Steven Nadler: Il filosofo, il sacerdote e il pittore. Un ritratto di Cartesio, Einaudi

Risvolto
Nel museo del Louvre è appeso il ritratto di un uomo di mezza età con baffi, lunghi capelli scuri e occhi dalle palpebre pronunciate, vestito alla maniera tipica della borghesia olandese, mantello nero e colletto inamidato. Da sempre, questa è l'immagine iconica di René Descartes. Per lungo tempo il dipinto è stato attribuito al maestro Frans Hals, finché il lavoro è stato declassato a copia di un originale. Ma allora dov'è la versione autentica? Chi ha dipinto la copia? E soprattutto: l'uomo ritratto è davvero Cartesio? Nella storia di questo piccolo dipinto si intersecano le vicende di un filosofo geniale, un prete cattolico e un pittore di talento, vicende che Steven Nadler ricostruisce per noi grazie a un'originale combinazione di racconto biografico, storia dell'arte e filosofia. Il suo libro traccia una mappa del mutevole contesto politico e religioso del secolo d'oro olandese, e insieme ci propone un'accessibilissima introduzione alle idee filosofiche e scientifiche di Cartesio.
René Descartes l'olandese
Gli anni in cui s'impegnò a «dimostrare le verità metafisiche con evidenza maggiore di quelle geometriche» sono quelli di Franeker, Amsterdam, Leida, Deventer, Utrecht, Alkm
di Franco Giudice Il Sole 24Ore Domenica 16.3.14
Pochi filosofi sono rimasti inchiodati a una massima come Descartes. Cogito ergo sum è una delle frasi più celebri della filosofia, se non addirittura di tutti i tempi. Ed è proprio questa sua notorietà ad averla trasformata in un banale slogan, che stimola di continuo le parodie più fantasiose. Un destino al quale non è sfuggita nemmeno l'immagine ormai familiare che abbiamo di Descartes, grazie soprattutto a un ritratto che si trova esposto al Louvre: un uomo in età matura, con un colletto bianco inamidato e una cappa nera, una parrucca che gli lambisce le spalle, i baffi e la mosca brizzolati, il naso aquilino, le palpebre appesantite, e un'espressione interrogativa che sembra voler incrociare lo sguardo dell'osservatore. Anche questa immagine, riprodotta su innumerevoli copertine di libri, e oggetto perfino di alcune caricature pubblicitarie, è stata svilita a tal punto da risultare quasi impersonale.
Nonostante l'abusato cliché cui il tempo l'ha condannato, quel ritratto cela tuttavia una storia che meritava senz'altro di essere raccontata. A partire dalla sua autenticità, visto che il dipinto del Louvre, per lungo tempo attribuito al pittore olandese Frans Hals, è in realtà di un artista sconosciuto: una copia dell'originale, questo sì di Hals, conservato allo Statens Museum di Copenaghen. E forse nessuno poteva raccontarla meglio di Steven Nadler, apprezzato studioso di Spinoza, profondo conoscitore della cultura olandese del Seicento e già autore nel 2003 di un bellissimo libro sugli ebrei di Rembrandt, con cui è arrivato finalista al Premio Pulitzer.
In un certo senso, quella di Nadler è la biografia di un ritratto. Ma a prendere forma dietro il ritratto è anche la biografia di Descartes, che s'intreccia con quelle di un prete cattolico e di un artista audace, sullo sfondo del mondo culturale, politico e religioso dell'epoca d'oro olandese. Un angolo visuale quanto mai appropriato, se consideriamo che il filosofo francese mise a punto e pubblicò le sue opere più importanti in Olanda. Così, Nadler ci offre un'inconsueta e avvincente presentazione di Descartes "privato". E lo fa con il suo stile narrativo fresco e cristallino, che privilegia sempre la leggibilità e l'accessibilità, due virtù spesso trascurate dagli accademici.
Descartes si era trasferito in Olanda nella primavera del 1629 e vi rimase per i vent'anni successivi. Si era lasciato alle spalle il fervente clima culturale che si respirava a Parigi, dove aveva soggiornato tra il 1625 e il 1628, incontrando tutti quelli che avevano una reputazione nel mondo intellettuale, soprattutto presso il circolo del padre Marin Mersenne, il segretario della République des Lettres. E la risposta più semplice e probabile, come osserva Nadler, si trova nel desiderio di riservatezza e anonimato. Troppe le distrazioni, troppe le interruzioni da parte di amici e colleghi, cui lo sottoponeva la capitale francese. Descartes amava vivere isolato, e pensava che l'Olanda gli potesse offrire la pace necessaria per attendere al proprio lavoro. Per un lungo periodo il suo unico contatto con il mondo sarà Mersenne.
