venerdì 20 febbraio 2015

Il dibattito a sinistra su Islam e politica


La fede trovata nella cittadinanza

Islam d'Europa. Un percorso di lettura sulla presenza dei musulmani nel vecchio continente. Dalla religione come veicolo della radicalizzazione di chi è escluso a una vivace integrazione nelle società europee. Una progressiva secolarizzazione che ha visto alcuni imam funzionare come mediatori in situazioni di aspro conflitto tra i giovani delle periferie e le istituzioni statali.

Francesco Antonelli, 20.2.2015

In un ciclo di lezioni degli anni Novanta, il grande stu­dioso di ori­gini pale­sti­nesi Edward Said, rein­ter­pre­tando il ruolo degli intel­let­tuali nelle società con­tem­po­ra­nee, sot­to­li­neava come il com­pito della cri­tica social sia oggi quello di opporsi alla sem­pli­fi­ca­zione ideo­lo­gica degli eventi e dei feno­meni – in buona parte ope­rata dai mass media – mostran­done al con­tra­rio la com­ples­sità e l’ambivalenza. Dopo gli atten­tati a Char­lie Hebdo e a Cope­na­ghen, al pre­ci­pi­tare della crisi libica (ampia­mente dovuta agli errori dei governi euro­pei, com­preso quello ita­liano dell’allora Pre­si­dente del Con­si­glio Sil­vio Ber­lu­sconi), nel nostro paese si assi­ste gior­nal­mente, nei talk show neo-populisti che carat­te­riz­zano gran parte dell’offerta tele­vi­siva di Rai e Media­set, ad un’orgia di igno­ranza e sem­pli­fi­ca­zioni ste­reo­ti­pate sui con­flitti in corso e sui migranti di ori­gine araba. Nel senso di una più ampia com­pren­sione del fon­da­men­tale nodo del rap­porto reli­gioni, poli­tica e società nel tra­gico pro­fi­larsi di una seconda guerra al ter­rore, si muo­vono tre inte­res­santi volumi, recen­te­mente pub­bli­cati.
Il primo è un libro del socio­logo fran­cese di ori­gini ira­niane Farhad Kho­sro­kha­var (o fran­ce­siz­zato Cavard) inti­to­lato Radi­ca­li­sa­tion (Edi­tion Mai­son des Scien­ces de l’Home, euro 12), pur­troppo non ancora tra­dotto in ita­liano. Secondo la sua ana­lisi, che si basa su un’ampia mole di ricer­che con­dotte negli ultimi anni anche all’interno delle car­ceri fran­cesi, il jiha­di­smo isla­mico con­tem­po­ra­neo (com­preso quello dell’Isis) non sarebbe tanto un’ideologia spe­ci­fica quanto l’espressione di un feno­meno più ampio e ricor­rente nella sto­ria poli­tica della moder­nità: la radi­ca­liz­za­zione. Si tratta della costru­zione di un’utopia al con­tra­rio (defi­nita tec­ni­ca­mente «disto­pia»), il cui senso non è tanto quello di ani­mare un pro­getto col­let­tivo di tra­sfor­ma­zione della società (come acca­deva tipi­ca­mente per le «grandi nar­ra­zioni» o le uto­pie del XX secolo) ma di moti­vare un’azione vio­lenta di rot­tura dell’ordine sociale e di eli­mi­na­zione del «Nemico», ele­vati a valori assoluti. 


