sabato 4 ottobre 2014

Gender, differenza, sessualità, affettività metamorfica: il punto di vista cattolico e quello degli studi di genere









Intervista Peeters
Giovanni Maria Del Re Avvenire 3 ottobre 2014


Giuliani, Galetto, Martucci: L’amore ai tempi dello tsunami. Affetti, sessualità, modelli di genere in mutazione, ombre corte


Risvolto
Da tempo è in atto uno tsunami che travolge i modelli tradizionali di coppia, sessualità e ruoli di genere. Anziché attendere la quiete per contare le vittime, le autrici e gli autori di questo volume ne cavalcano le onde, restituendo racconti di esperienze eccentriche, fluide, molteplici e in continuo mutamento.
Pur diversi per collocazione disciplinare e forma narrativa, i contributi qui raccolti sono tuttavia accomunati da un esplicito posizionamento autoriflessivo, sullo sfondo delle grandi contraddizioni e trasformazioni del nostro tempo. Ne risulta una polifonia di voci che restituisce una visione originale e articolata degli affetti, del desiderio e dei modelli di genere e sessualità vissuti in un contesto di precarietà, non solo economica e lavorativa ma fondamentalmente esistenziale.
Riflessioni e ricerche di un lavoro corale che non si limita a fotografare e analizzare l'esistente, ma indica le strategie necessarie per mettere in discussione l'ordine delle cose, evocando una dimensione del pensare e dell'agire che da individuale diventa collettiva, assumendo così rilevanza sociale e politica.
 




La famiglia è flessibile 
Tempi presenti. La raccolta di saggi «L’amore ai tempi dello tsunami», uscita per ombre corte, lancia una sua sfida alla precarietà. Se da una parte lo smantellamento dei diritti e del welfare ha travolto ogni certezza, dall’altra ha autorizzato la nascita di nuove figure affettive e scelte riproduttive eccentriche

Cristina Morini, il Manifesto 4.10.2014 

È ormai chiaro che la pre­ca­rietà, defi­nita esi­sten­ziale dai filoni di pen­siero e di inchie­sta che più appro­fon­di­ta­mente l’hanno ana­liz­zata in que­sti anni, non ha a che vedere solo con la dimen­sione lavo­ra­tiva. Tra smot­ta­menti limac­ciosi, il dispie­garsi del para­digma bio­e­co­no­mico ha aperto una frat­tura fer­tile, uno spa­zio ibrido meno impac­ciato dal peso di iden­tità e isti­tu­zioni costruite sulla «norma» e sulle «natu­ra­liz­za­zioni». Lo sman­tel­la­mento del diritto del lavoro e del wel­fare ha tra­volto le cate­go­rie di tempo e spa­zio, demo­lendo impie­ghi a vita, cer­tezze pen­sio­ni­sti­che e garan­zie di red­dito. Ma ha anche lasciato respi­rare ori­gi­nali crea­ture sociali e desi­deri can­gianti inse­guiti da una razza bastarda (senza genere, senza genesi), per usare l’efficace imma­gine di Donna Hara­way. Por­ta­trice di forme ine­dite di vita e di scelte ripro­dut­tive eccen­tri­che, essa inventa nuovi legami e nuove «fami­glie», spe­ri­men­tando diverse forme di col­le­ganza, cioè nuovi discorsi amorosi. 

