giovedì 4 settembre 2014

Presto anche su Hannah Arendt cadrà l'accusa di antisemitismo

Eichmann Before JerusalemBettina Stangneth: Eichmann Before Jerusalem, Knopf

Eichmann era un cinico nazista, non «la banalità del Male»
La filosofa tedesca Bettina Stangneth nel suo libro ribalta la tesi di Hannah Arendt che definiva l’SS un burocrate

di Mario Avagliano Il Messaggero 4.9.14

Adolf Eichmann, ovvero il Male non banale. A 51 anni dalla pubblicazione del libro di Hannah Arendt Eichmann in Jerusalem, proposto in Italia da Feltrinelli con il titolo La banalità del male, una nuova ricerca demolisce le tesi della studiosa tedesca naturalizzata americana, che nel 1961 seguì per la rivista New Yorker le 121 udienze del processo in Israele a uno dei principali responsabili della macchina della soluzione finale, condannato a morte e impiccato l’anno dopo. E capovolge la rappresentazione del criminale di guerra nazista fatta dalla Arendt come «un esangue burocrate» che si limitava ad eseguire gli ordini e ad obbedire alle leggi.
A firmare il saggio, uscito questa settimana negli Stati Uniti per i tipi di Alfred A. Knopf e già recensito con grande rilievo dal New York Times, è una filosofa tedesca che vive ad Amburgo, Bettina Stangneth, che ha lavorato attorno alla figura di Eichmann per oltre un decennio, scavando a fondo sulla sua storia. Ne è venuto fuori un libro provocatoriamente intitolato Eichmann prima di Gerusalemme. La vita non verificata di un assassino di massa, già pubblicato con scalpore in Germania. Se ascoltando Eichmann a Gerusalemme, la Arendt rimase impressionata dalla sua «incapacità di pensare», invece analizzando l’Eichmann capo della sezione ebraica della Gestapo, e poi in clandestinità in Sudamerica, la Stangneth vede all’opera un abile manipolatore della verità, tutt’altro che un “funzionario d’ordine” o «un piccolo ingranaggio dell’enorme macchina di annientamento di Hitler», come si autodefinì nel corso del suo processo. Adolf fu un carrierista rampante e ambizioso e un nazista fanatico e cinico, che agì con incondizionato impegno per difendere la purezza del sangue tedesco dalla “contaminazione ebraica”. In passato già vari ricercatori avevano seriamente messo in discussione le conclusioni della Arendt. Ma con questo libro la Stangneth le "frantuma" definitivamente, come ha dichiarato Deborah E. Lipstadt, storica alla Emory University e autrice di un libro sul processo Eichmann. La Stangneth sostiene che la Arendt, morta nel 1975, fu ingannata dalla performance quasi teatrale di Eichmann al processo. E aggiunge che forse «per capire uno come Eichmann, è necessario sedersi e pensare con lui. E questo è il lavoro di un filosofo».
LA RICERCA
La filosofa tedesca ha però lavorato come uno storico, rovistando in ben 30 archivi internazionali e consultando migliaia di documenti, come le oltre 1.300 pagine di memorie manoscritte, note e trascrizioni di interviste segrete rilasciate da Eichmann nel 1957 a Willem Sassen, un giornalista olandese ex nazista residente a Buenos Aires.
Un libro che rivela tanti dettagli inediti, come la lettera aperta scritta nel 1956 da Eichmann al cancelliere tedesco occidentale, Konrad Adenauer, per proporre di tornare in patria per essere processato e informare i giovani su ciò che era realmente accaduto sotto Hitler (conservata negli archivi di stato tedeschi), oppure la riluttanza dei funzionari dell’intelligence della Germania Ovest che sapevano dove si trovava Eichmann già nel 1952 – ad assicurare lui e altri ex gerarchi nazisti alla giustizia.
Ma il cuore del libro è il ritratto di Eichmann “esule” in Argentina, dove venne scovato e arrestato dagli agenti segreti del Mossad. All’apparenza era diventato un placido allevatore di conigli, con il nome di Ricardo Klement. In realtà l’ex gerarca nazista aveva conservato l’arroganza di un tempo e non era niente affatto pentito, tanto da spiegare la sua “attività” con una tirata che a leggerla lascia inorriditi. «Se 10,3 milioni di questi nemici fossero stati uccisi disse degli ebrei allora avremmo adempiuto il nostro dovere».
Altrettanto interessante è la descrizione del cerchio magico di ex nazisti e simpatizzanti nazisti che lo circondava in Sudamerica. Personaggi che formavano una sorta di perverso club del libro, che s’incontrava quasi ogni settimana a casa di Willem Sassen per lavorare nell’ombra contro la narrazione pubblica emergente della Shoah, discutendo animatamente su ogni libro o articolo che usciva sull’argomento. Con l’obiettivo di fornire materiale per un libro che avrebbe raffigurato l’Olocausto come una esagerazione ebraica, «la menzogna dei sei milioni» di morti.



La banalità del male è una banalitàdi Angelo Aquaro Repubblica 7.9.14
“LA banalità del Male”? Una banalità. Adolf Eichmann non fu quel burocrate dell’orrore «che non si rese mai conto di quello che stava facendo». Hannah Arendt sbagliava. Il “capo degli affari ebraici” della Germania nazista partecipò con pieno convincimento alla Shoah: così almeno sostiene Bettina Stangneth in Eichmann before Jerusalem . “Prima di Gerusalemme”. Cioè prima di quel pro- cesso spettacolare che la giovane filosofa Hannah Arendt seguì per il New Yorker e che diventò appunto il libro La Banalità del Male . Stangneth ricostruisce ora le migliaia di pagine di testimonianze di Eichmann prima del processo in Israele. Un signore che pensava che «se 10,3 milioni » di ebrei «fossero stati uccisi solo allora avremo completato il nostro lavoro». Di più. Un signore che argomentava questi orrori discettando sulla filosofia di Immanuel Kant: altro che burocrate «incapace di pensare».
Hannah Arendt sbagliava? Il recensore del New York Times non tira in ballo quella che potremmo definire “la sindrome di Colombo”. Perché davvero Arendt credette di avere trovato una nuova via per l’lndia: mentre in realtà aveva scoperto l’America. «Individuò il problema giusto nel personaggio sbagliato» dice Christopher Browing, l’autore di quegli Ordinary Men, “Uomini comuni” (è il titolo italiano del saggio tradotto da Einaudi) che rivoluzionò la storiografia sul nazismo.
Perché il regime era davvero composto da «tantissime persone che si comportarono come Hanna Arendt pensò si comportasse Eichmann»: ordinari esecutori degli ordini. La banalità del male una banalità?
Che beffa sarebbe pensare – come vorrebbe di sé il diavolo – che non esiste.

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