L’ossessione fatale deprecata da Marx: misurare in denaro anche la morale
domenica 15 febbraio 2015
Nella Torah - a differenza dei Quaderni Neri - c'è una risposta a tutti i problemi, persino alla scrofola e alla crisi economica
Viene da ridere [SGA].
L’ossessione fatale deprecata da Marx: misurare in denaro anche la morale
L’ossessione fatale deprecata da Marx: misurare in denaro anche la morale
L’economia invade l’etica e ci fa sentire perennamente in colpa
di Donatella Di Cesare Corriere La Lettura 15.2.15
Il succedersi accelerato delle crisi finanziarie ha gettato tutti in una nuova condizione: quella di un debito permanente. Sconosciuto alle generazioni precedenti, l’indebitamento inizia con la nascita e incide sui comportamenti, sui modi di agire, sulle relazioni. Ne risulta una forma di esistenza ancora non indagata. Che cosa significa vivere sotto il peso di un debito inestinguibile? In che misura ciascuno è obbligato a rendere continuamente conto di sé? Come ricomporre la schizofrenia di due messaggi opposti: quello del consumo compulsivo che, proclamando l’innocenza di tutti, spinge a entrare nel paradiso delle merci, e quello della economia del debito, che imputa a ciascuno la colpa di vivere al di sopra dei propri mezzi? Si può parlare di «libertà» per il debitore costretto a uno stile di vita confacente al rimborso? E infine, se tutti sono debitori, che ne è del credito, della credibilità, non si volge, cioè, la fiducia in una diffidenza che mina ogni rapporto?
Da quando è stata introdotta, la carta di credito ha inserito chi la possiede nell’ingranaggio del debito, facendo del possessore un debitore. Così ha diffuso il debito, spingendo molti a spendere ben più di quanto guadagnino. Che dire poi degli Stati? Il debito pubblico ha mutato drasticamente il paesaggio politico dell’ultimo decennio. Nella storia non mancano precedenti. La crescita del debito pubblico contribuì al declino di Atene e delle città greche. Ma la novità, nella Grecia di oggi, è la figura inedita del cittadino indebitato. Anche chi è troppo povero per avere accesso al credito è costretto a rimborsare i creditori dello Stato. E coloro che nasceranno nei prossimi anni dovranno farsi carico del debito pubblico, quasi fosse un peccato originale. Ma il debito è un peccato? E l’economia non sconfina allora nella morale, o addirittura nella teologia? Certo che la morale altro non è che «ripagare i propri debiti», restituire il dovuto. A questo significato rinvia con chiarezza l’etimologia dell’italiano «debito» che viene dal latino debere . In breve: debito è il dovuto, ciò che si è avuto dagli altri, ma che non sempre è restituibile. In questo verbo si compendia non solo l’obbligo morale, ma anche il riconoscimento del vincolo che pervade ogni esistenza.
Su questo vincolo hanno riflettuto i filosofi. Che cosa non dobbiamo agli altri? A cominciare dalla vita stessa? Malgrado ogni fantasia parricida, ogni chimerica velleità di ergerci sovranamente a creatori di noi stessi, occorre ammettere gli innumerevoli debiti, esistenziali, morali, intellettuali, che ci legano ai genitori, ai maestri, ai fratelli, agli amici — a coloro che ci hanno preceduto, a coloro che ci seguiranno. Il rapporto con gli altri è definito dal debito. Dio è allora il Grande Creditore. Impagabile è il debito dell’esistenza, così come alla fin fine tutti gli obblighi che, eccedendo ogni metro e ogni misura, ci vincolano agli altri. Dovremmo perciò sentirci sempre in colpa?
È Nietzsche a rispondere. In tedesco Schuld vuol dire sia debito sia colpa. Il che porta a confondere tra la colpa morale e il debito materiale. Confusione gravissima, che ha improntato l’etica tedesca e da cui non è stato indenne neppure Kant. Deriva da qui la teutonica ascesi del debito imposta oggi ai popoli mediterranei, giudicati moralmente riprovevoli? Il nesso tra colpa e debito va smascherato. Avere un debito di denaro non significa essere in colpa. Perché la colpa dovrebbe investire — come avveniva già nel Medioevo — anche il creditore che, prestando denaro, vende l’attesa, cioè il tempo, un bene che non gli appartiene.
Nonostante il loro confluire, occorre tenere ben distinte morale e economia: l’obbligo, l’impegno verso l’altro, non è il debito in senso stretto. La differenza è il denaro. Il debito può essere misurato con precisione, proprio perché deve essere ripagabile. Che cosa c’è di peggio che prendere gli impegni morali per debiti? «Si pensi a tutta l’infamia che c’è nello stimare un uomo in denaro», scrive Marx. E aggiunge: «Il credito è il giudizio economico sulla moralità di un uomo». Non si tratta solo di ridurre l’etica agli affari, l’obbligo a una faccenda di denaro. L’ulteriore conseguenza è fare del debito una colpa smisurata, un peccato interiorizzato per il quale non può esserci riscatto.
Le cifre iperboliche che gravano oggi su molti cittadini europei assomigliano a una pena senza remissione, a un debito infinito, a una schiavitù perenne. Ci si dovrebbe allora chiedere se il default economico non rischi di essere anche una bancarotta etica e umana. Sarà un caso che la Bibbia, dove si distingue accuratamente tra debito e obbligo, preveda ogni sette anni la cancellazione dei debiti? Si dovrebbe pensare a un nuovo giubileo per interrompere l’indebitamento planetario?
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1 commento:
Donatella Di Cesare
20 febbraio · Modificato ·
#Antisemitismo Stefano G. Azzarà (http://materialismostorico.blogspot.it/…/nella-torah-differ…) scrive a proposito del mio articolo sul debito in cui parlo del giubileo, lo yovèl (Corriere 15.02): "Nella Torah - a differenza dei Quaderni Neri - c'è una risposta a tutti i problemi, persino alla scrofola e alla crisi economica" Lo considero un interessante caso di antisemitismo.
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