A Roma 5000 anziani in gita secondo Contropiano, masse oceaniche secondo il Manifesto: chi avrà ragione secondo voi, conoscendo i nostri polli?
Questi qui sotto invece si lasciano e annunciano una svolta epocale; qualche anno dopo annunciano un'altra svolta epocale che consiste nel riprendersi. Purtroppo tengono in ostaggio quel poco che rimane. E così eccoci qua ad aspettare che qualcuno tiri fuori magicamente un coniglio dal cilindro, oppure che arrivi il soccorso rosso internazionale.
Inutile aspettare il miracolo perché nulla ci risparmierà qualche decennio di lavoro semi-clandestino, se vogliamo fare una cosa seria. Se avessimo cominciato nel 2008, subito dopo la catastrofe e quando ancora qualcosa stava in piedi, avremmo già 7 anni di ricostruzione alle spalle [SGA].
Roma risponde: in 20mila per la Grecia
Atene chiama. Un lungo corteo per le vie della capitale. Bandiere rosse e greche si mescolano nella richiesta di farla finita con l’austerità in Europa
Massimo Franchi, 14.2.2015
Cosa unisce «così forte» Atene e Roma, il governo greco e la sinistra italiana lo spiega proprio alla fine Argiris Panagopoulos: «Chi governa ora in Grecia viene da lontano, viene da Genova, viene dal G8 del 2001, viene da piazza Alimonda: il patrimonio politico è quello». Il giornalista di Avgi e dirigente di Siryza conclude così dal camion-palco un lungo pomeriggio romano che ha visto quasi 20mila persone sfilare per le vie della capitale a sostegno della battaglia europea di Alexis Tsipras e Yanis Varoufakis.
Il sole e le poche nuvole al posto della pioggia annunciata sono il segnale che la manifestazione organizzata in pochi giorni «può considerarsi un grande successo». Lo si capisce già dalla partenza alle 14 a piazza Indipendenza. A primeggiare sono le bandiere rosse, specie quelle della Fiom, proprio lì dove Landini e i suoi furono manganellati dalla polizia durante la vertenza delle acciaierie di Terni. Ma a parte i metallurgici è tutta la Cgil ad essere presente «in forze». C’è Susanna Camusso che sfila assieme a buona parte del gruppo dirigente (Agostino Megale segretario dei bancari della Fisac, il segretario confederale Franco Martini, Claudio Treves dei precari del Nidil) e c’è l’organizzazione che al Colosseo porta gli striscioni legati ai palloni “No austerity” e “Change Europe”.
Le ragioni della presenza le spiega la stessa Camusso: «La Cgil è in prima fila a questo corteo perché l’austerità ha determinato impoverimento dei lavoratori, disoccupazione, ha scaricato sul lavoro le scelte fatte dalla finanza. Per dare una prospettiva al lavoro, alla piena occupazione serve un’altra politica, non quella dell’austerità e non quella del rigore». In chiusura arriva l’attacco al governo Renzi che «non segna una discontinuità rispetto alla logica del rigore. Basta dire che ha scelto la strada dei licenziamenti e non quella della creazione di lavori».
Le banidere rosse della galassia ancora frastagliata della sinistra italiana la fanno da padrone. Come chiesto dagli organizzatori però si mescolano, senza tronconi predefiniti. I fiori per ricordare i migranti — dal palco lo si farà non col silenzio ma con un minuto di parole e musica di «Non è un film» di Fiorella Mannoia — non sono molti, ma ci sono. Come c’è lo striscione di apertura «Basta con le morti nel Mediterraneo, no all’Europa fortezza» che accompagna l’altro contenente l’oggetto stesso della manifestazione: «No all’austerità, dalla parte giusta: cambia la Grecia, cambia l’Europa».
Si parla tanto, ci sono pochi cori, slogan o canti. Il più in voga è «Syriza, Podemos, venceremos!». I cartelli hanno come bersaglio preferito la trojka, la Merkel e la Bce e spesso sono in inglese per essere in sintonia con le altre piazze europee che in contemporanea manifestano per la stessa ragione. Parecchie bandiere greche e di Syriza, tanti cartelli e in chiusura di corteo anche una improbabile compagine russa con un ritratto di Putin.
Appena si scende per via Cavour tutti si girano indietro ad ammirare soddisfatti «quanto lungo è il corteo» e rinfrancati proseguono.
Arrivati al Colosseo, la scelta degli organizzatori è di far parlare più persone possibile: tre minuti a testa. Quella della Cgil è di lasciare la voce a lavoratori e delegati, gran parte giovani. Pierpaolo Pullini, omone grosso quanto gentile, delegato Fiom alla Fincantieri di Ancona è il più applaudito, specie per il passaggio finale: «Dobbiamo ribellarci a questi figli di trojka, all’idea che per i profitti di pochi si calpestino i dirtti di tanti, applicando come fa Renzi la lettera diktat della Bce del 2012 di Trichet e Draghi».