Rela­zioni instabili 
Così, appunto, la rac­colta di saggi L’amore ai tempi dello tsu­nami. Affetti, ses­sua­lità, modelli di genere in muta­mento (ombre corte, pp. 238, euro 22), curata da Manuela Galetto, Gaia Giu­liani e Chiara Mar­tucci, si lan­cia nella fon­da­men­tale e non abba­stanza pra­ti­cata esplo­ra­zione di que­sto nuovo pano­rama sociale dopo il pas­sag­gio dell’onda ano­mala che ha gene­ra­liz­zato la pre­ca­rietà. Lo sguardo degli autori e delle autrici che hanno con­tri­buito al testo si alza lad­dove si sta­gliano non solo mace­rie ma nuove con­fi­gu­ra­zioni delle rela­zioni e degli affetti nella post-modernità. Si sco­pre allora la potenza amo­rosa espressa da una «nuova spe­cie» non­ché la forza costrut­tiva di espe­rienze fino a ieri oscu­rate, attra­verso lo sve­la­mento della mul­ti­for­mità della sog­get­ti­vità ero­tica. Le libertà che sor­gono dalla assenza di assetti fissi dise­gnano una geo­gra­fia istrut­tiva che evoca l’aspetto incoer­ci­bile del desi­de­rio umano, pur coster­nato dai det­tami del neo­li­be­ra­li­smo. La vita, oggi dispo­sta in fun­zione dei biso­gni e degli impe­ra­tivi dell’impresa, si dibatte dispe­ra­ta­mente in cerca di un nuovo sta­tuto, con­sono alle neces­sità pre­senti e il sog­getto si inter­roga sulle ten­sioni che si sca­ri­cano sugli aspetti rela­zio­nali, affet­tivi e ami­cali, cer­cando vie d’uscita, cioè rispo­ste imme­dia­ta­mente poli­ti­che.
«La con­di­zione che risulta dalla scom­po­si­zione post­mo­derna del sog­getto — si legge nella pre­fa­zione – è vista come quella in cui si pro­du­cono l’atomizzazione e l’individualizzazione esclu­si­va­mente nel pri­vato delle stra­te­gia per fron­teg­giare l’instabilità e l’insicurezza pre­ca­rie. Il nostro inte­resse si rivolge invece alla neces­sità che il muta­mento, inteso come pre­ca­rietà dif­fusa, impone di un ripen­sa­mento com­ples­sivo delle forme di soli­da­rietà e risponde all’urgenza di dare voce alle nuove pra­ti­che affettivo-relazionali che l’attuale situa­zione economico-sociale pro­duce».
La cop­pia mono­ga­mica ete­ro­ses­suale e il «con­ti­nuum socio-sessuale» da essa incar­nato si sono sgre­to­lati o, per dirla con il titolo di uno dei saggi, di Ales­sia Acqui­sta­pace, assi­stiamo al «deco­lo­niz­zarsi della cop­pia». Si tratta ormai di una realtà spe­ci­fica, che non può più pre­ten­dere di model­lare tutti gli altri rap­porti sociali; emerge il desi­de­rio in quanto nozione auto­noma.
Pos­siamo pren­dere coscienza del fatto che la forma della nostra sog­get­ti­vità è radi­cal­mente sto­rica e con­tin­gente? Pos­siamo ammet­tere la non-necessità e la non-naturalità del «regime di verità» sulla base del quale tale forma è stata costi­tuita, senza pro­vare al con­tempo il biso­gno di cam­biare gli aspetti del nostro rap­porto con noi stessi, gli altri e il mondo che tro­viamo inac­cet­ta­bili? Senza pro­vare, insomma, il biso­gno di tra­sfor­mare la sog­get­ti­vità che ci viene impo­sta e di con­te­stare il regime di verità che «natu­ra­lizza» ed «eter­nizza» tale imposizione?. 

