martedì 2 settembre 2014

Ancora su "Gramsci. Il sistema in movimento", di Alberto Burgio

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La filologia vivente di Gramsci
Antonio Gramsci. Il nuovo libro di Alberto Burgio analizza gli scritti dell’intellettuale e dirigente comunista dal periodo torinese ai «Quaderni dal carcere». Un’opera presentata però come un sistema unitario,mettendo così in secondo piano le discontinuità interne che la caratterizzano Guido Liguori, 2.8.2014 il Manifesto

Dopo Gram­sci sto­rico (2003) e Per Gram­sci (2012), Alberto Bur­gio torna sul mar­xi­sta e comu­ni­sta sardo con un volume cor­poso e denso, punto di arrivo di un lungo lavoro di scavo e rifles­sione. In Gram­sci. Il sistema in movi­mento (Deri­veAp­prodi, pp. 489, euro 27) ven­gono river­sati studi già noti, ma molto mate­riale è aggiunto, e il tutto è rior­di­nato al fine di rico­struire l’insieme della rifles­sione gram­sciana, dagli anni tori­nesi a quelli del car­cere. Un con­tri­buto di grande ric­chezza, che pre­senta però anche tratti pro­ble­ma­tici, che meri­tano di essere quanto meno indi­cati e, per quel che è qui pos­si­bile, discussi.
La cifra di fondo della rico­stru­zione di Bur­gio è quella dell’unitarietà e della con­ti­nuità: per ciò che con­cerne il pen­siero di Gram­sci, ma anche i legami tra que­sto e i punti di ispi­ra­zione prin­ci­pali, indi­vi­duati in Hegel e Marx, Labriola e Lenin. Un Gram­sci hegelo-marxista-leninista, per cui fon­da­men­tale fin dagli anni gio­va­nili è la «presa di coscienza» e la com­pren­sione di una «neces­sità» non fata­li­stica ope­rante nella sto­ria.
Un pen­siero non esente da svol­gi­menti, ma uni­ta­rio e orga­nico. Le idee-forza del «sistema» gram­sciano per­man­gono lungo tutto l’arco della rifles­sione di que­sto autore. Sistema, per­ché inter­na­mente coe­rente, anche se non sta­tico, per i muta­menti radi­cali che segnano gli anni con­si­de­rati. L’opera gram­sciana è per Bur­gio «uni­ta­ria, ben­ché incom­piuta, e siste­ma­tica nelle inten­zioni del suo autore, il quale con­ce­pi­sce la real­tàe la sto­ria come una tota­lità». Lo svi­luppo sto­rico è «un pro­cesso uni­ta­rio rela­ti­va­mente coe­rente e dotato di senso», «suscet­ti­bile di pre­vi­sioni e anti­ci­pa­zioni da parte del sog­getto rivo­lu­zio­na­rio»: alla teo­ria spetta «l’onere di resti­tuirne una rap­pre­sen­ta­zione organica».
 
