giovedì 8 gennaio 2015

Ilvo Diamanti, chierico neo-organico della fine della democrazia moderna. E del renzismo

Democrazia ibrida
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Sono anni che Diamanti "constata" - e in tal modo legittima - senza prendere posizione e soprattutto senza porsi il problema di spiegare il senso dei processi e le loro ragioni. Il risultato è questo [SGA].

Ilvo Diamanti: Democrazia ibrida, Laterza

Risvolto

Diretta o rappresentativa? Quella italiana, oggi, sembra piuttosto una democrazia ‘ibrida’. Ovviamente non è più la vecchia ‘democrazia dei partiti’ della Prima Repubblica, ma è molto diversa anche rispetto alla recente ‘democrazia del pubblico’ della Seconda Repubblica. La prima si reggeva sull’ideologia e sulle identità collettive; la seconda ha scommesso sulla comunicazione e sui leader. Oggi si stanno combinando elementi vecchi e nuovi, ma gli esiti sono ancora imprevedibili. Due le ragioni della metamorfosi: la crisi economica, che ha lacerato i legami con le istituzioni, con gli attori politici e fra le persone, e la diffusione di Internet, che ha aperto nuovi canali di partecipazione politica. La parola chiave del momento è ‘dis-intermediazione’. In nome della democrazia diretta, infatti, la rete canalizza l’insoddisfazione e la protesta popolari contro tutti i ‘corpi intermedi’ della democrazia rappresentativa: istituzioni, partiti, politici, giornalisti. E per la prima volta, con l’avvento della ‘democrazia ibrida’, sono gli stessi partiti a trasformarsi in anti-partiti. Così, al posto dei leader si affermano gli anti-leader, come Grillo, o i ‘rottamatori’, come Renzi. Perché oggi la principale risorsa di consenso su cui investire non è la fiducia, ma la sfiducia.


Nel paese che vota l’astensionismo 
Tempi presenti. «Democrazia ibrida» di Ilvo Diamanti. Un libro, edito da Laterza, che prova a raccontare l'Italia che non crede più nei partiti, è infastidita dall'Europa e vive una eterna rivolta antifiscale

Paolo Ercolani, 19.12.2014 

Si imma­gini un sistema di governo fon­dato sul prin­ci­pio secondo cui la sovra­nità popo­lare «non può essere rap­pre­sen­tata», per­ché nel momento in cui si dà dei rap­pre­sen­tanti «il popolo non è più libero». Oppure, al limite, nella misura in cui una qual­che rap­pre­sen­tanza si rive­lasse ine­vi­ta­bile, la si volesse atte­nuare quanto più pos­si­bile attra­verso la tas­sa­tiva «con­vo­ca­zione perio­dica delle assem­blee», con­nessa al «man­dato impe­ra­tivo» per i depu­tati di espri­mersi secondo quanto sta­bi­lito dalla volontà popo­lare, pena la revoca del man­dato stesso per alto tra­di­mento di quella stessa volontà. 
Sem­bra ine­qui­vo­ca­bil­mente il fon­da­mento costi­tu­tivo del Movi­mento 5 stelle, men­tre in realtà è quanto scri­veva nel XVIII secolo il filo­sofo Jean-Jacques Rous­seau, nel Con­tratto sociale e nelle Con­si­de­ra­zioni sul governo della Polonia. 
In altri tempi si sarebbe par­lato, a tal pro­po­sito, del mito della «demo­cra­zia diretta», men­tre oggi il lin­guag­gio poli­to­lo­gico si esprime in ter­mini di «dis-intermediazione». Ossia di ten­denza verso la messa in discus­sione sem­pre più ampia di tutti que­gli isti­tuti pub­blici che pos­sono svol­gere una fun­zione di inter­me­dia­zione tra il popolo e chi li governa. Che si tratti dei sin­da­cati, dei vec­chi mezzi di infor­ma­zione (con­trap­po­sti ai nuovi, imper­so­nati dalla Rete) o dei par­titi poli­tici, tutte isti­tu­zioni che sen­tono mor­dere forte la crisi cul­tu­rale prima ancora che eco­no­mica, poco importa ai fini di quella che si rivela come una ten­denza costi­tu­tiva dell’odierna «demo­cra­zia ibrida». 
A usare que­sta espres­sione, che dà anche il titolo al suo ultimo libro, è il poli­to­logo Ilvo Dia­manti (Demo­cra­zia ibrida, Laterza, pp. 137, euro 5,90), secondo il quale «la demo­cra­zia ibrida che stiamo attra­ver­sando denun­cia la crisi della demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva, aper­ta­mente sfi­data dalla demo­cra­zia diretta». Essa pro­pone una «miscela di ele­menti vec­chi e nuovi», che si com­bi­nano a fatica e con­ti­nuano a mutare in modo fluido, così da ren­dere arduo il com­pito di volesse capire verso quale futuro ci dirigiamo. 
In que­sto modo, sospesi tra un pas­sato che non passa e un futuro che non è più quello di una volta, navi­ghiamo a vista in un’epoca in cui quasi la metà degli ita­liani pensa che la demo­cra­zia sia pos­si­bile «anche senza i par­titi», men­tre oltre il 30% ritiene che si possa (con­venga?) fare a meno della demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva e, tanto per ricor­dare alla Sto­ria che non amiamo affatto essere suoi allievi, circa il 70% auspica l’avvento dell’«uomo forte». 

Crol­lata la fidu­cia nell’Unione Euro­pea (- 20% in dieci anni), men­tre le uni­che isti­tu­zioni a salire nella con­si­de­ra­zione degli ita­liani sono le forze dell’ordine (+ 4) e la Chiesa (+10), forse a dimo­stra­zione di un biso­gno sem­pre più dif­fuso di sicu­rezza ma anche di una sal­vezza che non sem­bra più rag­giun­gi­bile nel mondo ter­reno.
Ma che non si tiri in ballo il solito refrain della disaf­fe­zione. Certo, nes­suno può negare la dif­fi­denza nei con­fronti dello Stato e delle isti­tu­zioni in genere, la fru­stra­zione pub­blica e la rab­bia anti­fi­scale, oltre all’angoscia per un futuro che è stato scip­pato ormai a più di una gene­ra­zione. Ma que­sto non ha signi­fi­cato una dimi­nu­zione della par­te­ci­pa­zione sociale, che piut­to­sto si estrin­seca e declina attra­verso moda­lità e stru­menti pro­fon­da­mente mutati. 
Sco­priamo allora che circa 5 ita­liani su 10 dichia­rano di aver fre­quen­tato, nel corso del 2013, mani­fe­sta­zioni poli­ti­che sia di tipo tra­di­zio­nale che nuovo (attra­verso la Rete, il con­sumo respon­sa­bile, la mobi­li­ta­zione di gruppi single-issue e le cam­pa­gne di opi­nione).
In par­ti­co­lar modo i più gio­vani (15–24 anni) mostrano un coin­vol­gi­mento molto più ampio (36%) nelle mani­fe­sta­zioni di pro­te­sta e di atti­vi­smo online. 
Insomma una società, quella ita­liana, che mal­grado il disa­gio dif­fuso e la crisi (anche di fidu­cia) intende comun­que muo­versi sul quel ter­reno liquido e quindi sci­vo­loso che è rap­pre­sen­tato dal vuoto lasciato dagli attori e dalle isti­tu­zioni rappresentative. 
Un vuoto che è stato sot­to­li­neato dalle ele­zioni poli­ti­che del 2013, in cui l’astensione ha rag­giunto la cifra record del 25% (la più ele­vata nella sto­ria della Repub­blica), e cer­ta­mente aggra­vata dai dati scon­for­tanti che sono pro­ve­nuti dalle recenti ele­zioni regio­nali in Cala­bria ed Emi­lia Roma­gna, dove il par­tito dell’astensione si è rive­lato di gran lunga il «pre­fe­rito» dagli elet­tori.
Il dato che sem­bra rias­su­mere, in qual­che modo, tutte que­ste meta­mor­fosi poli­ti­che della con­tem­po­ra­neità, è rap­pre­sen­tato dal fatto che quasi 3 ita­liani su quat­tro si dicono favo­re­voli all’elezione diretta del Pre­si­dente della Repub­blica. La riprova più netta di uno sce­na­rio in cui il «popolo» sem­bra votarsi a per­so­na­lità forti e riso­lu­tive, pos­si­bil­mente eman­ci­pate da quei car­roz­zoni lenti e inef­fi­caci che paiono essere i vec­chi par­titi e, in gene­rale, le isti­tu­zioni di inter­me­dia­zione fra chi governa e chi è governato. 
Ma pro­prio a que­sto punto, ossia sul più bello, sem­bra inter­rom­persi la pur lucida e pro­fes­sio­nale disa­mina dei dati ope­rata da Dia­manti. Quasi come se lui stesso, dopo averlo denun­ciato, non fosse riu­scito a librarsi oltre quell’eterno pre­sente che, appunto, pre­senta troppe nozioni (e in maniera troppo veloce) pro­prio per impe­dire il suben­trare della visione d’insieme. 
Eppure è suf­fi­ciente richia­marsi alla defi­ni­zione di demo­cra­zia che for­niva Bob­bio (quel regime in cui «i gover­nati hanno il potere di con­trol­lare i gover­nanti», e non vice­versa) per com­pren­dere come non è suf­fi­ciente cer­ti­fi­care la crisi della demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­tiva e, con essa, di tutte le isti­tu­zioni di intermediazione. 
Quanto piut­to­sto fare i conti con l’unica «isti­tu­zione» che ha avuto inte­resse dap­prima a pro­cla­mare la fine delle ideo­lo­gie, quindi a sman­tel­lare pro­prio le isti­tu­zioni di inter­me­dia­zione fra gover­nanti e gover­nati, col solo scopo di pla­smare e con­trol­lare senza più freno alcuno l’opinione pub­blica e, quindi, sosti­tuirsi alla «poli­tica» come dimen­sione cen­trale della sfera pub­blica. È super­fluo dire che si tratta dell’«economia», no?!

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