domenica 15 febbraio 2015

No. La minuscola catastrofe residuale e la coazione a ripetere della Sinistra italiana nel flop della manifestazione di Roma

A Roma 5000 anziani in gita secondo Contropiano, masse oceaniche secondo il Manifesto: chi avrà ragione secondo voi, conoscendo i nostri polli?
Questi qui sotto invece si lasciano e annunciano una svolta epocale; qualche anno dopo annunciano un'altra svolta epocale che consiste nel riprendersi. Purtroppo tengono in ostaggio quel poco che rimane. E così eccoci qua ad aspettare che qualcuno tiri fuori magicamente un coniglio dal cilindro, oppure che arrivi il soccorso rosso internazionale.
Inutile aspettare il miracolo perché nulla ci risparmierà qualche decennio di lavoro semi-clandestino, se vogliamo fare una cosa seria. Se avessimo cominciato nel 2008, subito dopo la catastrofe e quando ancora qualcosa stava in piedi, avremmo già 7 anni di ricostruzione alle spalle [SGA].


Roma risponde: in 20mila per la Grecia 
Atene chiama. Un lungo corteo per le vie della capitale. Bandiere rosse e greche si mescolano nella richiesta di farla finita con l’austerità in Europa
Massimo Franchi, 14.2.2015
Cosa uni­sce «così forte» Atene e Roma, il governo greco e la sini­stra ita­liana lo spiega pro­prio alla fine Argi­ris Pana­go­pou­los: «Chi governa ora in Gre­cia viene da lon­tano, viene da Genova, viene dal G8 del 2001, viene da piazza Ali­monda: il patri­mo­nio poli­tico è quello». Il gior­na­li­sta di Avgi e diri­gente di Siryza con­clude così dal camion-palco un lungo pome­rig­gio romano che ha visto quasi 20mila per­sone sfi­lare per le vie della capi­tale a soste­gno della bat­ta­glia euro­pea di Ale­xis Tsi­pras e Yanis Varoufakis.