Pro­blemi di metodo
Si impone su que­ste tesi una prima rifles­sione. Di con­tro a un certo uso post-moderno di un pen­sa­tore adat­tato a tutte le biso­gne, fino a dimen­ti­carne o a tra­dirne il qua­dro di rife­ri­mento com­ples­sivo (il mar­xi­smo) e le fina­lità (rivo­lu­zio­na­rie), è ben com­pren­si­bile che Bur­gio fac­cia oppo­si­zione. Ci si chiede però se que­sta inten­zione di fedeltà a Gram­sci, alla sua pro­ble­ma­tica e alle sue moti­va­zioni sia per­se­gui­bile facen­done l’autore di un sistema com­piuto. Non va così persa pro­prio la dimen­sione poli­tica e mili­tante del suo pen­siero, anco­rata alla prassi e alle sue ine­vi­ta­bili discon­ti­nuità? E non si fini­sce per tra­scu­rare – in que­sto con­ti­nui­smo teo­rico tutto interno al mar­xi­smo – «fonti» ugual­mente impor­tanti?
Non che gli autori citati non siano fon­da­men­tali per Gram­sci, tutt’altro. Biso­gne­rebbe però stare attenti a non dimen­ti­care la più vasta com­ples­sità della sua for­ma­zione, l’ampio arco di fat­tori (ad esem­pio, la cul­tura fran­cese) che, nel clima della rea­zione al posi­ti­vi­smo, con­tri­bui­rono alla sua ori­gi­na­lità e che rie­mer­gono (basti pen­sare a Sorel) negli scritti del car­cere. Spin­gere troppo sul tasto della con­ti­nuità rischia di offu­scare que­sto ele­mento cru­ciale, di lasciare in ombra come – accanto a pro­ble­ma­ti­che costanti e anche al ritorno, nei Qua­derni, di alcuni ori­gi­nali tratti gio­va­nili – sus­si­stano discon­ti­nuità dovute ad esem­pio al ruolo di dire­zione poli­tica eser­ci­tato negli anni Venti. Momenti di vera e pro­pria svolta (ad esem­pio su Bene­detto Croce, per citare un caso ecla­tante) vi sono nella rifles­sione car­ce­ra­ria: fat­tori che si rischia di sot­to­va­lu­tare con un tale impianto di metodo.
 
Con­tro il canone dominante
Mi rife­ri­sco anche alla pole­mica – a volte espli­cita, pur se accom­pa­gnata da qual­che pru­denza – che Bur­gio sol­leva verso il canone pre­va­lente negli ultimi lustri di studi gram­sciani in Ita­lia, quella nuova atten­zione ai testi e alla loro sto­ria, al rap­porto tra ela­bo­ra­zione a bat­ta­glia poli­tica, nata a par­tire dall’opera filo­lo­gica di Valen­tino Ger­ra­tana e poi dal lavoro di Gianni Fran­cioni. Mi sem­bra che Bur­gio nutra verso que­sto che con­si­dera un eccesso di filo­lo­gi­smo una pre­oc­cu­pa­zione in qual­che modo «poli­tica»: il fatto cioè che nella filo­lo­gia si perda la «filo­lo­gia vivente». Egli giunge ad affer­mare che il «feti­ci­smo dei testi» impe­di­sce di com­pren­dere lo spi­rito gram­sciano, da cogliere anche con­tro la let­tera dei testi.
Capi­sco la pre­oc­cu­pa­zione, ma credo non solo che la sfida filo­lo­gica vada accet­tata, ma che que­sto nuovo modo di leg­gere Gram­sci sia foriero di svi­luppi posi­tivi nella com­pren­sione della let­tera e dello spi­rito dei suoi scritti (e in caso con­tra­rio, si apre la strada a chi vede nel comu­ni­sta sardo soprat­tutto un «pro­fes­sore», non un mili­tante rivo­lu­zio­na­rio).
Bur­gio non è por­tato a leg­gere la rifles­sione gram­sciana legan­dola al suo con­te­sto per­ché vede in essa una for­tis­sima con­ti­nuità. Ciò lo con­duce, ad esem­pio, a citare di seguito, quasi si trat­tasse di un unico libro, affer­ma­zioni tratte dagli scritti del dopo­guerra come dai Qua­derni come dalle rifles­sioni del Gram­sci diri­gente di par­tito. In que­sto modo si met­tono in evi­denza indub­bie asso­nanze, ma si rischia che vada persa pro­prio la leni­niana «ana­lisi con­creta della situa­zione con­creta», che Gram­sci pone alla base di tutta la sua rifles­sione. Senza il pun­tuale rife­ri­mento alla bio­gra­fia poli­tica del comu­ni­sta sardo l’affermazione per cui «le prin­ci­pali cate­go­rie e l’assetto gene­rale del mar­xi­smo di Gram­sci ci paiono rima­nere inal­te­rati» resta indimostrata.
 
