mercoledì 23 aprile 2014

Nuovi studi su Leibniz


Gottfried Leibniz / 1

Ma tu in che menti esisti?
La «Monadologia» fu scritta 300 anni fa Ma come sono attuali quei quesiti sull'essere e sulla relazione tra la mente e il corpo 

di Nicla Vassallo Il Sole24ore Domenica 20.4.14


«Leibniz ha profuso nella opera una tal messe di germi intellettuali, che a stento altri potrebbero competere con lui. Parte di questi germi vennero a maturazione durante il suo tempo e grazie al suo contributo, parte cadde in oblio e fu riscoperta e ulteriormente sviluppata in seguito. Ciò giustifica l'aspettativa che anche di certe altre parti della sua opera, che oggi sembrano morte e sepolte, si possa celebrare un giorno la rinascita». Corre l'anno 1880/81, quando Gottlob Frege così si esprime, memore dell'idea lebniziana, da lui amata e perseguita, di una lingua sive Characteristica universalis, idea geniale, mai realizzata, forse irrealizzabile, e, ora, più che mai riusciamo a intuirlo, non tanto a causa delle difficoltà tecniche dell'impresa, quanto della sua adeguatezza e validità, su un pianeta in cui non si riesce più a dialogare bene in una stessa lingua condivisa, o in lingue affini, poiché si rifiutano ignobilmente i riferimenti oggettivi alla realtà, preferendo loro il riferimento soggettivistico, egotistico a sé. 
Anni prima, Denis Diderot, seppur lontano dalle posizioni di Leibniz, ne tesse gli elogi, magnificando un genio che, con fare eccelso, tratta di mondo, di Dio, di natura, di anima. Ma, come non ignoriamo, Leibniz, da poliedrico, rispetto anche a filosofi della propria epoca, si appassiona di ben altro e con successo, oltre alla filosofia. Basti ricordare analisi matematica e calcolo infinitesimale (benché di origine greco-ellenistica, e con una lunga storia successiva, la "base" e la portata moderna del calcolo si devono a Leibniz o a Newton?), senza poi menzionare altre professioni di Leibniz, tra cui quelle di diplomatico, giurista, storico, magistrato, e i suoi contributi nei settori della geologia e della linguistica.
Come ai tempi si usa e si può, i coinvolgimenti intellettuali e filosofici risultano plurimi; oggi, invece, in virtù di una buona specializzazione, non riusciamo, né dobbiamo interessarci di tutto, pena la funesta tuttologia. Così in Leibniz troviamo una cultura e un'innovazione, di cui in molti non dovrebbero incensare se stessi. Cultura e innovazione che si esprimono soprattutto nella sua Monadologia (Bompiani, con testo francese a fronte), saggio compatto, classificato perlopiù come metafisico, ma che oltre il metafisico va. Monadi che, nella loro varietà, costituiscono oggetti di base, di cui il resto è composto. Monadi che finiscono con rimandare a menti: "menti" che si limitano a percepire, senza altra elaborazione oltre l'osservazione, menti inconsapevoli, o addirittura prive di memoria (e, allora, rientrano nelle menti?; lungimirante però quest'idea, considerata l'odierna profusione di menti di tal fatta); menti in cui, invece, percezione e memoria si congiungono, su un piano animale non umano; menti animal-umane a cui pure e soprattutto la razionalità appartiene; ma chi si entusiasma ormai più dell'alto gradino conseguibile della mente? E, poi, a quali menti apparteniamo o aspiriamo appartenere, al di là di una possibile ipotesi di determinismo che non ci consentirebbe scelta?
A giusto trecento anni, la Monadologia (1714), non la Teodicea, ci induce a riflettere per la sua complessità, che, a volte cede tuttavia all'oscurità, già a partire dalle prime affermazioni su monadi-sostanze, problema cui Leibniz si dedica, a ogni modo, da tempo e che forse lo turba, vista l'urgenza di affrontarlo nella corrispondenza con Burcher de Volder (si veda il bel e recente volume The Leibniz-De Volder Correspondence. With Selections from the Correspondence Between Leibniz and Johann Bernoulli, Yale University Press).
Però, il punto al momento rilevante rimane la ragione, il ragionare tramite verità necessarie e il ragionare tramite verità contingenti, congiuntamente alla capacità di distinguere tra quanto è necessario e quanto è invece contingente. La rilevanza del punto, a mio avviso, non consta tanto nel fatto che, passando per la contingenza, Leibniz intenda approdare a una dimostrazione dell'esistenza di Dio, dimostrazione che notoriamente non funziona, bensì nel fatto che quanto è necessario e quanto è invece contingente si sia sviluppato in seguito, trovando uno dei suoi migliori culmini nella riflessione di un nostro contemporaneo, quale Saul Kripke, che affronta il problema della nostra identità personale e della nostra conoscenza: nel mondo possibile, non quello attuale, in cui tu esisti, in che senso puoi esistere e come si riesce a individuarti?
Leibniz giudica il nostro mondo, quello attuale, il migliore dei mondi possibili. Bene, se sei in grado di comprovare il giudizio da un punto di vista metafisico. Bizzarro, invece, dal punto di vista epistemico, perché per affermare che questo è il migliore dei mondi possibili, dovresti conoscere tutti gli altri. A ogni buon conto, come è noto, Voltaire nel Candide, ou l'Optimisme se ne prende gioco. Ottimismo pourquoi?
Last but not least, sorge da sempre il problema del raffronto tra l'uomo di corte, da una parte, e del dissidente dall'altra. Il Dio, cui intendevo solo accennare, torna e ritorna. Per Baruch Spinoza, ebreo, la cui amara vicenda esistenziale è nota, il Dio/dio si dispiega nella natura. Svolge (Spinoza), con la scomunica (o varie scomuniche?) il lavoro di tornitore di lenti, a dispetto della sua originale erudizione creativa, costretto all'esilio rispetto a tutto, relazioni d'amore incluse. Spinoza viaggia ben poco e, purtroppo, le curiosità (per lo più epistolari) nei suoi confronti, di intellettuale isolato, confinato, si rivelano spesso interessate, più che interessanti, pure sotto il profilo "amicale". 
Nel 1676, non senza una certa dose e dote di opportunismo, che mai gli mancheranno, il giovane Leibniz si reca all'Aja per incontrare Spinoza. Ma lui, Leibniz, nutre mire di corte, cosicché del dissidente deve disfarsi, e, difatti, dopo l'incontro con Spinoza, tenta il tutto per tutto per demolirne il pensiero filosofico. Ciò ci rimanda al divario tra chi lusinga i corteggiabili, pur con belle teorie, e chi, in buona fede e con una bella ragione, ne critica i pregiudizi: scelte di vita ben diverse, come abilmente ci narra Matthew Stewart in Il cortigiano e l'eretico: Leibniz, Spinoza e il destino di Dio nel mondo moderno (Feltrinelli). E con ciò non intendo affatto implicare che non occorra leggere la Monadologia, con i suoi trecento anni alle spalle, con tutti i germi di cui Frege diceva. Per mille ragioni necessarie e sufficienti. A ogni modo, di cortigiani ne vediamo ormai troppi in giro, con poca arte, cultura, ragione. Lo stesso vale per i dissidenti.

