venerdì 20 febbraio 2015

Il nome di Dio nel capitalismo dispiegato

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Tuttavia, il passaggio su Heidegger, oltre a confermare il ruolo che questo autore ha assunto a sinistra, fa venire un po' di brividi [SGA].

Maria Grazia Turri: Gli dei del capitalismo. Teologia economica nell'età dell'incertezza, Mimesis

Risvolto

L'attuale crisi, che è soprattutto culturale, ha messo in luce quanto siano ormai inadeguate e inattuali molte delle idee che hanno presidiato negli ultimi cento anni l'ambito economico e che hanno contribuito a spezzare il complesso filo delle relazioni che legano l'economia alla politica. L'economia ambisce a dare a tutti gli abitanti del pianeta un orizzonte di senso, proprio come la religione, e come la religione si fonda su un insieme di credenze che vorrebbero mantenere unita la collettività e che gravitano intorno a un pantheon di miti e di simboli: il "mercato", il "denaro", la "libertà", la "razionalità" e la "felicità". Se queste credenze non vengono decostruite e sfaldate non si aprono margini per pratiche economiche generalizzate che rispondano a logiche diverse da quelle in atto. Sono il "debito" e la "comunità" le dimensioni che possono ricostruire un tessuto sociale e individuale fortemente frantumato.

La teologia per ricchi
Saggi. «Gli dei del capitalismo» della filosofa ed economista Maria Grazia Turri si interroga, nel suo libro pubblicato da Mimesis, sul denaro come unico dogma con cui misurare il proprio io nell'«età dell'incertezza»

Paolo Ercolani, il Manifesto 20.2.2015
Vi sono dei periodi, o a volte anche sol­tanto degli eventi epo­cali, capaci di sve­lare con inquie­tante chia­rezza quell’ineffabile chia­smo in cui la ruota insta­bile delle vicende umane si con­nette con l’astuzia della sto­ria. Pro­du­cendo una spe­cie di istan­ta­nea da cui è pos­si­bile intuire i con­torni netti del tempo pre­sente.

