sabato 20 settembre 2014
Euromania sorda e cieca
Città Unite d’Europa così rinasce il sogno dell’integrazione
ULRICH BECK Repubblica 20 settembre 2014
COS’È
esattamente l’Europa? L’Europa non è una condizione fissa, non è
un’unità territoriale, non è uno stato e neppure una nazione. Di fatto,
l’”Europa” non esiste, esiste l’europeizzazione, una metamorfosi, un
processo di trasformazioni in corso. Sebbene il processo di
europeizzazione — la «realizzazione di un’unione sempre più stretta dei
popoli d’Europa», come cita il trattato dell’Unione — sia stato
intenzionale, le sue conseguenze istituzionali e materiali sono state
fortuite. Il fatto sorprendente è che il processo di integrazione non ha
seguito alcun piano generale.
Al contrario: l’obiettivo è stato volutamente lasciato aperto.
L’europeizzazione “funziona” nella modalità specifica di
improvvisazione istituzionalizzata. Per lungo tempo è sembrato che
questa politica di effetti collaterali avesse un enorme vantaggio: il
colosso dell’europeizzazione andava avanti implacabilmente, sembrava
non avere bisogno di un programma politico indipendente o di una
legittimazione politica.
Lo
sviluppo dell’Ue può avvenire attraverso la cooperazione
transnazionale di élite con propri criteri di razionalità, per lo più
indipendenti da interessi, convinzioni politiche e pubblici nazionali.
Questa interpretazione di “governance tecnocratica” è in relazione
inversa con la dimensione politica. Il quadro dei trattati europei
esercita una “meta-politica” che altera le regole del gioco della
politica nazionale attraverso l’entrata in campo furtiva degli effetti
collaterali.
L’europeizzazione non significa la scomparsa degli Stati nazionali,
bensì la metamorfosi dello stato-nazione. Ispirandosi alla legge
europea, la differenza amico- nemico è stata istituzionalmente
sostituita da un’architettura cosmopolita di cooperazione tra Stati,
creando, nel mondo a rischio del ventunesimo secolo, un nuovo livello
di potere contrattuale e alcune leve per controllare i rischi globali e
il potere economico. L’europeizzazione è un processo di creazione di
istituzioni che, per sua natura, è “cosmopolita”. Perché è così?
Perché non è uno Stato federale (modello na- zionale).
L’europeizzazione mette in comune la sovranità e la decentra anche ai
governi locali-regionali. Questi stati europei cosmopolizzati inoltre
subappaltano la sovranità anche alle istituzioni internazionali come la Nato, il Fondo monetario internazionale o il G7.
Qual è stata, allora, la motivazione che ha spinto a trasformare il progetto dell’Ue da carattere
nazionale a un carattere cosmopolita? La mia risposta è: l’incentivo e
la carica per questa metamorfosi sono comparsi con lo shock
antropologico causato dagli orrori della seconda guerra
mondiale. Da questa situazione sono emersi un orizzonte normativo e un
imperativo: l’etica politica del “Mai più” — mai più Olocausto!
L’idea di base è che lo shock
universale davanti alla violazione dei principi etici dell’umanità
crei un orizzonte normativo di aspettative, che sfida l’ordine esistente
delle cose dall’interno. “Mai più Olocausto!” implica un’intesa di giustizia e legge — l’obbligo di cambiare le istituzioni nazionali e gli atteggiamenti esistenti.
C’è un movimento rivoluzionario che sta scuotendo l’Unione europea
nel contesto della crisi dell’euro. Non si tratta di un movimento
pro-europeista, bensì anti- europeista. Per riuscire a comprendere
come si muovono i sentimenti anti-europeisti bisogna fare una grande
differenziazione. Ci deve essere una chiara distinzione tra
l’accettazione e l’uso dell’europeizzazione nella vita quotidiana e il
sostegno politico all’Ue. Per chi vive una vita fortemente
europeizzata, in particolare, l’Ue è politicamente molto controversa.
