sal­vare il pro­getto di inte­gra­zione con­ti­nen­tale. E se da una parte que­sto appello è sicu­ra­mente rivolto alle cit­ta­di­nanze d’Europa che a mag­gio eleg­ge­ranno i pro­pri euro­de­pu­tati, dall’altra sem­bra evo­care con­vi­tati di pie­tra molto vicini allo stesso autore dell’appello. E vicini per pros­si­mità di governo. Visto che Angela Mer­kel è can­cel­liere del governo tede­sco in virtù di quella Große Koa­li­tion che i social­de­mo­cra­tici sosten­gono con con­vin­zione. E Angela Mer­kel risulta essere tut­tora la più stre­nua soste­ni­trice di quell’Europa tede­sca che dispensa rigo­rosa auste­rità per gli «spen­dac­cioni» Paesi medi­ter­ra­nei. Fedele al motto più volte ripe­tuto che «mai più dovrà essere il con­tri­buente a pagare se la banca fal­li­sce». Con un corol­la­rio sot­tin­teso: il «con­tri­buente tede­sco». Tutt’altro che una postura sin­ce­ra­mente euro­pei­sta, insomma.

Sicu­ra­mente non euro­pei­sta nel senso descritto da Schulz in que­sto libro, che merita un’attenzione par­ti­co­lare, poi­ché è una sorta di con­sun­tivo dei fal­li­menti euro­pei nella Grande Crisi e con­tem­po­ra­nea­mente un abbozzo di pro­gramma di governo per la nuova Com­mis­sione. Sul banco degli accu­sati c’è l’oramai qua­ran­ten­nale orto­dos­sia neo­li­be­ri­sta. Quella che ha dif­fuso nel mondo il man­tra del «pri­va­tiz­zare i gua­da­gni e col­let­ti­viz­zare le per­dite». E il giu­di­zio di Schulz appare ine­qui­vo­ca­bile. In più parti del libro se la prende con il fatto che nella «lotta alla crisi» siano state «uti­liz­zate le ricette dei neo­li­be­ri­sti, che già ave­vano cau­sato tante scia­gure». Non manca una neces­sa­ria auto­cri­tica: «siamo stati noi stessi a vin­co­larci alle agen­zie di rating, sta­bi­lendo per legge che le loro valu­ta­zioni abbiano pre­cise conseguenze».

Qui è sotto accusa la classe diri­gente euro­pea, cui appar­tiene lo stesso Schulz. Il quale tiene però a pre­ci­sare il grande scacco nel quale è finita la crisi dei debiti sovrani, dive­nuta crisi della moneta comune con gli attac­chi spe­cu­la­tivi degli anni 2010–2012. Dall’avvio delle spe­cu­la­zioni si è regi­strata la ten­denza alla «ver­ti­ciz­za­zione» nella gestione della crisi, inau­gu­rata dal «diret­to­rio franco-tedesco» dell’ottobre 2010, con Angela Mer­kel e l’ex pre­si­dente della Repub­blica fran­cese Nico­las Sar­kozy. Poi solo a gestione tede­sca. È que­sto il cuore dell’attuale con­flitto poli­tico in Europa. Una crisi di gestione della crisi impu­ta­bile ai capi di governo. Sem­bra una lon­tana eco della «crisi del mana­ge­ment della crisi», come Claus Offe descri­veva la crisi capi­ta­li­stica dei primi anni Set­tanta del Nove­cento. In que­sto caso Schulz la uti­lizza per evi­den­ziare il gioco della colpa. Un gioco al mas­sa­cro che le gelose diplo­ma­zie inter­go­ver­na­tive hanno rivolto con­tro le isti­tu­zioni euro­pee. L’intera archi­tet­tura con­ti­nen­tale, e in par­ti­co­lare l’Eurozona, restano ostaggi di quello che è dive­nuto un governo di emer­genza con­ti­nen­tale che vede spa­dro­neg­giare il metodo Mer­kia­velli, come è stato pro­vo­ca­to­ria­mente defi­nito il com­por­ta­mento di Frau Mer­kel da Ulrich Beck. Un’esaltazione dell’ortodossia ordo-liberista dello Stato nazione nel con­te­sto euro­peo, che fa leva sulla supre­ma­zia del con­senso nazio­nale e sull’ossessione tede­sca per la sta­bi­lità, con­giunta a un’arte dell’esitazione come stru­mento di coer­ci­zione nei con­fronti degli Stati col­pe­voli di essere in debito. Per­ché chi è in debito è anche in colpa. In tede­sco Schuld signi­fica sia debito, che colpa: della colpa come debito. Ma Schulz si rifiuta di ade­rire a que­sta inter­pre­ta­zione poli­tica di Schuld.

Per que­sto afferma che biso­gna inver­tire la rotta degli anni 2008–2012, in cui l’Europa è stata gover­nata in mag­gio­ranza da governi neo-liberisti. Ma come rea­liz­zare que­sto muta­mento? È lo stesso Schulz a ricor­dare una pra­tica col­let­tiva tra movi­menti sociali e Par­la­mento euro­peo. Quando quest’ultimo, nell’estate 2012, boc­ciò la rati­fica dell’accordo anti-pirateria, l’ Acta (Anti-Counterfeiting Trade Agree­ment), su spinta dei movi­menti sociali, per i diritti civili e i mediattivisti.