Per il resto sfilano tutte le facce della sinistra di oggi e di ieri: si rivede perfino Turigliatto. Il mondo della cultura che aveva aderito con tanti bei nomi — Toni Servillo, Anna Bonaiuto, Licia Miglietta — in realtà è rappresentato dal solo Moni Ovadia. Il suo discorso però è fra i più apprezzati. «Ne sento da molti lustri di belle parole sul costruire la sinistra. Abbiamo un solo modo per fare in modo che questa volta non sia la solita illusione. Non c’è più tempo — continua — dobbiamo fare come spagnoli e greci, dare forma ad una forza politica: Syriza e Podemos sono adesso, non domani. Se non lo faremo la nostra generazione avrà fallito», conclude sovrastato dagli applausi.
Arrivano i movimenti, passano e si dirogono verso la sede dell’Unione europea a viale IV novembre — contro la quale partono uova e petardi — lanciando già il prossimo appuntamento: il 18 marzo a Francoforte per «occupare» la Bce — «siamo dei moderati, non vogliamo mettere una bandiera rossa sull’Eurotower, solo aprirla ai bisogni reali delle persone», precisa Panagopoulos. La battaglia dunque continua. E come dice Haris Golemis, il direttore del Haris Golemis — l’istituto Gramsci ellenico — con i suoi capelli spettinati e i baffi bianchi «dobbiamo lottare tutti assieme, avanti popoli — e il plurale va sottolineato — alla riscossa». Si chiude con la canzone della resistenza greca e “Bella ciao”. «E da domani si torna a combattere».
Roma. In corteo sfila il problema, non la soluzione
Sabato, 14 Febbraio 2015 18:10 Redazione Contropiano
Roma oggi ha ospitato la manifestazione per la Grecia, un corteo ha sfilato da Piazza Indipendenza al Colosseo. Ma la partecipazione è stata indubbiamente inferiore sia alle aspettative dei promotori - l'appello Cambia la Grecia, cambia l'Europa - sia alle necessità di mettere a valore quanto accaduto in Grecia rispetto ai progetti antipopolari dell'Unione Europea. Cinquemila persone, nei momenti di massima estensione del corteo, sono decisamente un flop per una manifestazione nazionale che ha visto le adesioni di Cgil, Fiom, Arci e di tutti i partiti della sinistra, radicale e non, e di pezzi del Pd.
Si è confermata in modo visibile quella divaricazione tra l'importanza e l'empatia per la posta in gioco apertasi in Grecia con la rappresentazione che ne dà in Italia un ceto politico ormai estenuato dalle responsabilità che ne marchiano il recente passato. Testimonianza di questa contraddizione era una testa del corteo riempita da notabili della sinistra e della Cgil, Camusso inclusa, una immagine ben diversa da quella di chi vorrebbe vedere soffiare in Italia un vento e una generazione politica nuova come avvenuto in Grecia e Spagna.
Una rappresentazione plastica che un movimento politico e sociale che possa sintonizzarsi con l'opposizione reale ai diktat della Troika, deve in qualche modo sbarazzarsi di quelli che rappresentano il problema e non soluzione.
L'unico spezzone giovanile del corteo era quello dei centri sociali dell'area ex disobbedienti, il quale alla fine della manifestazione al Colosseo ha proseguito fino a via IV Novembre dove c'è la sede in Italia dell'Unione Europea. Lo spezzone, di circa duecento persone è stato però bloccato prima di arrivare agli uffici della Ue da un imponente schieramento di polizia. E' volato qualche fumogeno sugli agenti schierati in via IV Novembre ma tutto è finito lì.
Poco prima della partenza del corteo, lo spezzone di Ross@ con lo striscione "Con i conflitti sociali, rottura dell'Unione Europea", si è diretto verso la vicina ambasciata tedesca, anch'essa presidiata in forze da polizia e carabinieri, dove ha effettuato un "lancio delle cravatte", in spregio a quella avvelenata che Renzi ha regalato a Tsipras e a richiamare e denunciare quei "cravattari" che strozzano la gente - o i paesi in questo caso - alle prese con i debiti.
