La grande guerra di Piero
Nel
1969 Melograni scrive un libro sulla partecipazione italiana al
conflitto, usando un metodo «laico», privo di modelli ideologici: da
allora gli studi presero strade nuovedi Dario Biocca il Sole24 domenica 8.6.14
Gli
storici hanno cominciato a studiare la guerra del 1914 non appena questa
finì, nel novembre del 1918. Non era però una "autentica" storiografia;
molti autori erano reduci, soldati o ufficiali, e con i loro studi
vollero ribadire (e, se possibile, dimostrare) le responsabilità degli
imperi centrali. Era una storia patriottica, aspra, ispirata dal
tribunale dei vincitori.
Le prime ricerche sulla vita di trincea
presero avvio negli anni Trenta ma, anche in questo caso, non placarono
polemiche né rancori. Molti studiosi dichiararono che l'eroismo
dimostrato dai soldati era lo specchio e la misura della loro
partecipazione alla guerra. Altri, al contrario, sostennero che i
soldati rimasero al loro posto perché vi furono costretti da una ferrea
disciplina militare. La loro protesta rimase inespressa, resa muta dalla
censura e dai plotoni di esecuzione.
Solo nel secondo dopoguerra,
finalmente, la storiografia si è occupata delle commemorazioni, dei
monumenti, della memorialistica e dell'uso pubblico che della Grande
guerra si era fatto da parte di nazioni, governi, partiti, associazioni e
organizzazioni di ex combattenti. È stata questa fase, nel giudizio di
Melograni, a produrre i migliori risultati perché più libera da
condizionamenti politici, nazionalismi e ideologie. Per la prima volta
sono emerse le vicende di milioni di uomini e donne precipitati nel
vortice della guerra, le sofferenze patite e inflitte ma anche le
aspettative di rinnovamento, persino l'immaginazione e l'utopia. La
storia e il ricordo della guerra sono tornati così a svolgere un ruolo
attivo, protagonisti anche delle vicende dei decenni successivi.
Melograni
scrisse la Storia politica della Grande Guerra negli anni Sessanta al
termine di un formidabile lavoro in archivio. L'autore aveva meno di
quarant'anni e il libro (era il suo primo libro) lo fece apprezzare in
Italia e all'estero come uno dei più giovani e brillanti studiosi della
Grande guerra. Il volume era dedicato alla partecipazione italiana al
conflitto ma Melograni dimostrava di conoscere anche il lavoro condotto
all'estero da due generazioni di storici. La prima, guidata da Pierre
Renouvin, era ancora concentrata sulla questione delle responsabilità e
delle colpe. L'altra, invece, si ispirava alle tesi di Lenin e della III
Internazionale. La guerra, nella più radicale delle interpretazioni,
era stata provocata dalla chiusura degli sbocchi commerciali aperti con
il sopruso e la violenza dall'imperialismo.
Questa interpretazione,
che oggi appare così poco convincente, ebbe il merito, ammise Melograni,
di ricondurre l'analisi verso la concretezza, la documentazione
d'archivio, i conflitti di classe. Melograni però aveva abbandonato il
marxismo già da molti anni: «Ricordo che nella notte fra il 4 e il 5
novembre '56, mentre i carri armati sovietici invadevano Budapest, non
riuscii letteralmente a prender sonno. Il timore di perdere la fede fu
finalmente sopraffatto dalla rabbia di non averla perduta prima».
Nella
Storia politica della Grande Guerra Melograni descrive la società
italiana in una fase di estrema tensione che ebbe inizio ben prima delle
«radiose giornate» e si protrasse ben oltre l'offensiva di Vittorio
Veneto. Il testo indaga su aspetti pubblici e privati, esperienze
collettive e vicende individuali, episodi di entusiasmo e di sconforto,
di ingenuità e scaltrezza, dedizione e opportunismo. Il libro descrive
quindi la vita nelle trincee e nelle retrovie, nelle città e nelle
campagne; ricostruisce infine le strategie dello Stato maggiore e le
pressioni della grande industria ma descrive anche, in dettaglio, i
tessuti con cui erano cucite le ruvide uniformi dei soldati e gli
scarponi da montagna.
Questo metodo di studio a tutto campo, che
Melograni definì «laico» perché privo di modelli ideologici e
precostituiti, era del tutto nuovo e produsse straordinari risultati; fu
subito condiviso da gran parte della storiografia italiana. Esso
costituisce, ancora oggi, il principale lascito del libro. Gli studi
sulla guerra, da allora, intrapresero strade nuove.
Negli anni
seguenti Melograni studiò con particolare interesse la relazione tra
modernità, élites politiche e società di massa. La classe dirigente
italiana nel corso della Grande guerra gli era apparsa impaurita, legata
al passato, incapace di elaborare strumenti efficaci di comunicazione,
eppure determinata a ottenere «benefici interni», cioè a esautorare e
colpire i partiti dell'opposizione. Questa miopia, di fronte a eventi
epocali e al sacrificio di tante vite, era per Melograni un
«machiavellismo misero» e rivelava l'incomprensione delle trasformazioni
avvenute nella società. Pochi anni dopo quella stessa miopia avrebbe
consegnato il sistema parlamentare italiano alla dittatura. La distanza
tra i capi e le masse, evidenziata già nelle prime pagine del libro
sulla guerra, spinse Melograni a intraprendere una nuova ricerca,
pubblicata nel 1977 con il titolo Saggio sui potenti. Il pamphlet era
dedicato allo studio della dittatura e del consenso ma il testo, come ha
ricordato in più occasioni il suo autore, era anche una lunga,
appassionata postfazione alla Storia politica della Grande Guerra.
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