C’è questo paradosso: lo scetticismo nei confronti dell’Ue aumenta
di pari passo con l’apprezzamento di una vita quotidiana europea. Ad
esempio, i danesi e gli inglesi sono entrambi europeizzati nelle loro
pratiche quotidiane ed euroscettici, se non addirittura
anti-europeisti, come elettori.
Come può l’Europa superare questa crisi di convivenza? Una larga parte
degli euro-critici e degli anti-europeisti che stanno alzando la voce
in questo periodo sono prigionieri di una nostalgia nazionale obsoleta.
Ci serve una visione cosmopolita per capire il tipo di disperazione
che ribolle sotto la superficie degli ambienti delle periferie europee e
che sta tracimando in entusiasmo per la protesta antieuropeista. Tutte
le nazioni si trovano a dovere affrontare un nuovo pluralismo
culturale, non solo come conseguenza della migrazione, ma anche della
comunicazione in Internet, del cambiamento climatico, della crisi
dell’euro e delle minacce digitali alla libertà. Persone delle più
diverse estrazioni, con lingue diverse, concezioni di valore diverse e
religioni diverse, vivono e lavorano insieme fianco a fianco, cercano
di inserirsi negli stessi sistemi giuridici e politici, e i loro figli
frequentano le stesse scuole.
Non dovremmo quindi pensare solo a “un’altra Europa”, dobbiamo
pensare anche al prossimo passo dell’europeizzazione: al modo in cui le
nazioni europee subiscono la metamorfosi da una concezione di carattere
nazionale etnico a una concezione cosmopolita. Questa europeizzazione
cosmopolita non è un ostacolo alla sovranità nazionale. È
esattamente il contrario, poiché include il cambiamento della sovranità
degli stati nazionali europei dal livello nazionale a quello
cosmopolita. L’europeizzazione non deve minacciare il carattere
nazionale, è parte di ciò che fa aprire le nazioni al mondo, rendendole
cooperative, appetibili e potenti, in un era di rischi globali.
Se l’Europa vuole superare le sue crisi di coesistenza, secondo
un’altra tesi, deve riscoprire e rinvigorire la sua identità nelle
grandi opere, nei monumenti e nei paesaggi della cultura europea.
«Dalle coste dell’Africa dove sono nato», scriveva Albert Camus, «si
vede meglio il volto dell’Europa. E si sa che non è bello». Per Camus,
ammiratore di Nietzsche, la bellezza è un criterio di verità e di vita
felice. Ed è radicata nella cultura mediterranea. La storia ha logorato
molte cose — l’idea della nazione, l’astuzia della ragione, la
speranza nel potere liberatorio della razionalità e il mercato; perfino
l’idea di progresso è diventata la fonte dell’apocalisse.
Ciò evoca l’immagine di una piacevole Europa delle Regioni che vale la
pena vivere. Il legame apparentemente necessario tra lo Stato,
l’identità nazionale e una lingua unica verrebbe cancellato. L’Unione,
gli Stati membri e le loro regioni si occupano del benessere dei
cittadini a diversi livelli. Essi prestano ai cittadini, da un lato, una
voce nel mondo globalizzato, dando loro, dall’altro, un senso di
sicurezza regionale e di identità. La democrazia quindi sta diventando
una realtà a più livelli.
Che cosa potrebbe riconciliare, dunque, gli europei anti-europeisti
con l’idea di europeizzazione? L’anti-centralismo — l’antiideologia
che è priva di nostalgia etnico-nazionale. La svolta e il ritorno alla
bellezza delle regioni che, allo stesso tempo, sono anche globalizzate,
come métissage culturale, incontro tra diverse culture. E la città
come attore europeo cosmopolita! La libertà è nell’aria della città. Se
si guarda il panorama politico, si vedrà che le città sono isole
rosso-verdi nel mare nero del conservatorismo nazionale. Perciò non
dovremmo cercare solo gli Stati Uniti d’Europa, ma anche le Città Unite
d’Europa — per un’Europa multicentrica e per la democrazia europea.
Traduzione di Laura Pagliara
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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