Vite «buone» 
«I corpi sono per­for­mance», ricorda Liana Bor­ghi nella bella post­fa­zione, «non sono una cosa e non sono per­ma­nenti»; «l’identità è un incon­tro, un evento, un inci­dente, un fatto, un momento del dive­nire di corpi in movi­mento». Vale la pena di ricon­fi­gu­rare i modelli esi­stenti di società e di poli­tica e di capire allora quali nostri atteg­gia­menti ci nor­ma­liz­zano e ci por­tano ad accet­tare stor­ture sociali e mol­te­plici ingiu­sti­zie, «rifu­gian­doci in una pic­cola feli­cità, che non è poco, ma non basta a ren­dere buona una vita cat­tiva».
Le inda­gini rac­colte affron­tano tali que­stioni «costi­tuenti» per la sog­get­ti­vità con­tem­po­ra­nea attra­verso un posi­zio­na­mento auto­ri­fles­sivo che rap­pre­senta una pre­cisa scelta meto­do­lo­gica (anch’essa poli­tica) e assume allora, per forza, un’altra voce rispetto alla cri­stal­liz­za­zione delle logi­che acca­de­mi­che. Il lin­guag­gio teo­rico viene deco­struito dall’approccio pre­scelto, che con­si­dera «impre­scin­di­bile l’esplicazione della posi­zione da cui gli autori e le autrici guar­dano le cose». Por­pora Mar­ca­sciano ricorre, per­ciò, alle parole «nude e crude» delle per­sone tran­ses­suali per espli­ci­tare come il «tran­sito» dia forma all’amore per­ché lo inse­gue lad­dove si trova senza accon­ten­tarsi della cor­ri­spon­denza tra sesso e genere rispet­tosa dei sistemi socio-sessuali vigenti. E Gaia Giu­liani e Chiara Mar­tucci, in un dia­logo sor­pren­dente rico­strui­scono i nessi tra la grande sto­ria (la guerra del Golfo, Genova 2001…), lo sva­nire del diritto del lavoro, i movi­menti sociali che hanno inter­pre­tato e com­bat­tuto la pre­ca­rietà, i col­let­tivi fem­mi­ni­sti che hanno letto le rica­dute esi­sten­ziali nel fra­gi­liz­zarsi del lavoro (May­day Parade; Scon­ve­gno; Sexy­shock) e la sto­ria per­so­nale, che ha affron­tato diret­ta­mente il muta­mento, anche vio­lento, con nuove con­sa­pe­vo­lezze e nuovi pro­cessi di pro­du­zione affet­tiva.
Ci spiega, Laura Fan­tone, come il desi­de­rio di mater­nità possa essere rein­ter­pre­tato facendo di se stessa una dona­trice di ovo­citi, il che signi­fica allar­gare la capa­cità gene­ra­tiva dell’essere, svin­co­lan­dosi dal mito della cop­pia eterna e dal para­dosso di una società ita­liana che vuole gene­ra­zioni fles­si­bili non libere di avere fami­glie fles­si­bili. Corpi, insomma, dispo­ni­bili a spe­ri­men­tare nuove agency, radi­cal­mente poli­ti­che. Elisa Arfini, «la ricer­ca­trice vul­ne­ra­bile», parte da sé per ragio­nare di disa­bi­lità e ses­sua­lità for­nendo indi­ca­zioni stra­te­gi­che: «il modello sociale della disa­bi­lità con­sen­tirà di resi­stere all’individualizzazione, alla segre­ga­zione e alla nor­ma­liz­za­zione per pro­durre una poli­tica della disa­bi­lità come poli­tica di classe».
Pos­siamo pun­tare anche attra­verso que­ste pra­ti­che su una nemesi del capi­ta­li­smo? Sarà suf­fi­ciente que­sta ten­sione multi-amorosa, que­sta pul­sione vitale che ci col­lega al mondo, a scar­di­nare gli ordi­na­menti neo­li­be­rali? Pen­siamo che le espe­rienze mate­riali tra corpi e corpi che inner­vano la realtà quo­ti­diana siano asso­lu­ta­mente più avanti dell’ottusità di gover­nanti e chiese. Il punto è riu­scire a con­net­tere tutti que­sti immensi eser­cizi di rot­tura, que­sto gro­vi­glio quan­to­queer, spin­gendo la con­trad­di­zione rap­pre­sen­tata dalla discra­sia tra il dovere e il volere essere al cuore stesso del potere.
Si tratta, insomma, di poli­ti­ciz­zare (orga­niz­zare), sem­pre più e sem­pre meglio, il tema dell’autonomia del sog­getto con­tem­po­ra­neo, deter­mi­nando nuovi rap­porti di soli­da­rietà capaci di tra­dursi in nuovi, e più giu­sti, rap­porti sociali.



Al di là del “genio femminile”Benedetta Selene Zorzi : Al di là del genio femminile, Carocci

Risvolto

Si può essere donne di oggi e credere in Dio? Cosa è la “teologia di genere”? L’identità sessuata significa qualcosa per l’antropologia cristiana e per il suo discorso su Dio? Quando il  Magistero cattolico parla di “genio femminile” risponde alla nuova presenza delle donne nella scena mondiale e alla loro coscienza sempre più chiara ed operante della propria dignità? Anche se negli ultimi cinquant’anni la questione del femminile e delle sue definizioni è stata affrontata in modo consistente dal mondo accademico internazionale, sul versante teologico tale tema sembra restare appannaggio degli specialisti ed è ancora estraneo a un pubblico più ampio. Il volume – rivolto anche a lettori non specialisti e mirato a una riflessione interdisciplinare – propone una raccolta ragionata di testi della tradizione cristiana che si incentrano sul nesso tra teologia, donne e femminile.


Una teologia che sfida il maschile 
Saggi. «Al di là del genio femminile» di Benedetta Selene Zorzi per Carocci. Dalla Bibbia alla patristica, una lettura dei testi religiosi in dialogo con il femminismo

Paolo Ercolani, 4.10.2014 

 Era il 1984 quando lo sto­rico ame­ri­cano Jef­frey Bur­ton Rus­sell scri­veva che «ogni reli­gione che non con­tem­pli l’esistenza del male non è meri­te­vole di alcuna atten­zione». Se ciò è vero, allora dob­biamo pren­dere atto del fatto che alla donna è stato con­fe­rito il ruolo di pro­ta­go­ni­sta asso­luto di que­sta trama male­fica, poi­ché essa è stata di volta in volta raf­fi­gu­rata quale causa diretta, stru­mento con­sa­pe­vole o incon­sa­pe­vole, e per­fino gene­ra­trice mostruosa di mostri che a loro volta avreb­bero river­sato su di lei, oltre che su tutto il mondo, il male supremo dell’omicidi.

