mercoledì 4 febbraio 2015

Anche Berlusconi, oltre a Renzi, sarebbe pazzo di Tachipirinas


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Tsipras a Roma: “Con Renzi parliamo la stessa linguaMa il premier italiano precisa: “Vi diamo una mano, non vi diamo sempre ragione”di Roberto Giovannini La Stampa 4.2.15
Per la delegazione greca, il viaggio in Italia di Alexis Tsipras e Yanis Varoufakis è stato un successo. Il neoeletto premier ellenico sente di aver rotto il ghiaccio in Europa. «Finalmente - affermava ai suoi collaboratori Tsipras, poco prima dell’incontro con gli esponenti della sinistra radicale italiana che fa riferimento alla “Brigata Kalimera” - c’è in Europa qualcuno che parla il nostro stesso linguaggio». E da oggi i poi, nei colloqui con Angela Merkel o con altri alfieri dell’austerità, i greci potranno farsi forti del sostegno di Matteo Renzi.
Il quale Renzi, però, immediatamente dopo la fine dell’incontro con Tsipras faceva filtrare una lettura del tutto diversa sull’incontro, e soprattutto sul sostegno offerto al leader di Syriza. La «frase chiave - faceva sapere Palazzo Chigi - è “vi diamo una mano, non vi diamo sempre ragione”». E in effetti nella conferenza stampa congiunta il premier italiano aveva affermato che «abbiamo tutti bisogno di leggere nel risultato delle elezioni greche il messaggio di speranza che viene da un’intera generazione di persone che chiedono più attenzione verso chi sta subendo la crisi». E dunque se da un lato Renzi crede «fortemente che ci siano le condizioni per trovare un punto di intesa con le istituzioni europee da parte delle autorità greche», tuttavia chiarisce che «c’è la necessità, sia in Italia che in Grecia di proseguire sulla strada delle riforme strutturali». Più entusiastici, comprensibilmente, i commenti di Alexis Tsipras: «la lingua che abbiamo parlato io e Renzi è la stessa, è la lingua che corrisponde alle esigenze reali dei cittadini». Alla Grecia, ha aggiunto il premier ellenico, «serve il tempo necessario per la ripresa economica a medio termine che includa le necessarie riforme a tutto campo. Ma ci impegneremo con l’Ue a non creare nuovo deficit e raggiungere l’equilibrio di bilancio anche attuando le riforme».
Che il sostegno italiano sia simbolico o concreto poco conta: intanto comunque i nuovi governanti ellenici sembrano convinti di avere in mano la soluzione giusta per soddisfare le promesse elettorali e convincere anche gli alfieri dell’austerità. La soluzione è quella illustrata ieri a Pier Carlo Padoan dal suo omologo greco Yanis Varoufakis, con la conversione del debito greco in titoli «perpetui» che verranno rimborsati solo in relazione alla crescita dell’economia nazionale. «Possiamo vedere la fine della crisi greca a partire da giugno», prevede Varoufakis, che oggi vedrà a Francoforte il presidente della Bce Mario Draghi e domani il «falco» del rigore tedesco Wolfgang Schaeuble.
Dalla crisi si può uscire, argomenta Varoufakis, «a patto che in Europa ci calmiamo tutti. Occorre un accordo ponte che ci dia il tempo, tipo un mese, o sei settimane a partire da fine febbraio (quando presenteremo il nostro piano dettagliato), per ottenere un’intesa, che poi attueremo a partire dal primo giugno. La nostra crisi inizierà a finire rapidamente. Sono ottimista. In Europa vogliono tutti una soluzione. Vedrete, se ci sarà l’accordo europeo, quanto velocemente arriveranno i capitali».
Nel complesso, pare di capire, all’Italia il piano non dispiace. In una nota diffusa al termine dell’incontro, il ministro dell’Economia Padoan afferma «l’importanza che la Grecia si collochi su un sentiero di crescita forte e sostenibile attraverso un chiaro programma di riforme strutturali». Ma allo stesso tempo «l’attenzione alla crescita è prioritaria per garantire la sostenibilità del debito greco e per sollevare il popolo greco dal disagio sociale prodotto dalla crisi».