In que­sto senso, pochi sono i dubbi sul fatto che il cro­ce­via della nostra epoca sia rap­pre­sen­tato dall’incontro, che sem­pre più si rivela come una vera e pro­pria sim­biosi, fra reli­gione ed eco­no­mia: «Come l’uomo è domi­nato nella reli­gione dall’opera della pro­pria testa, così nella pro­du­zione capi­ta­li­stica egli è domi­nato dall’opera della pro­pria mano» (Marx).
O meglio, tra il fon­da­men­ta­li­smo di una razio­na­lità stru­men­ta­li­stica, egoi­stica e mer­ca­ti­sta, e la dimen­sione di una fede in cui l’essere umano rinun­cia alla pro­pria cen­tra­lità, per votarsi anima e corpo a divi­nità mon­dane che, in cam­bio della sua libertà e auto­no­mia, dovreb­bero garan­tir­gli ogni tipo di pro­gresso (infi­nito) e sal­vezza (immediata). 
Del resto, quello tra eco­no­mia e reli­gione si rivela uno stret­tis­simo rap­porto sim­bio­tico che può essere riscon­trato fin dalla notte dei tempi, se è vero il ter­mine «mam­mona» (con cui nel Nuovo Testa­mento si defi­ni­sce la ric­chezza) deriva da quella radice «’mn» che è la mede­sima del verbo «cre­dere».
Certo è che la fede nelle virtù asce­ti­che e sal­vi­fi­che del denaro, però, desti­nava il fedele che inten­deva sot­to­met­tersi a que­sto tipo di reli­gione (l’etimologia di reli­gio richiama il rac­co­gliere, o anche l’accumulare, in que­sto caso ric­chezza mate­riale) a una sorta di «cat­tivo infi­nito» hege­liano dagli esiti nefa­sti.
«Chi cerca il denaro, il denaro lo affa­merà», recita il Qohe­let (5,9), ed è qui che risiede l’origine ideo­lo­gica della nostra epoca neo-liberistica: fon­data al tempo stesso sull’illusione che un pro­gresso infi­nito sia pos­si­bile mal­grado la quan­tità limi­tata delle risorse natu­rali a nostra dispo­si­zione, non­ché sulla scia­gu­rata con­vin­zione che le virtù di un mer­cato auto­re­go­lan­tesi pos­sano garan­tirci pro­prio quel pro­gresso infinito.
Se que­sto sce­na­rio che con­fi­gura la nostra epoca di «nuova grande tra­sfor­ma­zione», per uti­liz­zare la cele­bre espres­sione di Karl Pola­nyi (a dimo­stra­zione del fatto che la sto­ria non può inse­gnare nulla, ad allievi che non inten­dano pre­starle ascolto), rivela tutta la sua matrice al tempo stesso filo­so­fica ed eco­no­mica, nes­suno meglio di un’autrice che è filo­sofa ed eco­no­mi­sta può essere in grado sve­larne dina­mi­che e mec­ca­ni­smi di fun­zio­na­mento (e dis-funzionamento).
È il caso del nuovo libro di Maria Gra­zia Turri, stu­diosa dell’Università di Torino, ovvero di un’imponente ed estre­ma­mente dotta rico­gni­zione sul ter­reno insi­dioso in cui eco­no­mia e teo­lo­gia si incro­ciano per sostan­ziare i fon­da­menti della nostra epoca: Gli dei del capi­ta­li­smo. Teo­lo­gia eco­no­mica nell’età dell’incertezza (Mime­sis, pp. 363, euro 24).
L’autrice, con rife­ri­menti e ana­lisi fine­mente capaci di fon­dere, appunto, spe­cu­la­zione filo­so­fica e teo­ria eco­no­mica, ci spiega quello che si pre­senta a tutti gli effetti come un nuovo para­digma post-marxiano, in cui l’interazione dia­let­tica tra eco­no­mia e ideo­lo­gia (filo­so­fia), tipica del periodo clas­sico del capi­ta­li­smo, ha lasciato il campo a una nuova costel­la­zione post-ideologica e post-politica, in cui l’economia recita il ruolo di pro­dut­tore asso­luto di scopi e valori a cui sot­to­met­tere ogni anfratto della dimen­sione umana.
Se il grande filo­sofo di Tre­viri, infatti, ci aveva rac­con­tato, con pro­fon­dità ine­gua­gliata, il cosmo carat­te­riz­zato dalla dia­let­tica fra strut­tura eco­no­mica (sistema di pro­du­zione indu­striale) e sovra­strut­tura ideo­lo­gica (teo­ria libe­rale, fina­liz­zata a con­vin­cere che quella strut­tura rap­pre­sen­tava il migliore dei mondi pos­si­bili), Maria Gra­zia Turri — pur non abban­do­nando gli arnesi dell’analisi mar­xiana — ci spiega con dovi­zia di ana­lisi e par­ti­co­lari un nuovo sta­dio del sistema di pro­du­zione capitalistica.
Per la pre­ci­sione, quello in cui sem­bra avve­nuta, a tutti gli effetti, la fusione fra strut­tura e sovra­strut­tura, con l’economia che ha assunto il pieno con­trollo della situa­zione, sosti­tuen­dosi alle ideo­lo­gie (dichia­rate defunte) per vestire a sua volta i panni dell’ideologia unica e asso­luta, e sot­to­met­tendo la poli­tica per ridurla ad ancella ed ese­cu­trice dei suoi dogmi inattaccabili.
Dio indi­scusso della nostra epoca, per la stu­diosa tori­nese l’economia si avvale dell’ausilio di altre cin­que divi­nità sapien­te­mente decli­nate in fun­zione della magni­fi­ca­zione costante di quel Dio.
Attra­verso raf­fi­nate ed ori­gi­nali ana­lisi filo­so­fi­che, infatti, Turri ci spiega il ruolo impre­scin­di­bile del «Mer­cato» inteso come luogo della pro­du­zione infi­nita e fine a se stessa (espun­gendo ogni tipo di fina­lità umana); del «Denaro» inteso come unità di misura totale della rea­liz­za­zione e quindi del valore di ogni indi­vi­duo; della «Libertà» intesa in senso ego­tico e solip­si­stico, quindi innan­zi­tutto come libertà «dagli» altri indi­vi­dui e dalla res publica, ormai ana­cro­ni­stica; della «feli­cità» per­ver­sa­mente con­ce­pita come oggetto con­chiuso nelle maglie strette del pro­prio «io», dun­que asso­lu­ta­mente non con­di­vi­si­bile e anzi otte­ni­bile sol­tanto al prezzo di estor­cerla agli altri.
Infine, la «Razio­na­lità», che decli­nata esclu­si­va­mente a mo’ di pen­siero cal­co­lante e anti-relazionale, si rivela come la divi­nità forse più fun­zio­nale al regno di Eco­no­mia. Soprat­tutto nella misura in cui, allean­dosi con la tec­nica, ha saputo farsi «ogget­ti­va­zione cal­co­lante» (Hei­deg­ger): è in que­sto modo che la «tec­nica tec­no­lo­gica appli­cata alla tec­nica finan­zia­ria ha dato ori­gine alla cyber­fi­nanza, forma di domi­nio sociale per eccellenza».
Cin­que divi­nità che, ricon­fi­gu­rate in seguito alla caduta degli dèi pro­pri del mondo indu­striale, ridu­cono il mondo umano ad agen­zia al ser­vi­zio di un pen­siero unico e incon­tra­stato.
Di un nuovo mondo dove c’è spa­zio sol­tanto per gli dèi del capi­ta­li­smo. Che noto­ria­mente non sono mossi da amore per l’uomo.

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