Gottfried Leibniz / 2

Sfida al diritto romano 

di Maria Bettetini Il Sole24ore Domenica 20.4.14


Il grande oratore Protagora si accordò con l'allievo Evatlo: mi pagherai le lezioni quando avrai vinto la tua prima causa. Nobile gesto, con poco nobili conseguenze, perché Evatlo non ha nessuna fretta di iniziare la carriera di avvocato. Protagora allora lo cita in giudizio. Se Protagora vincerà la causa, però, secondo il patto non potrebbe chiedere il pagamento allo sconfitto Evatlo. Se Protagora invece perderà, sarà l'esito della causa a impedire ancora una volta il passaggio di denaro dalle mani dell'allievo alle sue. Sembra un caso insolubile, e come tale è stato considerato, ma Leibniz scioglie l'apparente paradosso logico distinguendo tra merito della causa e procedura. Protagora infatti non ha diritto a far causa a Evatlo prima della scadenza del pagamento, quindi prima di una causa vinta da Evatlo. Il caso, quindi, non rientra tra i venticinque «casi perplessi» del diritto, raccolti in un breve testo di Gottfried Wilhelm von Leibniz ora disponibile in traduzione italiana, con ricco commento a cura dello storico del diritto Carmelo M. de Iuliis. Un caso "perplesso" del diritto romano comune è un caso difficile da risolvere, ma non perché ambiguo. L'ambiguità comporta infatti la debolezza di due conclusioni opposte, mentre la perplessità si dà quando i due partiti hanno entrambi fondate ragioni, dal latino perplexus, che rimanda all'involuzione, ma anche alla connessione di fatti e diritti incompatibili fra loro. Non sarà sufficiente quindi la logica formale per risolvere un caso perplesso, dovrà intervenire l'argomentazione retorica, con riferimento ai fatti più che ai diritti, e soprattutto richiamando il sempre imponderabile diritto "naturale". 
Ci troviamo dunque di fronte a una prova dell'altissima scientificità che sostiene l'intero lavoro di Leibniz, colui che cercò di sistematizzare e dunque risolvere nell'inclusione tutto ciò che riguarda l'umano. I casi perplessi sono infatti un preciso elenco di eccezioni che confermano la regola. Da un lato quindi lo scienziato umilmente prende atto di dati che non sono riducibili ai principi del suo paradigma scientifico, dall'altro li circoscrive e definisce con precisione, perché non siano usati come armi contro il sistema, ma abbiano il ruolo appunto di eccezione, e di eccezione non aporetica: i venticinque casi infatti si risolvono utilizzando semplicemente altre armi rispetto alla logica, quali la retorica, il buon senso, il richiamo allo jus naturalis. Il tedesco che inventò la calcolatrice ma non poté costruirla, che iniziò la matematica al calcolo infinitesimale, che tentò una grammatica della lingua universale e una geografia simbolica dei concetti, che organizzò il mondo definendolo il migliore di quelli possibili, trovandovi posto per le forme del male, colui che avrebbe voluto ridurre a sistema anche Platone, poteva forse evitare la sfida con il Codice di Giustiniano? Non la evitò, i giuristi impararono a trattare le leggi e la loro applicazione secondo le regole della logica formale e furono così messi in guardia: le eccezioni sono solo questa manciata di casi perplessi, il resto è arbitrio. 
Gottfried Wilhelm von Leibniz, I casi perplessi in diritto (De casibus perplexis in iure), saggio introduttivo, traduzione e note di Carmelo Massimo de Iuliis, Giuffrè, Milano, pagg. 160, € 25,00


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