Da Berlusconi a Rifondazione tutti “pazzi” per Alexis il greco
Il Cavaliere: ha ragione lui, quest’Europa non funziona Solo Scelta civica lo critica: è un populista, non ci piace
di Mattia Feltri La Stampa 4.2.15La scoperta che anche Silvio Berlusconi ha un debole per Alexis Tsipras (scoperta non di ieri, però: già la scorsa settimana aveva detto che «la vittoria di Tsipras fa bene all’Europa») probabilmente chiude il cerchio. L’ultimo partito italiano che ancora diffida degli scamiciati di Syriza è Scelta civica, o quel che ne rimane: l’onorevole Gianfranco Librandi ha detto che Tsipras è «populista» e che il vero rischio greco è un immediato aumento delle tasse. Per il resto ognuno si prende Tsipras, o almeno il pezzetto conforme. Tsipras piace a Casa Pound, semmai preoccupata che «si venda subito a Matteo Renzi e ai poteri forti» (preoccupazione condivisa dal vicepresidente grillino della Camera, Luigi Di Maio), e piace a Paolo Ferrero di Rifondazione comunista (esiste ancora), berlusconianamente persuaso che «la vittoria di Tsipras è la vittoria di tutti». Tsipras piace al Pd di Matteo Renzi, per esempio al vicesegretario Debora Serracchiani («siamo convinti che consoliderà in Europa il percorso per la crescita per cui ha lavorato Renzi»), piace all’europarlamentare Gianni Pittella («Renzi è un antesignano di Tsipras»), e naturalmente piace a Renzi medesimo, il quale ieri si è trovato molto d’accordo col premier greco sulla crescita, il ruolo della cultura e un sacco di altre belle cose.
E però Tsipras piace da matti alla minoranza del Pd, cioè ai nemici di Renzi: piace al sottosegretario Francesco Boccia («la vittoria di Tsipras è uno schiaffo a tutta Europa»), piace a Stefano Fassina («la vittoria di Syriza è un fatto straordinario, può essere una svolta per la democrazia oltre che per l’Un ione europea»), piace a Gennaro Migliore che viene dalla sinistra estrema e ora è della sinistra renziana («vai Alexis!»), e piace oltre ogni limite a Nichi Vendola, il leader di Sel («Voglio che sappiate che il mio cuore e la mia mente sono lì, in Grecia, insieme a voi!»). Così c’è un filo, anzi un groviglio che unisce cinque stelle, civatiani, berlusconiani e antiberlusconiani. Il fittiano Daniele Capezzone si è chiesto se nemmeno le elezioni in Grecia daranno la sveglia all’Europa, e Fitto in persona ha cercato di sottrarre Tsipras («un segnale di cambiamento profondo») al Pd, dove si assiste alla «merkellizzazione di Renzi».
Che cosa manca? Manca l’Ncd, ma ecco Maurizio Sacconi («il risultato in Grecia segna il fallimento di un ceto politico»); mancano i Fratelli d’Italia, ma ecco Giorgio Meloni («il risultato in Grecia racconta il fallimento della Trojka»); serve completare sui cinque stelle ed ecco Danilo Toninelli («il nemico euro è solo scosso, il ko tra qualche mese, la vittoria di Syriza è un fatto importante e positivo»). E non può mancare la Lega, così ecco Matteo Renzi («Tsipras è uno schiaffo ell’Europa») ed ecco Bobo Maroni («non c’entrano più destra e sinistra, ma se questa Europa sia ancora casa nostra»). Ecco, in fondo è tutto lì. E Berlusconi, che oggi è con Tsipras («questa Europa non funziona, sono d’accordo con lui»), era con Tsipras anche quattro anni fa, prima ancora di sapere che esistesse.

