giovedì 2 ottobre 2014

Luka Bogdanic ricorda la rivista jugoslava "Praxis"

Praxis Revue
Complimenti a Luka [SGA].



Per un marxismo umanista 

Scaffale. I sessant'anni della rivista filosofica jugoslava Praxis 

Luka Bogdanic, il Manifesto 2.10.2014 


Sono vari i motivi per cui si ricorda o com­me­mora qual­cuno o qual­cosa, non ultimo quello di divul­garne la memo­ria. Ancora più nobile e neces­sa­rio ne è il ricordo se la sua esi­stenza era ani­mata da un spi­rito pro­me­teico. Era que­sto il caso della rivi­sta filo­so­fica jugo­slava Pra­xis, della cui nascita in que­sti giorni ricor­rono i sessant’anni. Pra­xis, assieme alla Scuola estiva di Cur­zola (1964–1974), rap­pre­sentò un pal­co­sce­nico intel­let­tuale par­ti­co­lare, di bre­vis­sima durata, di appena dieci anni. Si trattò della sta­gione in cui il paese non alli­neato, nel quale veniva spe­ri­men­tata l’autogestione, era visto come fiore all’occhiello da coloro che spe­ra­vano nelle pos­si­bi­lità di una terza via al socia­li­smo. I fon­da­tori della rivi­sta furono i filo­sofi zaga­bresi Gajo Petro­vic, Rudi Supek e Pre­drag Vra­nicki, ma la sua riu­scita fu anche frutto della col­la­bo­ra­zione con col­le­ghi bel­gra­desi come Miha­jlo Mar­ko­vic, Vel­jko Korac, Zagorka Golu­bo­vic, Ljubo Tadic e Sve­to­zar Sto­ja­no­vic.
Infatti, anche se la rivi­sta fu pub­bli­cata dalla Società filo­so­fica croata, la sua edi­zione inter­na­zio­nale (1966–1974), venne coe­di­tata dalla Società filo­so­fica jugo­slava. Oltre ai pen­sa­tori jugo­slavi, molti con alle spalle l’esperienza par­ti­giana, nella rivi­sta pub­bli­ca­rono anche le più pre­sti­giose firme della sini­stra mon­diale dell’epoca, come Kosta Axe­los, Ernest Bloch, Erich Fromm, pas­sando per Lucien Gold­mann, Henri Lefeb­vre e Her­bert Mar­cuse, assieme ad Agnes Hel­ler e Zyg­munt Bau­mann che, all’epoca, vive­vano ancora nella galas­sia sovie­tica.
Ovvia­mente, non man­ca­rono con­tatti con filo­sofi ita­liani, in par­ti­co­lare con Enzo Paci, Umberto Ceroni, Lel­lio Basso, ma par­ti­co­lare fu il soda­li­zio con la rivi­sta Ita­liana Uto­pia e il suo redat­tore Mario Spi­nella. Uto­pia ospi­tava inter­venti dei com­pa­gni Jugo­slavi e rego­lar­mente infor­mava i pro­pri let­tori sulle ses­sioni della Scuola estiva di Cur­zola. Così, in pochi anni, la rivi­sta Pra­xis diventò assieme alla Scuola, luogo di con­fronto e di rifles­sione tra filo­sofi dell’Est e dell’Ovest, cosa non da poco in un mondo diviso dalla Guerra fredda. Il pre­gio della rivi­sta era ed è il fatto che in essa i filo­sofi jugo­slavi cer­ca­rono di ripen­sare cri­ti­ca­mente il socia­li­smo, vivendo in uno Stato che ne ten­tava la rea­liz­za­zione. Infatti, anche se nella rivi­sta non man­ca­rono con­tri­buti sulla società di con­sumo, i più inte­res­santi riman­gono quelli rela­tivi alla cri­tica dei metodi e delle vie adot­tate nella rea­liz­za­zione della società socia­li­sta.
La chiave di let­tura era quella del mar­xi­smo uma­ni­sta, anti­sta­li­ni­sta e anti­dog­ma­tico, che si apriva e cre­sceva attra­verso un fecondo dia­logo con la teo­ria cri­tica e l’esistenzialismo. Il nome Pra­xis venne scelto poi­ché era con­vin­zione dei filo­sofi jugo­slavi che la «prassi» fosse con­cetto cen­trale del pen­siero mar­xiano, che rin­chiu­deva in sé l’idea che la filo­so­fia «è il pen­siero della rivo­lu­zione», nel senso della cri­tica spie­tata di tutto l’esistente e di una «visione uma­ni­sta di un mondo vera­mente umano».
Il pre­sup­po­sto per l’apertura di un dibat­tito e la nascita di un mar­xi­smo anti­sta­li­niano in Jugo­sla­via, fu lo sto­rico «no» di Tito a Sta­lin nel 1948. Que­sto rese pos­si­bile la nascita in Jugo­sla­via di una par­ti­co­lare inter­pre­ta­zione del pen­siero di Marx, più aperto alle influenze del mar­xi­smo occi­den­tale. Pra­xis così, in breve diventò la voce più auto­re­vole di una cri­tica di sini­stra e da sini­stra, alla costru­zione del socia­li­smo in Jugo­sla­via.
Con un’impostazione così cri­ti­ci­sta e radi­cale, in poco tempo si aprì uno scon­tro tra la buro­cra­zia al potere e la rivi­sta. Scon­tro che portò alla fine di quest’ultima. Infatti, i dieci anni della sua esi­stenza furono segnati da innu­me­re­voli scon­tri e pole­mi­che tra regime e intel­let­tuali rac­colti attorno alla rivi­sta. Scon­tri che cul­mi­na­rono non solo nel divieto di ven­dita di alcuni numeri nel 1971 (nei quali veniva fatta una spie­tata cri­tica del nazio­na­li­smo che era pro­mosso in que­gli anni da alcuni mem­bri della Lega comu­ni­sta), ma anche con la revoca nel 1974 dei mezzi finan­ziari neces­sari per la vita tanto della Scuola di Cur­zola quanto della rivi­sta. Revoca che ne segnò la fine. A dimo­stra­zione di quanto fu sco­moda per il regime una voce cri­tica mar­xi­sta.
Una delle prin­ci­pali carat­te­ri­sti­che della rivi­sta, infatti, era l’internazionalismo e l’atteggiamento for­te­mente cri­tico verso ogni forma di nazio­na­li­smo. Per i filo­sofi Jugo­slavi, come ave­vano scritto, né il socia­li­smo né il mar­xi­smo erano qual­cosa che si potesse chiu­dere den­tro recinti nazio­nali, se non a costo di una loro totale defor­ma­zione. Le rifles­sioni dei pra­xi­sti sono soprat­tutto una miniera di stru­menti per valu­tare le moda­lità di costru­zione di una società più libera e socia­li­sta, dal momento in cui gli oppressi hanno già preso il potere. Rimane aperta la domanda se que­sti pos­sono essere ancora utili o si tratta solo di un insieme di oggetti da sche­dare, archi­viare e riporre in depo­siti museali. Non sem­bra sba­gliato ricor­dare che la «cri­tica spie­tata di tutto l’esistente» ha comun­que un valore in ogni società, ed è uno stru­mento che aiuta a com­pren­dere meglio il nostro pre­sente e a pen­sare un futuro, chissà forse più umano.

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