Maurizio Bettini e William M. Short (a cura di): Con i romani. Un'antropologia della cultura antica, il Mulino
Risvolto
Punto d’arrivo di
un progetto che presenta in maniera sistematica le caratteristiche, le
potenzialità e i risultati dell’antropologia applicata agli studi
classici, il volume mette in luce il contributo fondamentale che essa
può offrire alla comprensione della cultura greco-romana. Temi come il
mito, il politeismo, il sacrificio, la magia, lo spazio, la parentela,
il dono, l’amicizia, l’economia, gli animali, le piante, l’enigma, la
metafora, l’immagine sono così sottoposti a una accurata disamina, in
cui a parlare sono le manifestazioni testuali e in cui si privilegia una
riflessione «interna», che sa staccarsi dall’orizzonte dell’osservatore
per rimanere il più possibile vicina all’esperienza degli antichi. Ne
emerge un panorama ricchissimo della mentalità, delle credenze e delle
strutture profonde che reggevano la società romana, spesso in
comparazione con la cultura greca.
Le verità nascoste nelle false leggende
Lo studio di Maurizio Bettini e William Short è un viaggio nella cultura dell’antichità Alla ricerca di quei miti “più veri del vero”
di Marino Niola Repubblica 11.1.15
GLI antropologi sono sempre alla ricerca di mondi lontani. In certi casi
nello spazio, in altri nel tempo. A migliaia di chilometri o migliaia
di anni. In entrambi i casi si tratta di un viaggio. La differenza è che
risalire il corso dei secoli è più difficile che attraversare i mari.
La posta in gioco, ardua ma esaltante, è la conoscenza antropologica
degli antichi. E per riuscire nell’impresa è necessario saper navigare
tra le correnti del tempo senza andare fuori rotta. A dirlo è Maurizio
Bettini in un bellissimo libro curato insieme a William M. Short e
appena apparso per i tipi del Mulino. Titolo, Con i Romani.
Un’antropologia della cultura antica (pagg. 439, Euro 30).
Certo che studiare sul campo la civiltà Romana, come Lévi-Strauss ha
fatto con i Nambikwara del Mato Grosso, è un’impresa da far tremare le
vene e i polsi. Eppure seguendo le piste indicate dai due curatori del
volume e dalla loro équipe, composta da fior di classicisti, si capisce
che l’obiettivo non è irrealizzabile. Bisogna però evitare di guardare
il passato con gli occhi del presente e cercare di guadagnare un punto
di vista lontano, proprio come fanno i bravi etnologi quando si sforzano
di tradurre le parole dei loro informatori indigeni senza tradirne lo
spirito. E nel caso della cultura romana gli “informatori” indigeni
hanno lasciato un numero impressionante di testimonianze scritte. Sono i
poeti, i giuristi, i letterati, i filosofi e gli storici che hanno
rappresentato se stessi utilizzando codici linguistici, retorici e
stilistici che già di per sé illuminano aspetti profondi della Roma
antica. Perché solo decostruendo le parole e i concetti che si può
penetrare il vero senso di usi e costumi, categorie mentali e religiose,
passioni e superstizioni, totem e tabù. L’importante è la- sciarsi
guidare da Virgilio e Cicerone, da Varrone e da Plinio, da Tito Livio e
da Ovidio senza sovrapporre le nostre ragioni di moderni alle risposte
già contenute in quella che Nietzsche chiamava la parola del passato.
Che è come un Graal, in attesa della domanda ben posta. E un perfetto
esempio di domanda ben posta lo offre Maurizio Bettini quando interroga
il ruolo del mito nella storia politica e sociale dell’Impero. Senza
attardarsi su questioni come la verità o la falsità di quelle
narrazioni, che i Romani definivano fabulae, l’autore ci fa scoprire, da
vero antropologo, la profonda verità sociale di racconti che in sé non
sono veri. Come la favola, diffusa nella letteratura e nella
storiografia latina, secondo cui a fondare Alba Longa sarebbe stato
Iulo, figlio di Enea e antenato di Romolo e Remo. Che si spiega con il
desiderio di Augusto di legittimare il suo potere, proprio attraverso
l’appartenenza alla gens Iulia e la presunta discendenza da quel mitico
progenitore. Assolutamente immaginario e al tempo stesso assolutamente
reale. Come dire che non è vero quel che il mito dice, ma è ben vero
quel che il mito fa. Cioè produrre quell’effetto speciale che si chiama
realtà.
Nessun commento:
Posta un commento