venerdì 6 febbraio 2015

Fabio Vander sui Gap e Porzus. Corriere, Giornale e marxisti-leninisti irriducibili uniti nel giudicare l'Italia del 1945 matura per la rivoluzione proletaria


Fabio Vander, L'eccidio di Porzûs. Un dramma partigiano fra storiografia e ideologia, "Storiografia", Anno 17, 2013


L'eccidio di Porzûs e la strategia stragista ispirata da Togliattiil Giornale - Sab, 07/02/2015 

A 70 anni dall’eccidio dei partigiani bianchi compiuto dai Gap

Porzûs, una memoria senza pace Il nodo resta l’ambiguità comunista

di Antonio Carioti Corriere 6.2.15
Domani saranno settant’anni dal giorno in cui, il 7 febbraio 1945, partigiani comunisti dei Gap di Udine presero di mira altri resistenti della formazione friulana Osoppo, di matrice cattolica e azionista, nella località montana di Topli Uork, poi detta comunemente «malghe di Porzûs» dal nome di un vicino centro abitato. Fu un eccidio a freddo con una ventina di vittime, il più cruento caso di conflitto interno alla Resistenza italiana. Tra gli uccisi, il comandante dell’unità osovana, Francesco De Gregori, zio e omonimo del noto cantautore, e Guido Pasolini, fratello del poeta e regista Pier Paolo.
Inevitabilmente sulla strage sono state coltivate a lungo memorie contrapposte: i reduci della Osoppo hanno accusato i comunisti di aver agito d’intesa con le forze di Tito, in una prospettiva rivoluzionaria che comportava l’annessione del Friuli orientale alla nascente Jugoslavia socialista; i partigiani di sinistra dell’Anpi hanno cercato di derubricare la vicenda a tragico incidente, rinfacciando agli osovani una serie di contatti con i fascisti in funzione nazionalista e anti-slovena.
Con il tempo la ricerca storica ha fatto diversi passi avanti e si è registrato anche qualche gesto di riconciliazione, tra cui l’abbraccio, nell’agosto del 2001, tra l’ex cappellano dell’Osoppo, don Redento Bello, e l’ex commissario politico comunista Giovanni Padoan, che aveva chiesto perdono agli eredi delle vittime. Importante anche l’omaggio reso ai caduti, il 29 maggio 2012, dal presidente Giorgio Napolitano, con la denuncia dei «feroci ideologismi» dai quali derivò il massacro e l’invito a sanare «le più dolorose ferite del passato». Inoltre le malghe di Porzûs sono state dichiarate «sito d’interesse storico-culturale».
Tuttavia le divisioni non sono venute meno: a tutt’oggi l’Anpi non ha mai preso parte alle commemorazioni dell’eccidio. E in alcuni autori la volontà di attribuire genuine credenziali democratiche al Pci di Palmiro Togliatti finisce per riproporre schemi e pregiudizi del passato.
Per esempio sulla rivista «Storiografia» (Fabrizio Serra editore), diretta da Massimo Mastrogregori, è apparso di recente un saggio in cui Fabio Vander critica aspramente gli autori del libro a più voci Porzûs , edito dal Mulino nel 2012 a cura di Tommaso Piffer. Pur riconoscendo che gli osovani non tradirono la causa della Resistenza, Vander li taccia a più riprese di «intelligenza con il nemico nazifascista», fornendo così una parziale giustificazione all’operato dei Gap. Ma soprattutto cerca di rovesciare tutta la responsabilità dell’eccidio sugli jugoslavi e di assegnare al Pci un ruolo di vittima, in quanto portatore di una linea di un ità antifascista alternativa al classismo di Tito. E respinge quasi come un’eresia la tesi che la posizione togliattiana, peraltro in linea con le direttive di Stalin e con la condotta di altri partiti comunisti nell’Est europeo, celasse un notevole margine di ambiguità.
D’altronde, come lo stesso Vander ammette un po’ a denti stretti, risulta da un documento pubblicato molti anni fa dallo storico comunista Paolo Spriano che nell’ottobre 1944 Togliatti diede indicazione al Pci di favorire l’occupazione della regione giuliana da parte delle forze di Tito. Ciò non significava necessariamente approvare l’annessione di quelle terre alla Jugoslavia, ma certo l’avrebbe agevolata, dato che ben difficilmente la popolazione avrebbe potuto esercitare in pieno il suo diritto all’autodeterminazione in un’area sotto il controllo delle armi titine.
Il fatto è che il confine italo-jugoslavo fu all’epoca teatro di molti conflitti intrecciati, ideologici, etnici e di classe. E l’unità della Resistenza venne minata dall’influsso degli jugoslavi e dalle loro ambizioni di rivalsa sul nazionalismo italiano, alle quali il Pci non riuscì a opporsi per il richiamo della solidarietà internazionalista.
Le ricerche d’archivio di Matteo Forte, esposte in un articolo che apparirà in marzo sulla rivista «Nova Historica», diretta da Giuseppe Parlato, mostrano che gli autori della strage di Porzûs avevano stilato un elenco di altri esponenti dell’Osoppo ritenuti «pericolosi» o perfino «criminali», che fu allegato alla relazione sull’eccidio presentata al comando jugoslavo e al Pci di Udine, presumibilmente in preparazione di nuove azioni offensive.
Le pulsioni rivoluzionarie del comunismo italiano, miranti a spazzare via con la violenza ogni ostacolo sulla strada del potere, vennero sedate a livello nazionale da Togliatti, ben consapevole che l’Italia sarebbe finita nella sfera d’influenza occidentale. Ma Porzûs dimostra che in condizioni ambientali diverse, sotto lo stimolo dei compagni jugoslavi, la situazione poteva prendere un’altra piega.

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