Solo inne­scando un movi­mento vir­tuoso tra cit­ta­di­nanze ed Euro­par­la­mento si potrebbe dare seguito a quello che anche Schulz pro­pone nel suo libro. Emis­sione di euro­bond, fondi di ammor­ta­mento del debito, Europa sociale, poli­ti­che pub­bli­che con­ti­nen­tali anti-cicliche. Per­ché non si può che essere «con­trari ad una poli­tica euro­pea capace di mobi­li­tare 700 miliardi di euro per sta­bi­liz­zare il sistema ban­ca­rio, ma che vuole spen­dere sol­tanto 6 miliardi per la disoc­cu­pa­zione gio­va­nile», come recita l’appello sot­to­scritto da Haber­mas, Beck, Morin e molti altri lo scorso 27 feb­braio. Resta un mistero come sia pos­si­bile bat­tersi per que­sta Europa poli­tica e sociale stando alleati al governo con Angela Merkel.

Massimo Nava 167 28-02-2014 corriere della sera 59

Germania, cresce il divario ricchi-poveri
Secondo l’istituto Diw è il paese con le maggiori differenze nell’Eurozona: diseguaglianze crescenti
di Tonia Mastrobuoni La Stampa 28.2.14 qui da Spogli

C’è un’Europa oltre Bruxelles scegliamola con il voto
di Ulrich Beck Repubblica 27.2.14

IL PROSSIMO maggio le cittadine e i cittadini saranno per la prima volta chiamati alla scelta sul futuro dell’Europa. Quale Europa vogliamo? Dal momento dell’entrata in vigore del trattato di Lisbona e per tutta la durata della crisi i cittadini non hanno mai avuto l’opportunità di esprimere il loro giudizio sul futuro dell’Unione Europea, in un processo di formazione democratica della volontà. Questa volta, la novità è costituita dalla presenza di diversi candidati alla carica di presidente della Commissione europea, con la possibilità di scegliere tra diversi modelli d’Europa. È un salto quantico politico. Infatti, nel medesimo momento e in tutta l’Europa discuteremo in lingue diverse sugli stessi temi – cioè su persone e sui loro programmi. Vogliamo il “meno Europa” di un David Cameron, dettato dagli imperativi del mercato, oppure un’ “altra Europa”, che sottopone il mercato a regole democratiche, come ha in mente il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz?
I partiti anti-europei e i loro candidati vogliono essere eletti democraticamente per minare la democrazia in Europa.
Invitiamo i cittadini d’Europa a negare il loro voto a questo attacco politico suicida.
Ma è assolutamente necessario prendere sul serio lo scetticismo dei cittadini. Per la rinascita dell’Europa è indispensabile mettere pubblicamente in luce i difetti congeniti dell’Ue. Noi siamo contrari a una politica europea capace di mobilitare 700 miliardi di euro per stabilizzare il sistema bancario, ma che vuole spendere soltanto 6 miliardi per contrastare la disoccupazione giovanile. Molti, e tra di loro anche tanti giovani europei, hanno la sensazione che esista un mondo parallelo anonimo chiamato “Bruxelles”, e che esso minacci la loro identità, la loro lingua e la loro cultura. È sorta un’Europa delle élites, senza un’Europa dei cittadini. Per guadagnare i cittadini all’Europa, la politica deve affrontare i temi che stanno a cuore alle persone.
L’Europa si trova in un moment of decision. Dipenderà essenzialmente dall’esperienza, dagli orientamenti di fondo, dal coraggio e dall’abilità del prossimo presidente della Commissione europea se riusciremo a superare in Europa il “dispotismo benintenzionato” (Jacques Delors) e a far acquisire al vecchio continente una posizione energica e una voce che parli del futuro in un mondo globalizzato.
Hanno firmato l’appello
Zygmunt Bauman, Elisabeth Beck-Gernsheim, Daniel Birnbaum, Angelo Bolaffi, Jacques Delors, Chris Dercon, Slavenka Drakulic, Ólafur Elíasson, Péter Esterházy, Iván Fischer, Anthony Giddens, Lars Gustafsson,Jürgen Habermas, Ágnes Heller, Harold James, Mary Kaldor, Navid Kermani, Ivan Krastev, Michael Krüger, Pascal Lamy, Bruno Latour, Antonín Jaroslav Liehm, Robert Menasse, Christoph Möllers, Henrietta L. Moore, Edgar Morin, Adolf Muschg, Cees Nooteboom, Andrei Plesu, Ilma Rakusa, Volker Schlöndorff, Peter Schneider, Gesine Schwan, Hanna Schygulla, Tomáš Sedlácek, Kostas Simitis, Klaus Staeck, Richard Swartz, Michael M. Thoss, Lilian Thuram, Alain Touraine, António Vitorino, Christina Weiss, Michel Wieviorka

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