lunedì 10 marzo 2014

La gestione dell'arsenale nucleare statunitense durante la Guerra Fredda


Eric Schlosser: Command and Control Nuclear weapons, the Damascus Accident, and the illusion of Safety, Peguin press, pagg. 632, $ 26,00


Un missile a Damascus
Un libro ricostruisce come dal 1959 il vero rischio non sia venuto da crisi o guerre ma solo dalla gestione dell'arsenale nucleare

di Patrizia Caraveo Il Sole Domenica 9.3.14


Siamo abituati a pensare che l'esplosione di una bomba nucleare sia collegata a guerre o a crisi internazionali, ma forse ci sbagliamo. Leggendo Command and Control ho capito che il vero pericolo è venuto, e, in parte, ancora viene, dalla gestione di un arsenale nucleare che, al picco della guerra fredda, era composto (da parte Usa e Nato) da 30mila ordigni tra bombe, testate per missili, bombe di profondità, mine e armi portatili. Oggetti inerti in condizioni normali, ma sempre dotati di esplosivo, necessario per innescare la reazione nucleare, che devono essere spesso trasportati, periodicamente smontati e controllati, ma soprattutto sempre tracciati. Gestire in condizioni di sicurezza tutte queste armi è un compito straordinariamente complesso con implicazioni tecniche e strategico-organizzative, senza contare le interazioni tra vertici militari e politici. Il problema intorno al quale ruota tutto il libro è la sicurezza delle armi nucleari. Indipendentemente dal loro potere di devastazione, le bombe atomiche devono anche essere fornite di meccanismi che impediscano esplosioni accidentali nel caso di una manovra sbagliata o di incidenti durante l'immagazzinamento o il trasporto. La gestione strategica-organizzativa dell'arsenale nucleare è un altro punto delicato. Dove è meglio immagazzinare le testate? Chi ne è responsabile? Meglio che siano sotto il controllo dei civili o dei militari? Mentre è sempre stato chiaro che l'ordine di attacco deve venire dal Presidente, come evitare che ufficiali fanatici, o forse solo in preda al panico per l'ennesimo falso allarme, decidano per loro conto? È vero che i missili avevano codici di lancio multipli conservati in cassaforte, ma è anche vero che per molto tempo uno dei codici dei Minutemen è stato 00000000, non proprio difficile da indovinare. Quando ancora non ci si preoccupava troppo per i terroristi, quello che tutti temevano era il dottor Stranamore, oppure un soldato impazzito o sotto l'effetto di qualche droga. Con più di 100 mila persone coinvolte nella manutenzione dell'arsenale nucleare, una piccola incidenza di problemi psichici non poteva essere esclusa.

La gestione era resa ancora più complicata dal perenne stato di allerta richiesto a tutto il sistema che doveva essere sempre pronto a rispondere ad un eventuale attacco. Dal 1959 al 1968 lo Strategic Air Command degli Stati Uniti ha avuto sempre in volo decine di bombardieri equipaggiati con quattro bombe nucleari ciascuno. Facevano missioni lunghissime attraversando l'Atlantico e il Pacifico per essere sempre pronti a dirigersi contro l'Unione Sovietica. Centinaia di ordigni atomici hanno incrociato per anni sopra il Mediterraneo con un coefficiente di pericolo proporzionale alle ore di volo, al numero di decolli, atterraggi, rifornimenti in volo oltre che alla competenza del personale. In nove anni si sono contati 1.200 incidenti di varia gravità culminati con numerose bombe sganciate per errore umano, malfunzionamenti dell'elettronica di bordo, incidenti aerei. Sono arrivate in giardini di ignari americani, in foreste drammaticamente vicine ai centri del potere quali Washington e New York, in paesini spagnoli, in Groenlandia. Diversi bombardieri si sono incendiati al decollo, altri si sono schiantati, per incidenti di varia natura, cuocendo le bombe. Solo una notevole dose di fortuna unita a un generoso intervento divino ha impedito che avvenissero esplosioni nucleari accidentali, ma non per questo meno catastrofiche. Finite le allerte in volo, quelle a terra, con i bombardieri già carichi di bombe e carburante, con gli equipaggi sempre pronti a partire, sono continuate fino al 1991. In parallelo, gli oceani erano solcati da sottomarini, equipaggiati con dozzine di testate nucleari, e le regioni centrali degli Sati Uniti erano state seminate di missili grandi e piccoli con la loro dotazione di testate nucleari, spesso multiple. Per non dare nell'occhio tutto si svolgeva sottoterra in rampe di lancio a prova di esplosione nucleare.
È proprio in uno di questi siti che avviene il drammatico incidente che fa da filo conduttore del libro. È il 18 settembre 1980, siamo a Damascus, una comunità rurale in Arkansas, nel silos di un missile Titan II, completamente equipaggiato e pronto all'azione. Nel corso di una manutenzione di routine ad un addetto in tuta stagna cade un attrezzo che percorre tutta la lunghezza del missile e si va a conficcare in un serbatoio, causando la fuga di propellente tossico e infiammabile. Un incidente che nessuno, né in loco, né ai livelli più alti delle unità di crisi del comando, sa come gestire. La situazione degenera fino a causare, molte ore dopo, l'esplosione del Titan la cui testata nucleare viene recuperata poco distante. Pericolo scampato, solo danni, una nube tossica, una vittima e l'imbarazzo del giovane governatore Clinton. Da allora, il mondo è cambiato. I Titan sono stati smantellati e il numero delle testate è stato diviso per 10.
Adesso, a guerra fredda finita, cosa è rimasto di questo enorme sforzo? Quante volte si sarebbe potuto risolvere il problema della fame nel mondo o andare su Marte con il costo delle missioni continue dei bombardieri o dei Titan mai usati? Per fortuna, non tutto è finito nel dimenticatoio. La necessità di mantenere le comunicazioni anche in caso di attacco nucleare ha fatto nascere l'idea della rete e il precursore di Internet mentre il GPS è stato pensato per guidare i missili, notoriamente poco precisi.
Eric Schlosser ha impiegato dieci anni a scrivere il libro e, leggendolo, si capisce benissimo perché. Ottenere (e digerire) la documentazione relativa a centinaia di incidenti che coprono tutto lo spettro di gravità possibile e intervistare decine di testimoni richiede tempi lunghi. Ma il risultato è notevole. Le descrizioni sono avvincenti e la morale è chiarissima. Anche se non è possibile eliminarle del tutto, le armi nucleari hanno fatto il loro tempo. È chiaro a tutti che guerra nucleare non può essere vinta da nessuno. Oltre alla distruzione immediata e ai danni da radiazioni, Carl Sagan fece notare che le polveri sollevate avrebbero assorbito la luce solare causando l'inverno nucleare. Se non si vuole fare la fine dei dinosauri, meglio risolvere in altro modo le crisi internazionali.

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