Il corteo animato solo da un pò di musica e qualche raro intervento dai vari camioncini con amplificazione, si è snodato per le strade della capitale per concludersi al Colosseo con alcuni interventi. Toni e contenuti decisamente al di sotto di una analisi adeguata delle questioni aperte dal No della Grecia all'austerità e alla Troika. Gli obiettivi "riformisti" nel senso migliore della parola messi in campo dal nuovo governo greco, non troveranno spazio di soluzione dentro l'apparato politico e istituzionale costruito dalle classi dominanti attraverso l'Unione Europea e il suo sistema di trattati. La rottura di questi apparati è dunque dentro le cose. Prima se ne diventa consapevoli anche in Italia e prima si può mettere in marcia un processo reale di ricomposizione e conflitto sociale che faccia della lotta contro l'austerità non uno slogan depotenziato ma un movimento reale che impugni una alternativa anticapitalista all'Unione Europea e ai governi che ne sono espressione. Manifestazioni come quella di oggi dimostrano nei numeri e nella rappresentazione politica espressa che non è questa la strada da perseguire. E nessuno dica che non ci sono altre proposte sul campo, il problema resta la scelta tra rottura e subalternità.
Il popolo di sinistra la vuole. Ma la «cosa rossa» è lontana
Legittimamente la piazza, i 20mila in corteo di ieri chiedono
a gran voce «una Syriza italiana». Facile a dirsi, difficile — se non
improbo — a farsi. Per strada e sul palco sfilano i tanti che ne
dovrebbero fare parte. Chi è già in politica — Nichi Vendola e Nicola
Fratoinanni (che parlerà dal palco per Sel), Curzio Maltese
e Eleonora Forenza dell’Altra Europa, Paolo Ferrero di Rifondazione
e i pochi esponenti del Pd che hanno deciso di aderire — a parole dice
di credere alla «cosa rossa». Per tutti Tsipras — e Pablo Iglesias
di Podemos — è «un esempio», «un faro», perfino «una calamita». La
battaglia contro l’austerità «è la battaglia di tutti». Quando si
tratta di tratteggiare il nuovo soggetto politico arrivano
i distinguo. E la parola più gettonata è «percorso» assieme a
«cammino comune».
I più riconosciuti, fermati e a volte sferzati durante il corteo
sono gli esponenti della sinistra Pd. Stefano Fassina è in prima
fila alla partenza e la frase che si sente chiedere più spesso è: «Ma
perché non lasci il Pd?» alternata dalla versione «Quando lasci il
Pd?». Lui risponde a tutti, anche a chi lo critica aspramente. La
chiusura del suo intervento dal palco — accolto da applausi e solo
qualche mugugno — è la sintesi perfetta della situazione comune
a tutti i potenziali attori in gioco: «Al di là delle differenza che
ci sono fra di noi». Ecco, quel confine va solcato. Ma «perché» e
«quando» lo farà Fassina non è ancora dato sapere.
Civati — forse ancora scottato dalla vicenda Falciani conto
svizzero — invece lascia alla sua fidata Elly Schlein il compito di
parlare dal palco. «Avanti così, compagni», chiude lei senza
chiarire bene se il gruppo lascerà la ditta Pd.
Il bersanian-cuperliano Alfredo D’Attore invece si è quasi limitato
ad osservare il corteo dal marciapiede. Lui a differenza dei suoi
compagni (pardon, colleghi) di partito l’altra notte è rimasto in
aula a votare le riforme costituzionali di Renzi («Siamo contrati
ma uscendo e facendo mancare il numero legale avremmo fatto saltare
tutto il progetto di riforma», si schernisce) e non sembra per
niente persuaso all’idea di uscire dal Pd: «Apprezzo la spinta di vari
soggetti della società civile alla politica per modificare la
politica italiana per aprire un varco nel muro dell’austerità
europea», si limita a dire.
Il più convinto è Vincenzo Vita. Percorrendo il corteo che lo
riporta «alle manifestazioni degli anni ’70 contro i colonelli e in
solidarietà a quella Grecia che ora invece per noi è una guida
politica», l’ex parlamentare, pur considerando «il programma più
importante delle persone» — e il neo keynesianesimo di Syriza
è veramente radicale e allo stesso tempo propositivo» — non esista
a delineare «una possibile trojka» per la nuova «cosa rossa»:
«Landini, Civati, Fassina».
Peccato che il primo, inseguito come al solito come «la madonna
pellegrina» per strette di mano, selfie e abbracci dal popolo della
sinistra, continua imperterrito a non sentire ragioni. Ai tanti
giovani, adulti e anziani che gli dicono: «Ti aspettiamo», lui
risponde sorridendo: «Aspetta, aspetta. Io sono qua (nel sindacato,
s’intende, ndr) e non mi muovo». Ai giornalisti che gli chiedono se
sarà lui lo Tsipras italiano, il segretario generale della Fiom
risponde rilanciando: «E chi dice che dovrà essere un uomo? Potrebbe
essere una donna».
Difficile, se non impossibile — per le stesse ragioni di Landini
— che sia Susanna Camusso. Che anche ieri a chi le chiedeva se il
sindacato potesse avere una funzione supplente rispetto alla
politica, ha replicato: «Credo che la politica non può essere
supplita, sarebbe un errore che il sindacato lo facesse».
