sabato 28 giugno 2014
Una storia del pensiero ebraico
Giuseppe Laras: «Ricordati dei giorni del mondo». 1. Storia del pensiero ebraico dalle origini all’età moderna, Edb, pp. 272, e 16.50
Risvolto
L'inesausto
"pensare" di Israele sembra trovarsi al crocevia tra la riflessione
speculativa di natura più propriamente filosofica, l'esegesi talvolta
"avventurosa" - dei testi biblici e talmudici, le intuizioni mistiche
della qabbalah e la sterminata produzione della normativa rabbinica, la
halakhah. L'opera si propone di guidare il lettore in un viaggio lungo e
affascinante, spesso sorprendente e inatteso, finalizzato a cogliere i
momenti e le figure fondamentali del pensiero ebraico.
Gli ebrei tra ragione e rivelazione
La via di Maimonide: sposare Aristotele con la Torah
Esce il primo volume della storia del pensiero israelitico scritto dal rabbino Giuseppe Laras
di Armando Torno Corriere 20.6.14
Giuseppe Laras, rabbino capo emerito di Milano, è tra gli studiosi più
autorevoli del pensiero ebraico medievale. È presidente del Tribunale
rabbinico del Centro-Nord Italia, nonché uno dei massimi specialisti di
Mosè Maimonide (Mosheh ben Maimòn). Di questo filosofo ha, tra l’altro,
curato dei testi: Gli otto capitoli. La dottrina etica (Giuntina 2001) e
Immortalità e resurrezione (Morcelliana 2006). Sta ora uscendo il primo
volume — il secondo a fine estate — di un’opera di sintesi che
rispecchia i suoi studi, i mille percorsi: «Ricordati dei giorni del
mondo». Storia del pensiero ebraico dalle origini all’età moderna (Edb,
pp. 272, e 16.50). Nel successivo volume verrà esaminato il periodo
dall’Illuminismo al mondo contemporaneo. Non si tratta semplicemente di
una storia della filosofia ebraica, ma di una sintesi dell’inesausto
pensare che testi biblici, talmudici, intuizioni mistiche della Qabbalah
e produzioni vastissime della normativa rabbinica, la Halakhah, hanno
accumulato accanto alle congetture filosofiche.
Rav Laras prende il lettore per mano guidandolo dallo shock che il
pensiero talmudico sperimentò entrando in contatto con la razionalità
greca fino alla grande sintesi scolastica medievale. È un’epoca in cui
emergono due figure colossali: Sa’adyah ben Yoséph ha-Gaòn (882-942),
primo traduttore della Bibbia in arabo, secondo il quale «per ben
credere bisogna ben ragionare»; e Mosè Maimonide (1135-1204), giurista,
medico, rabbino, pensatore innamorato di Aristotele, ma che — sottolinea
Laras — «sul tema della creazione erige un netto steccato fra la
speculazione aristotelica e il dato della Rivelazione». Ecco inoltre
l’autore offrire preziose indicazioni sull’epoca successiva
all’espulsione degli ebrei dalla Spagna da parte di Isabella e
Ferdinando (1492). Da quel momento il loro pensiero anziché interrogarsi
su Dio si pose la questione riguardante il popolo d’Israele e il suo
destino. Nacque una «identità marranica» che si manifestò attraverso
«un’intima e straziante contraddizione all’interno dell’animo e della
psiche degli ebrei». È un aspetto della modernità. Laras sintetizza quel
che letteratura e filosofia registreranno nei secoli successivi
attraverso le opere di eminenti protagonisti: «Essere e non-essere,
essere “fuori” ed essere “dentro”, volere e rifiutare, a cavallo tra
ebraismo e cristianesimo, tra appartenenza al popolo di Israele e
formale adesione al cattolicesimo, tra fedeltà sincera e tenace
all’ebraismo e paura del peccato di apostasia: queste le caratteristiche
di un vero e proprio sdoppiamento della personalità, che talvolta
raggiunse una sorta di para-schizofrenia». Si pensi a Spinoza e al suo
maestro, il qabbalista Menasheh ben Israel, che ebbe tra l’altro un
ruolo rilevante nelle trattative con il governo di Oliver Cromwell per
la riammissione nei territori inglesi degli ebrei, espulsi nel 1290.
In entrambi i volumi (il secondo abbiamo avuto il permesso di vederlo in
bozze) si nota il grande contributo dell’ebraismo italiano in seno alla
più generale storia del pensiero ebraico e della normativa rabbinica.
Lo provano figure quali Elia Delmedigo, maestro di Qabbalah di Pico
della Mirandola e prezioso traduttore di Averroè, o Abravanel padre
(uomo di Stato e commentatore dei testi biblici) o suo figlio,
l’umanista noto come Leone Ebreo, autore dei Dialoghi d’amore (Roma
1535) in cui si fondono in una luce neoplatonica teorie ermetiche,
orfismo, mistica ebraica e araba. Per aggiungere un altro protagonista:
Leon da Modena, morto a Venezia nel 1648. Anche se fu tormentato dal
vizio del gioco d’azzardo, lasciò scritti dottrinali e apologetici di
notevole valore, tra i quali Arì Nohèm (Il leone ruggente ), in cui
confutava la Qabbalah e si suoi sostenitori.
Il secondo volume si occupa della contrastata penetrazione del pensiero
illuminista in seno alla tradizione dei figli d’Israele, dello scontro
tra l’ortodossia rabbinica e la riforma ebraica (oggi coincidente con la
maggioranza dell’ebraismo nord americano) e della nascita del sionismo.
Laras sottolinea che il Novecento presenta una «difficile mappatura»,
giacché resta il secolo dei Protocolli dei savi anziani di Sion , della
Shoah, della nascita dello Stato d’Israele (1948) e della «disfatta
della filosofia» (così definisce l’adesione di Heidegger al nazismo).
La prefazione del libro è del cardinale Carlo Maria Martini. Fu scritta a
suo tempo per la collana che ospita l’opera, «Cristiani ed ebrei», ma
qui assume un particolare significato per l’amicizia che ci fu tra Laras
e il porporato. I due, oltre ad avviare il dialogo ebraico-cristiano,
si incontrarono poche settimane prima della scomparsa del cardinale. E
reciprocamente si benedirono.
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