giovedì 25 settembre 2014
Il sonno della sinistra genera Renzi
E perché riuscirà ad abolire quell'art. 18 che nemmeno Berlusconi era riuscito a toccare?
Un estratto da S.G. Azzarà, Democrazia Cercasi, Imprimatur, pp. 12-14
"... Insomma, la sinistra italiana non muore affatto oggi con la
vittoria di Matteo Renzi e la calata dei suoi barbari deculturati e
opportunisti, come molti nel loro stesso partito li hanno dipinti un
attimo prima di provare a farseli amici. La sinistra italiana ha
cominciato a morire molti anni fa.
Quando, in seguito a un cambio di fase nel modo di produzione
capitalistico e a una sconfitta strategica di proporzioni rivelatesi
bibliche, invece di fermarsi a ripensare le proprie ragioni e le nuove
forme possibili del conflitto politico-sociale in Occidente ha preteso
di governare processi molto più forti di lei, confidando nelle virtù
salvifiche di una cittadinanza che però nulla è e nulla può senza la
forza del lavoro. Processi che erano causa e conseguenza a un tempo
della tragedia dei propri ceti sociali di riferimento e di nuovi
terribili rapporti di forza tra le classi. E che mai il mito
anglosassone della società civile e delle pari opportunità, né tanto
meno quello di un’inutile governabilità fine a se stessa, avrebbero
potuto domare.
L’illusione di ridurre tramite una tattica mimetica
il danno dei durissimi colpi subìti nei pochi anni intercorsi tra la
marcia dei Quarantamila e il decreto di San Valentino comincia già dalla
metà degli anni Ottanta. E comincia proprio presso la sinistra più
colta e raffinata: quella di Botteghe Oscure e delle amministrazioni
rosse, delle università e delle grandi redazioni, delle case editrici e
della miriade di corpi intermedi collaterali che il Pci aveva saputo
costruire accanto al sindacato in tempi pionieristici e lontani. Dopo la
caduta del Muro, la convinzione di potersi salvare solo a condizione di
deporre le armi diventa poi l’unico orizzonte strategico di un soggetto
– e dei suoi satelliti subalterni – che non è stato nemmeno in grado di
darsi un’impostazione dignitosamente laburista o socialdemocratica.
Così, mentre tutt’attorno il mondo cambiava al ritmo accelerato dello
spettacolo postmoderno e idee, simboli e linguaggi si confondevano in
una babele sincretistica immemore della propria storia, le classi
lavoratrici perdevano in pochi anni gran parte delle posizioni
conquistate nel cinquantennio precedente, in cambio della libertà
claustrofobica del sogno del consumo di massa. E i loro partiti e il
loro sindacato si dimostravano così assetati di legittimazione da
mostrarsi pronti a fornire ogni sorta di rassicurazione a chi ne metteva
in dubbio le capacità di dare al paese un governo moderato e stabile.
Invece di elaborare le nuove condizioni di una drammatica resistenza di
lunga durata di fronte a un’offensiva terribile delle classi dominanti,
accompagnavano perciò il mondo del lavoro in questo arretramento e
transitavano sempre più a destra assieme al quadro politico complessivo.
Operando scelte politiche ed economiche che spostavano ricchezza e
potere dal basso verso l’alto, dai più deboli ai più forti. Lasciando
spazio alle più improbabili bizzarrie culturali. Mutando, non nel senso
del normale e inevitabile mutamento storico ma in quello che consiste
nel far proprie le ragioni dell’avversario senza nemmeno accorgersene.
Adeguandosi cioè a una vera e propria controrivoluzione – a una
rivoluzione conservatrice – in cui albergava anche una distorsione
irreversibile della Costituzione repubblicana. «Rinnovandosi», insomma,
come direbbero D’Alema e il suo allievo Renzi.
Non ci si lasci
ingannare dalle radici democristiane di Renzi: è la rapidità con la
quale il corpaccione dell’ex Pci lo ha subito incorporato e
metabolizzato, il vero problema. Renzi nasce proprio in quegli anni ed è
dunque il legittimo erede di quella stagione: non dell’amendolismo
della Guerra fredda, che aveva una sua nobile ragion d’essere, ma semmai
della degenerazione del tardo togliattismo, del migliorismo degli anni
Ottanta, del pragmatismo all’emiliana, delle incertezze dello stesso
Berlinguer. E poi delle infatuazioni bonapartiste, leaderiste e
privatizzatrici; ma anche della vacuità e del formalismo tipici del
movimentismo radicaloide, che ha impedito ai soggetti alla sinistra del
Pd di rappresentare una alternativa credibile. Il suo successo odierno è
pienamente legittimato, dunque. Perché lui è esattamente quella Bestia
che in troppi, in maniera consapevole o meno, hanno evocato nel corso di
molte stagioni. E che ora si presenta e chiede di fare i conti,
scegliendo di gettare a mare la zavorra ma anche di imbarcare tutti
quelli che possono essergli utili...".
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento