giovedì 8 gennaio 2015

Zizek ha già i suoi cloni

Mladen Dolar: La voce del padrone. Una teoria della voce tra arte, politica e psicoanalisi, Orthotes Edizioni

Risvolto

Plutarco racconta la storia di un uomo che, spennando un usignolo e vedendo che c'è attaccata ben poca carne, gli dice: «Sei fatto soltanto di voce – e nient'altro». Togliere le penne del significato che coprono la voce, smontare il corpo da cui la voce sembra emanare, resistere al fascino del canto delle Sirene e della loro voce, concentrarsi sulla voce e nient'altro: ecco la difficile missione affrontata da Mladen Dolar in questo lavoro seminale. La voce non ha rappresentato un argomento di grande rilevanza filosofica fino agli anni Sessanta, quando Derrida e Lacan l'hanno posta al centro delle proprie riflessioni. In La voce del Padrone Dolar va oltre Derrida e la sua teoria del “fonocentrismo”, riprendendo e sviluppando la tesi di Lacan che considera la voce come una delle principali incarnazioni dell'oggetto (objet petit a). Secondo Dolar, al di là delle due concezioni più comuni della voce come veicolo di significato e come fonte di ammirazione estetica, c'è un terzo livello di comprensione: la voce come oggetto, come leva del pensiero. Egli studia l'oggetto voce su più piani – la linguistica della voce, la metafisica della voce, l'etica della voce e la voce della coscienza, la relazione paradossale tra voce e corpo, la politica della voce – ed esamina gli usi della voce in Freud e Kafka. Con questa opera fondamentale Dolar elabora una teoria filosofica della voce in quanto oggetto-causa lacaniano. 



Il doppio legame di una silente obbedienza 
Saggi. «La voce del padrone» del filosofo Mladen Dolar per Orthotes Edizioni. Una provocatoria analisi dell’esercizio del potere nel crocevia di sociologia, cinema e arti figurative

Fabrizio Denunzio, 24.12.2014
La casa edi­trice Ortho­tes pub­blica per la prima volta in Ita­lia un libro di Mla­den Dolar. Si tratta de La voce del padrone. Una teo­ria della voce tra arte, poli­tica e psi­ca­na­lisi (a cura di Luigi Fran­ce­sco Cle­mente, pp. 221, euro 17). Pre­pa­rato da oltre un decen­nio da decine di volumi di Sla­voj Zizek, il let­tore ita­liano non si tro­verà spae­sato leg­gendo un libro in cui si passa con­ti­nua­mente dalla filo­so­fia al cinema alla poli­tica alla psi­ca­na­lisi. Infatti, Dolar, come ci ricorda il cura­tore nella sua intro­du­zione, assieme a Zizek e a Alenka Zupan­cic è tra i fon­da­tori della Scuola Psi­ca­na­li­tica di Lju­bl­jiana. Inol­tre, sem­pre con Zizek, ha scritto due libri, di cui uno in inglese (Opera’s Second Death, Rou­tledge, 2002) e l’altro in slo­veno (Hegel in Objekt (Hegel e l’oggetto), Ana­lecta, 1982). Appare evi­dente, da parte della casa edi­trice, il desi­de­rio di inse­rire La voce del padrone nella lunga scia del suc­cesso otte­nuto dal «gigante di Lubiana», al punto che la quarta di coper­tina cita una «zize­kata»: «Mla­den Dolar non sem­bra un idiota e non parla come un idiota, ma non lascia­tevi ingan­nare – Mla­den Dolar NON è un idiota». 