La rela­zione egemonica
Pur con tali per­ples­sità, il libro è di grande ric­chezza. Non potendo accen­nare a tutti i temi in esso svi­lup­pati (dalla teo­ria della crisi alla con­ce­zione dello Stato, dall’ideologia all’americanismo, dal cesa­ri­smo all’analisi del fasci­smo, alla sto­ria degli intel­let­tuali ita­liani, e altri ancora), ne ricordo solo due fon­da­men­tali. Penso alle pagine sull’egemonia, dove l’autore evi­den­zia come essa non abbia una dimen­sione solo discor­siva e cogni­tiva poi­ché anche i pro­cessi pro­dut­tivi, per Gram­sci, «fun­gono da vet­tore» del discorso ege­mo­nico. L’organizzazione di fab­brica e l’organizzazione della vita eco­no­mica sono anzi uno dei prin­ci­pali canali dell’egemonia (non a caso il con­senso che per­mette la Grande Rivo­lu­zione viene non solo dall’illuminismo, ma anche dal fatto che la bor­ghe­sia ha creato nuovi rap­porti pro­dut­tivi e pro­prie­tari).
Bur­gio indaga la com­ples­sità dell’egemonia, ne mette in rilievo l’ambiguità: il potere, ogni potere, ha biso­gno di con­senso, ma la rela­zione ege­mo­nica è asim­me­trica, uno dei due poli ingloba i rap­porti di forza esi­stenti a suo van­tag­gio. Anche per que­sto, forza e con­senso sono un insieme ine­stri­ca­bile. Ed è costante la oscil­la­zione – nella realtà come nelle pagine gram­sciane – tra il con­senso con­sa­pe­vole e quello otte­nuto gra­zie all’abilità pro­pa­gan­di­stica e orga­niz­za­tiva dei domi­nanti. Non solo. L’ambiguità dell’egemonia viene letta da Bur­gio anche in un’altra più posi­tiva dire­zione: la dina­mica ege­mo­nica apre spazi alla cre­scita della sog­get­ti­vità subal­terna, la sua stessa asim­me­tria per­mette all’egemonizzato di cre­scere, con­tiene poten­zia­lità critiche.
 
La rivo­lu­zione passiva
Anche le pagine sulla rivo­lu­zione pas­siva sono di grande inte­resse, soprat­tutto per l’analisi delle dif­fe­renze tra le rivo­lu­zioni pas­sive del Nove­cento e quelle pre­ce­denti. Que­ste ultime appa­iono vere rivo­lu­zioni, cam­bia­menti che segnano una tran­si­zione sto­rica. Non così le rivo­lu­zioni pas­sive del secolo scorso, fasci­smo e ame­ri­ca­ni­smo, che per­met­tono al capi­ta­li­smo solo di con­ti­nuare a durare, e al mas­simo con­ser­vano l’esistente. Per­ché allora Gram­sci usa la stessa cate­go­ria per feno­meni tanto diversi? Per­ché gli inte­ressa, risponde Bur­gio, soprat­tutto lo sta­tuto delle «forze d’opposizione», che per la loro debo­lezza per­met­tono alla con­tro­parte di dirigere-gestire le situa­zioni di crisi orga­nica. E per­ché da pro­cessi simili sor­ti­scono esiti così dif­fe­renti? Per­ché nella crisi orga­nica che pre­para l’avvento al potere della bor­ghe­sia le forze in campo erano tre (ari­sto­cra­zia, bor­ghe­sia, classi popo­lari), in quella del secolo scorso le «classi fon­da­men­tali» sono solo due. Dun­que il con­flitto è «irri­du­ci­bile» e «i com­pro­messi pos­si­bili tra capi­tale e lavoro pos­sono avere tutt’al più il carat­tere di tre­gue nel qua­dro di un con­flitto strut­tu­rale».
Molti altri punti andreb­bero messi in rilievo: in pri­mis, la cri­tica della demo­cra­zia par­la­men­tare avan­zata negli anni dell’«Ordine Nuovo» e rin­no­vata nei Qua­derni, anche per l’influenza rile­vante – con­cordo pie­na­mente con Bur­gio – che su Gram­sci ha l’elitismo, teo­ria con­ser­va­trice avver­sata ma assor­bita per molti aspetti. Il libro offre in gene­rale mol­tis­simi spunti di rifles­sione: di que­sto innan­zi­tutto va reso merito all’autore.

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