Fin dal suo arrivo, Descartes è completamente assorbito dallo studio. Riprende le ricerche e gli esperimenti di ottica e di fisica avviati in Francia, esegue dissezioni anatomiche, ed è tutto impegnato a trovare come «dimostrare le verità metafisiche con evidenza maggiore di quella raggiunta nelle dimostrazioni geometriche». Ma è anche tutto un susseguirsi di spostamenti di città in città: Franeker, Amsterdam, Leida, Deventer, Utrecht, Alkmaar. Ed è rincorrendolo in questi frenetici cambi di residenza – un modo quasi ossessivo per proteggere la sua privacy, tanto da raccomandare a Mersenne di non rivelare a nessuno dove si trova – che Nadler espone il progetto filosofico di Descartes. Un progetto ambizioso che si proponeva «nientemeno che ricostruire l'intera struttura della conoscenza, sostituire il vecchio paradigma intellettuale e mettere tutta la scienza su nuovi e assolutamente solidi fondamenti metafisici». E che trova ampia espressione già nel Mondo, il trattato che decise di abbandonare nel 1633 quando seppe della condanna di Galileo, e poi nel Discorso sul metodo (1637) con i tre saggi scientifici che lo accompagnavano, nelle Meditazioni metafisiche (1641) e nei Principi della filosofia (1644).
Ma nella storia raccontata da Nadler, Descartes non è tanto l'ambizioso pensatore che persegue i suoi progetti filosofici e scientifici in assoluta solitudine, come lui stesso amava rappresentarsi. A emergere è un Descartes che intrattiene relazioni personali e professionali con filosofi, matematici, scienziati, diplomatici e teologi. Ed è questa la parte più originale del libro: un Descartes meno ombroso, che stringe una profonda amicizia con due preti cattolici di Haarlem, Augustijn Bloemaert e Johan Albert Ban, cui rimarrà legato per tutti gli anni quaranta. Fu «la calda e amabile compagnia di questi due preti cattolici ad aiutarlo a sopportare i lunghi e rigidi inverni olandesi» trascorsi nel piccolo villaggio di Egmond che si affaccia sul Mare del Nord, dove si era nel frattempo trasferito. Gli eventi musicali che i due amici organizzavano a Haarlem diedero inoltre qualche sollievo ai duri e spesso personali attacchi che Descartes riceveva, e costituirono per lui una temporanea distrazione dalle interminabili controversie che la sua filosofia aveva scatenato nelle università olandesi.
Avevano in comune la passione per la teoria musicale, ed è quasi certo, come sottolinea Nadler, che Descartes raccontasse ai due amici anche delle sue dottrine filosofiche e scientifiche. Di come tali dottrine si opponessero al sistema aristotelico-scolastico che dominava quasi incontrastato nelle università. E di come avessero la loro giustificazione metafisica nell'idea che l'intelletto umano, con le sue facoltà razionali garantite da Dio, «fosse in grado di scoprire i più profondi segreti della natura, e di derivare, a priori e semplicemente da una considerazione dell'essenza di Dio, le leggi stesse della natura». Una nuova filosofia insomma, che implicava una trasformazione radicale della concezione e dell'immagine del mondo, e che sarebbe diventata il paradigma scientifico del secolo, almeno fino a Leibniz e Newton. Descartes coltivò addirittura l'irrealistica speranza che la sua nuova filosofia potesse essere adottata dalle scuole e dalle università, al posto di quella di Aristotele.
È nel contesto di questa amicizia che, nella convincente ricostruzione di Nadler, nasce il ritratto di Descartes, l'immagine con cui riconosciamo ora il suo volto. A commissionarlo a Hals nel 1649 era stato soltanto Bloemaert, Ban era morto cinque anni prima. Hals, un pittore anche lui di Haarlem, era diventato famoso per la libertà espressiva e per la vivacità cromatica con cui eseguiva i suoi ritratti. Un artista all'epoca ben affermato e costoso, che con la rapidità di tratto e la luminosità di toni che caratterizzavano i suoi dipinti riusciva a infondere vitalità anche al modello più esangue. E fu per un evento piuttosto speciale, la decisione di Descartes di lasciare l'Olanda, che Bloemaert si rivolse proprio ad Hals: voleva mantenere viva la memoria del suo amico con un ritratto intimo e intenso, come quelli che sapeva fare il maestro di Haarlem. Non poteva immaginare, ovviamente, che a quel ritratto sarebbe stata consegnata la fine della lunghissima esperienza olandese di Descartes: l'ultimo fotogramma, per così dire, del filosofo alla vigilia della sua partenza per la corte della regina Cristina di Svezia, dove pochi mesi dopo morirà.
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