Infine, per com­ple­tare il qua­dro delle tutele, va detto che l’edizione ori­gi­nale del libro di Dolar è uscito nel 2006 per le edi­zioni del pre­sti­gioso MIT (Mas­sa­chu­setts Insti­tute of Tech­no­logy), nella col­lana «Short Cir­cuits» diretta dall’immancabile Zizek. 
Capire per­ché un testo che in ori­gi­nale si chiama A Voice and Nothing More («Una voce e nulla più») sia stato inti­to­lato col più sug­ge­stivo e alti­so­nante La voce del padrone ci offre l’occasione per entrare subito nel vivo delle que­stioni affron­tate da Dolar. 
Il livello ico­no­gra­fico è stra­te­gico. Il libro ha come coper­tina un’immagine diven­tata patri­mo­nio comune non solo dell’immaginario pub­bli­ci­ta­rio musi­cale, ma dell’intero imma­gi­na­rio sociale: un cane che guarda incu­rio­sito nel cilin­dro di un fono­grafo per capire da dove pro­venga la voce. Si tratta del qua­dro che il pit­tore inglese Fran­cis Bar­raud dipinse a tre anni di distanza dalla morte di Nip­per, que­sto il nome del cagno­lino curioso, e che, dopo diverse vicis­si­tu­dini inti­tolò His Master’s Voice, per l’appunto, La voce del padrone. Com­po­sto e ulti­mato tra il 1898 e il 1899, il qua­dro, prima rifiu­tato come opera d’arte dalla Royal Acca­demy, poi come imma­gine pub­bli­ci­ta­ria dalla Edi­son Bell Com­pany, la casa pro­dut­trice del fono­grafo che così tanto incu­rio­siva Nip­per, trovò una sua col­lo­ca­zione nel gen­naio del 1900 quando la Gra­mo­phone and Typew­ri­ter Com­pany decise di usarlo come car­tel­lone pub­bli­ci­ta­rio per i suoi fono­grafi. Attual­mente l’immagine è di pro­prietà esclu­siva della Emi records e viene usata come logo nei cen­tri com­mer­ciali Hmv (His Master’s Voice). 
Dopo aver rico­struito la sto­ria di que­sta icona, Dolar ne dà una pro­fonda inter­pre­ta­zione: «il cane mostra la postura tipica dell’ascolto; si trova nella clas­sica posi­zione di obbe­dienza canina, pro­pria all’atto stesso di ascol­tare. L’ascolto implica l’obbedienza; esi­ste un forte legame eti­mo­lo­gico tra i due in nume­rose lin­gue: obbe­dire, obbe­dienza, deriva dal fran­cese obéir, che a sua volta viene dal latino ob-audire, deri­va­tivo di audire, ascol­tare (…) L’etimologia lascia intra­ve­dere un legame strut­tu­rale: l’ascolto è “sempre-già” una pro­messa d’obbedienza; non appena ascol­tiamo, in maniera embrio­nale abbiamo già comin­ciato a obbe­dire, ascol­tiamo sem­pre la voce del padrone, poco importa se in un secondo momento la con­trad­di­remo. C’è qual­cosa nella natura stessa della voce che le asse­gna un’autorità da padrone (…) E il cane, nell’immaginario fan­ta­sma­tico della nostra cul­tura, rap­pre­senta l’emblema dell’ascolto e dell’obbedienza». 
Seb­bene Dolar non vi fac­cia mai rife­ri­mento, la tra­di­zione in cui que­sta ana­lisi si inscrive è quella della socio­lo­gia e dell’antropologia poli­tica che, da Sim­mel a Canetti a Cla­stres, ha pen­sato il potere nella forma del para­digma coer­ci­tivo comando-obbedienza. La novità è rap­pre­sen­tata dal fatto che que­sto rap­porto, men­tre nei primi passa attra­verso le figure dell’autorità (Stato, eser­cito e fami­glia), del pre­sti­gio e della morte, in Dolar è inte­ra­mente mediato dalla voce, novità non da poco se si pensa a quanto que­sto medium, attra­verso la potenza della tele­fo­nia mobile, regoli la pre­va­lenza dei nostri rap­porti sociali quo­ti­diani.
Quindi, con l’analisi del qua­dro di Bar­raud, l’autore ci con­se­gna una voce for­te­mente con­no­tata in senso poli­tico. I per­corsi di let­tura del feno­meno sono tanti e molto com­plessi, si pensi che Dolar trac­cia una lin­gui­stica, una meta­fi­sica, una fisica, un’etica della voce, e dedica due capi­toli alla fun­zione della voce in Freud e in Kafka. Se pri­vi­le­giamo l’aspetto poli­tico emerso dall’analisi ico­no­gra­fica è per­ché ci con­sente un eser­ci­zio cogni­tivo sulla nostra vita poli­tica degli ultimi anni. 
L’immagine di un padrone che parla e comanda e quella di un cane che ascolta e obbe­di­sce, rimanda ad un’altra rifles­sione fatta da Dolar sull’uso della voce nei regimi tota­li­tari: «Se l’obiettivo prin­ci­pale dell’oratore fasci­sta era pro­durre un Evento qui e ora, se il fasci­smo con­cen­trava tutti i suoi sforzi nel mec­ca­ni­smo della fasci­na­zione e dello spet­ta­colo, se la voce era il mezzo ideale per pro­durre un tale evento sta­bi­lendo un legame diretto tra l’oratore e le masse, la pre­oc­cu­pa­zione prin­ci­pale dei con­gressi del Par­tito sta­li­ni­sta era che nulla acca­desse, che tutto si svol­gesse secondo un copione pre­sta­bi­lito». Nel primo caso abbiamo l’uso pla­teale di una voce che non si appog­gia mai a un testo scritto, nel secondo la gri­gia ese­cu­zione di uno stampato. 
L’esercizio cogni­tivo che que­sta rifles­sione ci con­sente con­si­ste nel clas­si­fi­care le per­for­man­ces comu­ni­ca­tive dei lea­der poli­tici ita­liani che hanno domi­nato e domi­nano la scena pub­blica degli ultimi cin­que anni, in orali e in scritte, secondo le coor­di­nate di Dolar, per poi chie­dersi, in seguito, quando si ha un po’ di calma e si è rilas­sati, quale sia lo stato della democrazia.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Oddio, dire che Dolar è un clone di Zizek mi sembra azzardato, visto che entrambi sono i fondatori della scuola di Lubiana e hanno iniziato esattamente insieme a seguire i corsi di Miller a Parigi. Zizek è molto noto perché ha avuto maggior successo. Inoltre Dolar si muove nell'ambito dell'analisi estetica e musicale, mentre il pensiero di Zizek è quasi esclusivamente di impronta politica.

Ciao!