
Dorella Cianci:
Corpi di parole. Descrizione e fisiognomica nella cultura greca, prefazione di Giuseppe Tognon, Edizioni Ets, Pisa, pagg. 136, € 15,00
Risvolto
Certo non agli uomini tutti fanno bei doni/ i numi: bellezza, senno,
parola eloquente./ Uno può essere meschino d’aspetto/ ma un dio di
bellezza incorona il suo dire; e tutti lo guardano/ affascinati: egli
parla sicuro/ con garbo soave; brilla nelle adunanze,/ e quando gira per
la città, come un dio lo contemplano./ Un altro, invece, per la
bellezza è simile ai numi,/ ma corona di grazia le sue parole non
hanno./ Così tu hai splendente bellezza: nulla di meglio /un dio
potrebbe creare: ma sei vuoto di mente
OMERO (Od. 8.167-179)
Il corpo vive nel tempo quotidiano, ma ha bisogno delle parole per
acquisire un posto nella storia. Il caso greco è emblematico, perché i
Greci hanno elaborato i corpi, hanno esaltato la forza dell’esteriorità e
hanno narrato il gusto per i dettagli, ma hanno anche intravisto la
fragilità di quella bellezza su cui fondavano tutta la loro passione
descrittiva. Alla luce della caducità dei corpi, essi hanno ipotizzato
una presenza dirompente oltre il fenomenico: l’anima. Al tempo stesso la
cultura greca non ha smesso di usare una retorica dei corpi per
presentare una società modello; non ha smesso di creare parole per
definire il corpo, lasciando in eredità descrizioni memorabili, dotate
di stabilità semantica, capaci di imprimere nella mente l’idea fisica di
tanti personaggi: dal ciclope alla sfinge, dal centauro all’Achille piè
veloce, alla dea dagli occhi cerulei agli Achei vestiti di bronzo.
Dorella Cianci è dottoranda di ricerca in Teoria, Storia e
Metodi dell’Educazione presso l’università LUMSA di Roma. Si è laureata
a Foggia in Filologia classica con una tesi sulla fisiognomica greca.
Fa parte del gruppo e della rivista “Amica Sofia” di Perugia e collabora
con Il Sole 24 Ore Domenica per le pagine “Scienza e Filosofia”. È autrice del libro di poesia L’incapacità invalicabile della parola [Aracne 2010].
Fisiognomica antica Faccia un pensiero
di Carlo Carena Il Sole Domenica 11.1.15
Dorella Cianci offre con Corpi di parole uno schizzo storico della
fisiognomica nella Grecia antica intervallato da amabili soste ed
excursus sull'ideale di bellezza (e di bruttezza) e sulle osservazioni
del corpo umano in quella cultura filosofica e letteraria che al corpo
umano ha dedicato tanta attenzione nella pratica di vita e in quella
dell'arte. Il sottotitolo del volume è appropriatamente Descrizione e
fisiognomica nella cultura greca. Nell'arte greca non c'è quasi altro
che il corpo umano, e nella filosofia esso ha soffermato la meditazione,
quando non ha esercitato anche la prassi dei pensatori più geniali e
più eminenti. Ha creato addirittura una branca del sapere, la
fisiognomica, collegando l'aspetto esteriore degli esseri, non solo
dell'uomo, alle attitudini interiori. Già Aristotele argomentava che se
un lupo è istintivamente feroce e una volpe astuta, probabilmente certi
uomini che rassomigliano loro fisicamente nei movimenti, negli
atteggiamenti, nei tratti del volto, nel colore della pelle, ne hanno
anche le caratteristiche psichiche.
Per conto suo, era egli stesso un tipo da analizzare in base alle sue
stesse dottrine, se dobbiamo dare retta al suo rivale Platone. Il quale,
a detta di Eliano nella Storia varia, non soffriva il collega perché
sempre vestito in modo ricercato, pavoneggiandosi con una grande
quantità di anelli, loquace e inopportuno nel parlare, e «con
un'espressione beffarda dipinta sul volto».