“La Grecia è già fallita dal 2010 e oggi non c’è alcuna ripresa non serve a nessuno affondarci”Parla il ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis “Non chiediamo favori, ma soltanto di mettere sul tavolo le esigenze di ognuno e di sederci tutti dalla stessa parte”
intervista di Ettore Livini e Eugenio Occorsio 
“Rispetteremo le scadenze con Bce, ma a Fmi e Paesi europei ridaremo i soldi quando il Pil crescerà Con l’Fmi abbiamo avviato il negoziato: non vedo perché non debba accettare una dilazione Il problema non è la Grecia ma la gestione complessiva dell’eurozona che è concepita male”
ROMA Eccolo, Yanis Varoufakis, l’uomo che terrorizza la Germania, l’Europa, addirittura il mondo a sentire il cancelliere dello Scacchiere George Osborne. Sorridente, meno scarmigliato del solito, il ministro delle Finanze di Tsipras si siede in una saletta dell’ambasciata greca ed espone con calma il piano per liberare Atene dal giogo del debito. Non senza una premessa: «Ragazzi, non vi dimenticate che siamo al governo da dieci giorni, non abbiamo neanche ancora giurato. Volete darci un po’ di tempo per prendere le misure? Io, poi, sono in politica da tre settimane, finora ho fatto il professore».
Ministro, cosa chiedete all’Europa?
«Prima di tutto, non abbiamo intrapreso questo tour di capitali (Varofuakis incontra oggi Draghi e domani Schauble, ndr) per chiedere favori a nessuno, ma per stabilire un programma di lavoro comune sereno e razionale, in cui le esigenze di tutti i protagonisti sono correttamente sul tavolo. Dobbiamo tutti sedere dallo stesso lato del tavolo, non schierati uno contro un altro. Lo dirò anche a Schauble, che non conosco personalmente ma di cui ho apprezzato molte pubblicazioni, pervase di spirito costruttivo e genuinamente europeista ».
Chiederete la cancellazione del debito, anche parziale?
«No. Dividiamo il debito, 300 miliardi, in tre parti. Quella verso la Bce sarà saldata per intero e nei termini, ma la prima scadenza di 3,5 miliardi è il 20 luglio. Per le altre tranche, Fmi e Paesi, proponiamo la sostituzione con nuovi bond a interessi di mercato, oggi molto bassi, con una clausola: cominceremo la restituzione per intero quando si sarà riavviata in Grecia una solida crescita. Possiamo farlo senza mancare il pareggio di bilancio e finanziando al contempo iniziative di sviluppo purché ci si liberi dall’onere degli interessi. Anche con l’Fmi abbiamo avviato il negoziato: non vedo perché non debba accettare una dilazione come fa sempre in casi del genere, almeno a fine anno (i primi prestiti scadono il 15 marzo per 1,9 miliardi e il 15 giugno per altrettanti, ndr). Guardate che il link restituzione- crescita era previsto già negli accordi del 2010, solo che si basava su presupposti sballati. È vero che la congiuntura è andata in modo imprevisto: come diceva Galbraith “le previsioni economiche servono per rivalutare gli astrologi”».
Qual è la vostra roadmap?
«Quattro capitoli: 1. Profonde riforme interne per rendere la nostra economia sostenibile; 2. Ristrutturazione del debito come dicevo nel presupposto che oggi l’indebitamento è insostenibile malgrado ci sia chi mette in giro voci contrarie; 3. Fissazione di una serie di obiettivi realistici da non mancare assolutamente; 4. Riforma del metodo di governo dell’Europa perché il problema non è la Grecia ma la gestione complessiva dell’eurozona, che è concepita male e non potrà mai funzionare. Si è visto come tutto è franato di fronte alla crisi finanziaria importata dall’America nel 2008. Il governo Tsipras è stato eletto con un mandato semplice: sollevate in Europa il problema della sostenibilità delle attuali politiche dell’euro. Cosa fa una banca quando un cliente va in difficoltà? Si siede al tavolo, discute e il più delle volte gli assegna qualche ulteriore fondo, con raziocinio, perché questo completi i suoi progetti e torni in bonis. Si chiama incentive compatibility . Un fallimento totale non è nell’interesse di nessuno».
Da questo viaggio per capitali, al momento ha riportato sensazioni che autorizzano all’ottimismo?
«Sì, io sono ottimista che il problema sarà risolto. Anche l’altro giorno nella comunità finanziaria britannica ho trovato riscontri favorevoli, a parte che hanno capito benissimo quali erano i nostri problemi pur essendo così distanti. Erano stupiti che un radicale di sinistra avesse stilato un piano degno di un bankrupt lawyer. Ma la Grecia, diciamolo chiaro, è fallita dal 2010. Non c’è nessuna ripresa, chi vuole farlo intendere dice il falso. Proprio per questo c’è bisogno di misure eccezionali».
Fra pochi giorni sarebbe in calendario l’ultima tranche di finanziamenti della vituperata Troika. Li accetterete?
«No, sui 7 miliardi previsti ne prenderemo solo 1,9 perché sono soldi nostri, i profitti che la Bce ha incassato da certi bond acquistati nel soccorso del 2010. Per favore, le diciamo, restituiteli. Per il resto la nostra richiesta è: sospendiamo qualsiasi operazione fino a giugno. Chiamiamolo periodo ponte. Intanto riflettiamo sulle misure da prendere per una soluzione stabile. È interesse non solo nostro ma di Italia, Francia, l’Olanda che ha un problema di debito privato, e così via».
Per elaborare le strategie con un nuovo spirito è sempre valida la vostra proposta per una conferenza sul debiti?
«Certo, ma mi sembra che abbia poco seguito. Eppure ci vorrebbe una nuova Bretton Woods: del resto i disastri che quella conferenza affrontò non sono diversi dalla crisi attuale».

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