Rimane però in piedi l’idea lanciata dallo stesso Landini. Proprio
ricalcando la storia di Syriza, il leader Fiom ha parlato di «una
rete per la sinistra sociale» in cui «ognuno mantiene il suo ruolo ma
lavora per «esprimere un altro punto di vista che rilanci la
partecipazione delle persone». A ieri l’unica strada
percorribile per arrivare alla nuova cosa rossa.
Fiat Chrisler Automobiles
Pomigliano, allo sciopero della Fiom aderiscono in cinque su 1.478
La protesta contro i sabati di lavoro straordinario richiesti dall’aziendaCorriere 15.2.15
1 commento:
Qualcuno nel 2008 ci provo'
Maurizio Fratta
Fuori dal recinto!
Vicini al disastro, è ora di iniziare battaglie vere. Prima che sia troppo tardi
INCONTRO NAZIONALE 25-26 OTTOBRE 2008 Hotel Sole, Via delle Rose - Chianciano Terme
PERCHE' L'INCONTRO DI CHIANCIANO
Avendo invitato all’astensione in occasione delle recenti elezioni politiche siamo tra coloro che hanno causato l’affossamento della cosiddetta «sinistra radicale». Non ci siamo quindi strappati le vesti per la disfatta elettorale della «sinistra arcobaleno».
E’ stato anzi un bene che tanti cittadini abbiano condannato un’operazione tanto sfacciatamente trasformista umiliando gli oligarchi della sinistra.
Non è affatto sinonimo di qualunquismo che un consistente numero di cittadini di sinistra abbia disertato le urne mentre la gran parte accorreva al voto per premiare uno dei due poli sistemici. Questa diserzione indica anzi che c’è uno zoccolo duro che non è più disponibile ad essere utilizzato come stampella del sistema politico vigente.
Dobbiamo contrastare i tentativi di rinascita dei rottami della sinistra “arcobalenica”, dobbiamo anzi rendere inappellabile il divorzio della gente di sinistra dalla sua addomesticata rappresentazione politica poiché solo così potrà risorgere una reale opposizione all’attuale devastante sistema sociale ed economico e quindi rinascere un’alternativa.
Opposizione e alternativa quanto mai urgenti in un paese la cui crisi è sociale e morale, in preda al timore di un fatale collasso. Le dilaganti pulsioni reazionarie, securitarie e xenofobe sono il carburante di un governo che militarizzando il territorio, criminalizzando le opposizioni, concentrando su di sé immensi poteri e calpestando le stesse istituzioni, sembra puntare diritto verso un regime autoritario. Il tutto in un contesto internazionale segnato dall’aggravamento della crisi economica del capitalismo e dall’aumento delle spinte belliciste del blocco capeggiato dagli Stati Uniti.
Bisogna costruire un’opposizione che sia al contempo democratica e rivoluzionaria. Un’opposizione che sappia tutelare i diritti sociali degli oppressi e di quanti stanno precipitando al di là della soglia dell’esclusione sociale, che si schieri con tutte quelle comunità locali che tenderanno ad autodifendersi davanti ai nuovi assalti che il sistema porterà ai loro territori e alla loro qualità primaria di vita, che sappia infine difendere lo stesso ordinamento costituzionale-democratico e la sua assoluta laicità.
Un’opposizione di mera salvaguardia delle residue conquiste sociali, ambientali e democratiche, risulterebbe di corto respiro e quindi destinata alla sterilità se non fosse in grado di rivendicare un’alternativa di sistema, un sistema che non sia più fondato sulla mistificazione dello «sviluppo» né appeso come un impiccato alla corda della «crescita del PIL», un sistema che subordini l’economia ai valori etici non negoziabili quali la libertà, l’uguaglianza e la fratellanza, un sistema che faccia della tutela dell’ambiente l’imperativo categorico dell’azione di ogni governo, e della più ampia democrazia partecipativa la stella polare dello Stato e il limite invalicabile della sua azione.
Di questo e di come attrezzarci in futuro discuteremo nell’incontro seminariale aperto che si svolgerà a Chianciano nei giorni 25 e 26 ottobre.
Non pensiamo quest’incontro per aggiungere un altro ingrediente allo spezzatino di sinistra, per dire ci siamo anche noi. Esso vuole essere invece un’occasione per proseguire il dibattito già cominciato tra coloro che hanno condiviso la scelta astensionista e che, coerenti con quelle premesse, vogliono compiere un passo avanti.
Sono previsti interventi di Giulietto Chiesa, Massimo Bontempelli, Leonardo Mazzei, Gabriele Roberto, Maurizio Fratta e Moreno Pasquinelli
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