Assieme ai filosofi del V secolo, l'arte dell'analisi e del significato
delle fisionomie è approfondita e utilizzata anche dai medici come
strumento d'indagine sulle malattie e sui malati. Nel trattato
ippocratico sui pronostici si insegna che nelle malattie acute il volto
degli infermi si presenta col naso affilato, gli occhi cavi, le tempie
infossate, le orecchie fredde, la pelle del viso rigida e secca, il
colore giallastro o nero. L'occhio clinico è il compagno più sicuro del
medico, come di tutti noi, perché, dice ancora Platone, quella della
vista è «la più acuta delle sensazioni che ci procura il corpo». Di lì,
dirà un grande poeta, Euripide, nell'Ippolito, Eros istilla la più
formidabile fra tutte le passioni.
Ed ecco l'amabile bellezza. Sua regola fondamentale è l'armonia,
presentata e analizzata molto bene e con coerente eleganza da Dorella
Cianci in alcuni paragrafi dell'Introduzione. Il termine che la esprime,
kosmos, si trova ripetutamente già nel loro primo genio poetico, Omero:
kosmos è una forma ben fatta ma anche un ornamento, un gioiello.
Cosmico è per Eraclito l'universo, e cosmici sono i pianeti per
Pitagora. Un'indagine sistematica dei testi ha portato la Cianci a
fornirci questo interessante profilo: che cioè l'interesse dei Greci fra
gli elementi costitutivi della bellezza si rivolgeva principalmente
alla statura, alla voce, e anche più ai capelli, al naso, alla barba,
agli occhi e al seno. Per le gambe, sono connotate soprattutto le cosce,
le caviglie e i piedi. I capelli hanno da essere lunghi, soprattutto
per le donne, «che talvolta si servono anche di capelli altrui per avere
un bell'aspetto» (Artemidoro, II secolo d. C.); e quanto agli uomini, i
capelli lunghi e biondi sottolineano il valore dei guerrieri, e per
questo a Sparta erano imposti ai giovani. Caratterizza invece i filosofi
il fatto che «per risparmiare, nessuno di loro va mai dal barbiere né
ai bagni» (Aristofane nelle Nuvole). Ma Aristotele li portava corti.
Quanto all'opposto, alla bruttezza, i Greci possedevano un campionario
umano nella loro stessa letteratura e nella mitologia. Efesto, Tersite,
Socrate erano sgraziati nel volto e nel corpo da far ridere. Esopo era
repellente. Persino Pericle aveva un cranio così voluminoso che fu
sempre ritratto con l'elmo in testa. E le donne potevano dirsi brutte se
di volto deforme, collo corto e posteriore poco pronunciato.
L'analisi si approfondisce ancora verso la fine del volume, componendo
dei ritratti ideali e significanti, legando ancora più strettamente
l'estetica alla fisiognomica. Per cui la chioma scarmigliata si addice
ed esprime lutti e dolori, mentre le chiome ricadenti suscitano fremiti:
ammirabili, dice Ovidio nelle Metamorfosi, quei capelli agitati sulle
spalle eburnee e cadenti senza cura sul collo. Gli occhi non siano
piccoli, meschini e scimmieschi; né troppo grandi, lenti e bovini. Il
naso non grosso in punta (irascibile), né ricurvo come nei corvi
gracchianti, né aguzzo come nei cani, ma smussato perché così è quello
dei leoni.
Forse la più veramente bella descrizione della bellezza armonica e
appropriata alla sorte umana, che non quella ideale e degli dèi
olimpici, si trova in due dei ritratti delineati in una sua operetta
omerica da Isacco Porfirogenito, principe e scrittore bizantino del XII
secolo, oggetto di particolare studio da parte della Cianci. Ecuba
regina di Troia è una vecchia dal colorito di miele, occhi belli e bel
naso, tranquilla, e pure ha scavalcato tutte le donne per sventura.
Andromaca sua nuora, di media altezza, è magra, con bel naso e begli
occhi, belle sopracciglia, capelli ricci e biondi lunghi all'indietro,
rapida di mente e con le guance sorridenti, e pure è moglie di Ettore e
madre di Astianatte.
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