Pren­diamo la visione reli­giosa secondo cui tutto il genere umano fa la sua com­parsa in que­sto mondo gra­vato dal «pec­cato ori­gi­nale». Ebbene, nel caso della donna ci tro­viamo di fronte a quella che è stata descritta come una «colpa» ancora più essen­ziale. Una sorta di pec­cato nel pec­cato.
Il dia­volo ten­ta­tore, infatti, raf­fi­gu­rato attra­verso il ser­pente che con­vince Adamo ed Eva a con­trav­ve­nire all’ordine divino, sarebbe riu­scito nella sua impresa sol­tanto pas­sando per l’anello debole rap­pre­sen­tato da Eva (si pensi alla donna iden­ti­fi­cata come «porta del dia­volo» da Ter­tul­liano).
È ella che, in quanto fem­mina, è stata vista come la crea­tura più vicina al Mali­gno, la più indi­sci­pli­nata, scia­gu­rata, irra­zio­nale, quindi vul­ne­ra­bile alle argo­men­ta­zioni sot­tili di Luci­fero.
Anche chi voleva «difen­derla», come nel caso di Sant’Ambrogio, risol­veva l’annosa que­stione se fosse più col­pe­vole Adamo o Eva sca­glian­dosi con­tro il primo, ma con l’argomentazione secondo cui la seconda non era par­ti­co­lar­mente furba e, quindi, le andava rico­no­sciuta come scu­sante quella della «stu­pi­dità».
Anche volendo pre­scin­dere da quella let­te­ra­tura che ha visto in Luci­fero (eti­mo­lo­gi­ca­mente: por­ta­tore di luce), e quindi anche nella donna, coloro che hanno reso pos­si­bile l’inizio della «città dell’uomo», con con­se­guente eman­ci­pa­zione dal potere asso­luto di un Dio egoi­sta e geloso, è un fatto che quel grande trauma ori­gi­na­rio da cui è nato il mondo umano, con tutto il carico di fati­che, dolori e mor­ta­lità che ne è con­se­guito, è stato attri­buito alla crea­tura «disa­strosa» per eccel­lenza.
Tale visione, peral­tro, trova un pen­dant signi­fi­ca­tivo nella cosmo­go­nia pagana. Per esem­pio in Esiodo, lad­dove in Opere e giorni la donna, raf­fi­gu­rata da Pan­dora con il suo vaso pieno di scia­gure per l’uomo, viene creata da Zeus per inviare sulla terra quelle disgra­zie che gli uomini si sono meri­tati in seguito al furto com­piuto da Pro­me­teo.
La que­stione è ampia e com­plessa, ma secondo le teo­lo­gie fem­mi­ni­ste la male­di­zione ine­men­da­bile che grava sull’essere fem­mi­nile deriva da un dato rite­nuto tanto netto quanto arbi­tra­rio: la raf­fi­gu­ra­zione di Dio in quanto «uomo», «padre», «maschio».
Assunto soste­nuto, per esem­pio, da San Tom­maso, che rife­ren­dosi alla bio­lo­gia di ari­sto­te­lica memo­ria ritiene che Gesù sia uomo per­ché solo l’uomo avrebbe la pie­nezza dell’umana natura (la fem­mina è un «maschio difet­toso»): solo il maschio, quindi, rap­pre­sen­te­rebbe per lui il genere umano tutto, men­tre la donna rap­pre­sen­te­rebbe solo il sesso fem­mi­nile e, soprat­tutto, non può rap­pre­sen­tare Dio e la sua masco­li­nità.
Lo snodo teo­lo­gico è diri­mente: l’universalità del sesso maschile (capace di cogliere in sé anche quello fem­mi­nile) si sta­glia impe­rioso e impe­rante di fronte alla par­zia­lità difet­tosa del sesso fem­mi­nile. La donna stessa, del resto, è stata rite­nuta durante tutta la sto­ria della teo­lo­gia non degna di rap­pre­sen­tare nep­pure l’immagine di Dio: l’uomo è fatto a imma­gine e somi­glianza del Crea­tore, la donna no. E come l’uomo è sot­to­messo al Dio di cui è «imma­gine e somi­glianza», così la donna deve essere sot­to­messa al maschio dalla cui costola è stata tratta, ancor di più per­ché som­ma­mente e pri­ma­ria­mente col­pe­vole del pec­cato ori­gi­nale.