Una dop­pia assenza

La radi­ca­liz­za­zione si fonda così sul sen­ti­mento di umi­lia­zione e dispe­rata mar­gi­na­liz­za­zione che ad un certo punto si impos­sessa di chi ha acqui­stato coscienza dell’ingiustizia subita e della man­canza di potere che ne deriva. Affin­ché que­sto «uomo in rivolta» indi­rizzi la sua azione in modo bru­tale, vio­lento e distrut­tivo facendo appello a codici arcaici (come un’interpretazione let­te­rale e «poli­tica» del Corano) è neces­sa­ria una «dop­pia assenza»: quella di orga­niz­za­zioni poli­ti­che strut­tu­rate in grado di fare una sin­tesi più avan­zata di que­sto ribel­li­smo di base e la mar­gi­na­lità sociale. Come anti­doto intel­let­tuale a que­sta deriva occorre ricor­dare lo scritto di un «rimosso» del Nove­cento, cioè quel Lenin de Estre­mi­smo, malat­tia infan­tile del comu­ni­smo. Paral­le­la­mente a que­sta assenza, va segna­lata un’espressione il defi­cit di una demo­cra­zia senza classi diri­genti ma ricca di gruppi di inte­ressi e di lea­der mossi solo dalla volontà di potenza. 
Il fal­li­mento delle rivo­lu­zioni arabe da una parte, il car­cere e la dif­fu­sione di una socia­lità che può espri­mersi solo tra­mite i nuovi media dall’altra, diven­gono così i vet­tori di una radi­ca­liz­za­zione che ripro­pone oggi lo sto­rico con­flitto tra colo­niz­zati (dell’Africa e del Medio Oriente) e colo­niz­za­tori (euro­pei) in una fase di gene­ra­liz­zata crisi eco­no­mica del Mediterraneo. 
Se l’analisi di Cavard ci fa vedere cosa c’è die­tro le mino­ranze radi­ca­liz­zate, il libro di Maria Luisa Mani­scalco L’Islam euro­peo. Socio­lo­gia di un incon­tro (Franco Angeli, euro 23) evi­den­zia effi­ca­ce­mente l’altra fac­cia della meda­glia, quella del radi­ca­mento dei cit­ta­dini mus­sul­mani in Europa, cer­cando di coglierne tutta la com­ples­sità. Inter­pre­tato dall’autrice come uno dei prin­ci­pali avve­ni­menti degli ultimi trent’anni, que­sto radi­ca­mento è l’espressione (sino all’11 set­tem­bre 2001 lar­ga­mente igno­rata da media, intel­let­tuali e poli­tici del vec­chio con­ti­nente), di un par­ti­co­lare pro­cesso di «inte­gra­zione nell’integrazione», cioè di euro­peiz­za­zione dei cit­ta­dini isla­mici (pre­va­len­te­mente di ori­gine extra-europea) men­tre pro­cede tra mille con­trad­di­zioni la stessa «euro­peiz­za­zione degli europei». 

Inte­gra­zione nell’integrazione
Attra­verso una mol­te­pli­cità di ango­la­zioni, l’analisi della Mani­scalco rivela come la dia­spora isla­mica pre­sente in Europa non si carat­te­rizzi solo per la mar­gi­na­liz­za­zione e la ripro­du­zione di modelli cul­tu­rali tra­di­zio­nali. Al con­tra­rio, come accade per ogni pro­cesso di inte­gra­zione e inter­scam­bio tra migranti e società di inse­dia­mento, tanto gli uni quanto le altre si modi­fi­cano pro­fon­da­mente: il raz­zi­smo cul­tu­rale che vor­rebbe immu­ta­bili le cul­ture e le civiltà, per teo­riz­zarne ideo­lo­gi­ca­mente lo scon­tro e la reci­proca, incon­ci­lia­bile, osti­lità, ne risulta ancora una volta cla­mo­ro­sa­mente smen­tito. Ad esem­pio, accanto ai già citati feno­meni di radi­ca­liz­za­zione è ampia­mente pre­sente la dif­fu­sione di un Islam libe­rale, teo­riz­zato da intel­let­tuali come Ayaan Hirsi Alì, che giun­gono a volte a posi­zioni aper­ta­mente seco­la­ri­ste, che non tro­vano però cit­ta­di­nanza nel discorso media­tico. Allo stesso modo, epi­sodi come la rivolta dei gio­vani di Lille-Sud del 2000, met­tono in luce il fal­li­mento dei tra­di­zio­nali mec­ca­ni­smi con cui lo Stato moderno ha gestito mar­gi­na­lità e assi­stenza sociale, evi­den­ziando al con­tra­rio come il ruolo dei pre­di­ca­tori mus­sul­mani, in grado di fare brec­cia nelle «menti e nei cuori» di que­sti gio­vani, sia stato spesso quello di mediare le loro insod­di­sfa­zioni, mostrando come il buon mus­sul­mano rispetta le leggi civili del paese in cui si trova.
Il feno­meno dei con­ver­titi all’Islam rompe poi la tra­di­zio­nale equa­zione straniero\Islam e apre la strada non tanto al radi­ca­li­smo quanto a nuovi per­corsi inter­cul­tu­rali. Insomma: par­lare ideo­lo­gi­ca­mente dell’Islam euro­peo come di un feno­meno uni­ta­rio e come di un ter­reno ostile e irri­me­dia­bil­mente con­trap­po­sto alla moder­nità, appare privo di senso. Con­ta­mi­na­zioni e con­trad­di­zioni interne a que­sto feno­meno, la diversa pro­ve­nienza etnica, nazio­nale e con­fes­sio­nale dei mus­sul­mani euro­pei, rive­lano la pre­senza di mol­te­plici comu­nità alla ricerca di nuove iden­tità. Solo cedendo allo sguardo uni­di­men­sio­nale dello stri­sciante essen­zia­li­smo cul­tu­rale, si corre il rischio di aprire una pra­te­ria alla radicalizzazione.
Il terzo ed ultimo testo di que­sto viag­gio in dire­zione della com­ples­sità è il volume col­let­ta­neo curato da Isa­bella Cre­spi e Eli­sa­betta Ruspini Genere e reli­gioni in Ita­lia. Voci a con­fronto (Franco Angeli, euro 31). Attra­verso una foca­liz­za­zione sulla situa­zione ita­liana, il lavoro delle due socio­lo­ghe con­tri­bui­sce a demo­lire un’altra imma­gine con­so­li­data: quella di un rap­porto pro­ble­ma­tico e vio­len­te­mente patriar­cale tra genere fem­mi­nile e reli­gione che riguar­de­rebbe solo l’Islam. Cer­ta­mente, in quest’ultimo caso la situa­zione è, anche nel nostro paese, molto più seria ma, in gene­rale, pro­prio su que­sto ter­reno si crea una pos­si­bi­lità di costru­zione di nuove soli­da­rietà tra donne, che vanno oltre gli arti­fi­ciosi stec­cati della rap­pre­sen­ta­zione media­tica e del potere patriarcale.