È pro­prio da qui che prende spunto il libro, docu­men­tato e per­ti­nente, di Bene­detta Selene Zorzi (Al di là del «genio fem­mi­nile». Donne e genere nella sto­ria della teo­lo­gia cri­stiana, Carocci, pp. 263, euro 25).
Il dato di fondo che suscita inte­resse fin dall’inizio riguarda il punto di vista dell’autrice, che si declina a par­tire dalla tri­plice pro­spet­tiva di donna, teo­loga e monaca bene­det­tina: «Ini­ziai a occu­parmi del tema se la donna fosse creata a imma­gine di Dio con­tro la mia volontà, in occa­sione della ste­sura della mia tesi di dot­to­rato in sto­ria della teo­lo­gia. Mi sem­brava infatti una que­stione supe­rata, un tema che riguar­dasse solo “vec­chie fem­mi­ni­ste” in cui non mi rico­no­scevo e che rite­nevo far parte di un mondo pas­sato».
Come una novella Chri­stine de Pizan, scrit­trice e poe­tessa del XIV secolo, con ori­gini ita­liane e un nutrito pac­chetto di scritti volti a sma­sche­rare iro­ni­ca­mente i pre­giu­dizi miso­gini, la Zorzi si pro­pone espres­sa­mente di fare i conti con una vasta, nutrita e auto­re­vo­lis­sima schiera di teo­logi che hanno «male­detto» la donna con argo­men­ta­zioni spesso simili e con­fluenti.
Intento dell’autrice quello di far dia­lo­gare il fem­mi­ni­smo della «terza ondata» (la prima è quella che, a par­tire dalla metà dell’Ottocento, riven­dicò parità di con­di­zioni sociali; la seconda è quella che ori­ginò negli anni Ses­santa del Nove­cento per appro­dare agli esiti radi­cali della «teo­ria della dif­fe­renza» e dei gen­der stu­dies) con gli studi teo­lo­gici più avan­zati.
Se è vero che, come ha affer­mato la pio­niera degli studi di genere in teo­lo­gia, Kari Eli­sa­beth Bør­re­sen, «il fem­mi­ni­smo ha costi­tuito per la nostra cul­tura una vera e pro­pria “rivo­lu­zione epi­ste­mo­lo­gica” con la quale la teo­lo­gia non deve avere paura di misu­rarsi», allora, ne deduce la Zorzi, è arri­vato il momento di recu­pe­rare uno dei mes­saggi forti del Con­ci­lio Vati­cano II: esso ha posto la Bib­bia in mano al popolo, quindi, anche alle donne.
Ed è pro­prio dalla pro­spet­tiva di una donna che legge la Bib­bia che l’autrice si chiede come sia pos­si­bile che Gesù avesse favo­rito in molti modi le donne, men­tre quella che si defi­ni­sce la sua Chiesa le abbia escluse con tale vigore.
Per tro­vare rispo­ste a que­sti e altri que­siti, l’autrice si con­cen­tra soprat­tutto sull’analisi della patri­stica, con­vinta che quel periodo e quei teo­logi abbiano costi­tuito la piat­ta­forma della rifles­sione teo­lo­gica sulla donna dei secoli a venire.
Il limite, sem­mai, forse dovuto all’ottima dot­trina snoc­cio­lata, però, con un eccesso com­pi­la­tivo e un pro­flu­vio di rife­ri­menti, è che spesso tende a spa­rire la posi­zione dell’autrice, per esem­pio lad­dove non rimarca il debito ogget­tivo che la patri­stica deve al pen­siero greco e pagano (Sant’Agostino è tanto incom­pren­si­bile senza tenere pre­sente Pla­tone, quanto lo è San Tom­maso senza tenere a mente le dot­trine di Ari­sto­tele), o dove non affronta il tema scot­tante e irri­nun­cia­bile dell’ordinazione fem­mi­nile che la Chiesa, anche dopo il Con­ci­lio Vati­cano II, si ostina per­vi­ca­ce­mente a non pren­dere in con­si­de­ra­zione. Inno­va­tiva e corag­giosa, invece, la cri­tica spe­cu­lare di Bal­tha­sar e del pen­siero della dif­fe­renza, inca­paci entrambi di supe­rare la logica bina­ria che esclude la pos­si­bi­lità dell’«altro».
Limiti e pregi di un’opera comun­que utile e pro­fi­cua, anche per que­gli «uomini dispo­sti a osare il maschile» a cui l’autrice dedica il libro

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