Le donne sono all’interno delle tre reli­gioni mono­tei­ste «l’Altro per eccel­lenza»: nei dispo­si­tivi di con­trollo sociale messi in campo da chi eser­cita il potere sono l’oggetto più che il sog­getto di un disci­pli­na­mento e di una mar­gi­na­liz­za­zione che le esclude spesso dai ruoli di respon­sa­bi­lità all’interno delle rispet­tive chiese. Men­tre in anni pas­sati il fem­mi­ni­smo si espri­meva fre­quen­te­mente come cri­tica esterna, di donne seco­la­riz­zate, alle isti­tu­zioni reli­giose, oggi si assi­ste ad un fio­rire tra­sver­sale di nuovi fem­mi­ni­sti interni al discorso e all’appartenenza reli­giosa – com­presa quella all’Islam. Così, que­sta nuova richie­sta di una cit­ta­di­nanza ade­guata alle tra­sfor­ma­zioni delle sog­get­ti­vità fem­mi­nili, diviene un ter­reno comune di incon­tro e dia­logo tra donne appar­te­nenti a reli­gioni diverse. Ancora una volta, una delle più impor­tanti dimen­sioni del muta­mento sociale in atto in Europa e, più in gene­rale, nel bacino del Mediterraneo. 

Un nuovo assetto globale
Nel capi­tolo XXXII dei Pro­messi Sposi, par­lando della peste e della grande paura degli untori, Ales­san­dro Man­zoni dice: «il buon senso c’era; ma se ne stava nasco­sto per paura del senso comune». Lo stesso sem­bra acca­dere oggi e per que­sto motivo ritorna con forza l’appello di Edward Said che è un invito a stu­diare e ana­liz­zare le cose con serietà per poter agire nel modo cor­retto. Ciò che infatti sem­bra emer­gere anche dai volumi sin qui ana­liz­zati è che, da una parte la radi­ca­liz­za­zione dell’Islam fuori e den­tro l’Europa si lega ad un con­flitto interno al rias­setto del sistema-mondo glo­bale, lì dove i dit­ta­tori pre­ce­den­te­mente appog­giati dall’Occidente appa­iono super­flui e nuovi attori (alcuni tra­di­zio­nali altri, come l’Isis, pie­na­mente post­mo­derni) sfug­gono al con­trollo. Ricer­cando la pro­pria legit­ti­mità il quel senso di umi­lia­zione e mar­gi­na­lità delle masse arabe (e non solo) ali­men­tato a dismi­sura pro­prio a par­tire dall’11 settembre.
Dall’altra parte, la radi­ca­liz­za­zione è anche il «sin­tomo» di un com­plesso pro­cesso di tra­sfor­ma­zione, di post-secolarizzazione (vedi ad esem­pio il ruolo delle donne) e finan­che di euro­peiz­za­zione che coin­volge in modo radi­cale una gran parte dei cit­ta­dini mus­sul­mani pre­senti in Europa. Da que­sto punto di vista, men­tre timi­da­mente e con­trad­dit­to­ria­mente sor­gono nuove iden­tità e nuove pos­si­bi­lità di reci­proca con­ta­mi­na­zione tra cul­ture diverse, raz­zi­smo cul­tu­rale e fon­da­men­ta­li­smo si raf­for­zano a vicenda nel ten­ta­tivo di sof­fo­care que­ste pos­si­bi­lità posi­tive, mossi dall’esigenza di un più bru­tale rias­setto di poteri e inte­ressi al livello locale e mon­diale. Solo se pren­de­remo pie­na­mente con­sa­pe­vo­lezza di que­sti rischi e delle oppor­tu­nità che invece ci si aprono di fronte, saremo in grado di tro­vare solu­zioni alter­na­tive e pra­ti­ca­bili alla pura logica della guerra per­ma­nente, fuori e den­tro l’Europa.

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