Il sole e le poche nuvole al posto della piog­gia annun­ciata sono il segnale che la mani­fe­sta­zione orga­niz­zata in pochi giorni «può con­si­de­rarsi un grande suc­cesso». Lo si capi­sce già dalla par­tenza alle 14 a piazza Indi­pen­denza. A pri­meg­giare sono le ban­diere rosse, spe­cie quelle della Fiom, pro­prio lì dove Lan­dini e i suoi furono man­ga­nel­lati dalla poli­zia durante la ver­tenza delle accia­ie­rie di Terni. Ma a parte i metal­lur­gici è tutta la Cgil ad essere pre­sente «in forze». C’è Susanna Camusso che sfila assieme a buona parte del gruppo diri­gente (Ago­stino Megale segre­ta­rio dei ban­cari della Fisac, il segre­ta­rio con­fe­de­rale Franco Mar­tini, Clau­dio Tre­ves dei pre­cari del Nidil) e c’è l’organizzazione che al Colos­seo porta gli stri­scioni legati ai pal­loni “No auste­rity” e “Change Europe”.
Le ragioni della pre­senza le spiega la stessa Camusso: «La Cgil è in prima fila a que­sto cor­teo per­ché l’austerità ha deter­mi­nato impo­ve­ri­mento dei lavo­ra­tori, disoc­cu­pa­zione, ha sca­ri­cato sul lavoro le scelte fatte dalla finanza. Per dare una pro­spet­tiva al lavoro, alla piena occu­pa­zione serve un’altra poli­tica, non quella dell’austerità e non quella del rigore». In chiu­sura arriva l’attacco al governo Renzi che «non segna una discon­ti­nuità rispetto alla logica del rigore. Basta dire che ha scelto la strada dei licen­zia­menti e non quella della crea­zione di lavori». 
Le bani­dere rosse della galas­sia ancora fra­sta­gliata della sini­stra ita­liana la fanno da padrone. Come chie­sto dagli orga­niz­za­tori però si mesco­lano, senza tron­coni pre­de­fi­niti. I fiori per ricor­dare i migranti — dal palco lo si farà non col silen­zio ma con un minuto di parole e musica di «Non è un film» di Fio­rella Man­noia — non sono molti, ma ci sono. Come c’è lo stri­scione di aper­tura «Basta con le morti nel Medi­ter­ra­neo, no all’Europa for­tezza» che accom­pa­gna l’altro con­te­nente l’oggetto stesso della mani­fe­sta­zione: «No all’austerità, dalla parte giu­sta: cam­bia la Gre­cia, cam­bia l’Europa». 
Si parla tanto, ci sono pochi cori, slo­gan o canti. Il più in voga è «Syriza, Pode­mos, ven­ce­re­mos!». I car­telli hanno come ber­sa­glio pre­fe­rito la tro­jka, la Mer­kel e la Bce e spesso sono in inglese per essere in sin­to­nia con le altre piazze euro­pee che in con­tem­po­ra­nea mani­fe­stano per la stessa ragione. Parec­chie ban­diere gre­che e di Syriza, tanti car­telli e in chiu­sura di cor­teo anche una impro­ba­bile com­pa­gine russa con un ritratto di Putin. 
Appena si scende per via Cavour tutti si girano indie­tro ad ammi­rare sod­di­sfatti «quanto lungo è il cor­teo» e rin­fran­cati proseguono. 
Arri­vati al Colos­seo, la scelta degli orga­niz­za­tori è di far par­lare più per­sone pos­si­bile: tre minuti a testa. Quella della Cgil è di lasciare la voce a lavo­ra­tori e dele­gati, gran parte gio­vani. Pier­paolo Pul­lini, omone grosso quanto gen­tile, dele­gato Fiom alla Fin­can­tieri di Ancona è il più applau­dito, spe­cie per il pas­sag­gio finale: «Dob­biamo ribel­larci a que­sti figli di tro­jka, all’idea che per i pro­fitti di pochi si cal­pe­stino i dirtti di tanti, appli­cando come fa Renzi la let­tera dik­tat della Bce del 2012 di Tri­chet e Draghi». 
Per il resto sfi­lano tutte le facce della sini­stra di oggi e di ieri: si rivede per­fino Turi­gliatto. Il mondo della cul­tura che aveva ade­rito con tanti bei nomi — Toni Ser­villo, Anna Bona­iuto, Licia Miglietta — in realtà è rap­pre­sen­tato dal solo Moni Ova­dia. Il suo discorso però è fra i più apprez­zati. «Ne sento da molti lustri di belle parole sul costruire la sini­stra. Abbiamo un solo modo per fare in modo che que­sta volta non sia la solita illu­sione. Non c’è più tempo — con­ti­nua — dob­biamo fare come spa­gnoli e greci, dare forma ad una forza poli­tica: Syriza e Pode­mos sono adesso, non domani. Se non lo faremo la nostra gene­ra­zione avrà fal­lito», con­clude sovra­stato dagli applausi.
Arri­vano i movi­menti, pas­sano e si diro­gono verso la sede dell’Unione euro­pea a viale IV novem­bre — con­tro la quale par­tono uova e petardi — lan­ciando già il pros­simo appun­ta­mento: il 18 marzo a Fran­co­forte per «occu­pare» la Bce — «siamo dei mode­rati, non vogliamo met­tere una ban­diera rossa sull’Eurotower, solo aprirla ai biso­gni reali delle per­sone», pre­cisa Pana­go­pou­los. La bat­ta­glia dun­que con­ti­nua. E come dice Haris Gole­mis, il diret­tore del Haris Gole­mis — l’istituto Gram­sci elle­nico — con i suoi capelli spet­ti­nati e i baffi bian­chi «dob­biamo lot­tare tutti assieme, avanti popoli — e il plu­rale va sot­to­li­neato — alla riscossa». Si chiude con la can­zone della resi­stenza greca e “Bella ciao”. «E da domani si torna a combattere».


Roma. In corteo sfila il problema, non la soluzione
Sabato, 14 Febbraio 2015 18:10 Redazione Contropiano
Roma oggi ha ospitato la manifestazione per la Grecia, un corteo ha sfilato da Piazza Indipendenza al Colosseo. Ma la partecipazione è stata indubbiamente inferiore sia alle aspettative dei promotori - l'appello Cambia la Grecia, cambia l'Europa - sia alle necessità di mettere a valore quanto accaduto in Grecia rispetto ai progetti antipopolari dell'Unione Europea. Cinquemila persone, nei momenti di massima estensione del corteo, sono decisamente un flop per una manifestazione nazionale che ha visto le adesioni di Cgil, Fiom, Arci e di tutti i partiti della sinistra, radicale e non, e di pezzi del Pd. 
Si è confermata in modo visibile quella divaricazione tra l'importanza e l'empatia per la posta in gioco apertasi in Grecia con la rappresentazione che ne dà in Italia un ceto politico ormai estenuato dalle responsabilità che ne marchiano il recente passato. Testimonianza di questa contraddizione era una testa del corteo riempita da notabili della sinistra e della Cgil, Camusso inclusa, una immagine ben diversa da quella di chi vorrebbe vedere soffiare in Italia un vento e una generazione politica nuova come avvenuto in Grecia e Spagna. 
Una rappresentazione plastica che un movimento politico e sociale che possa sintonizzarsi con l'opposizione reale ai diktat della Troika, deve in qualche modo sbarazzarsi di quelli che rappresentano il problema e non soluzione.
L'unico spezzone giovanile del corteo era quello dei centri sociali dell'area ex disobbedienti, il quale alla fine della manifestazione al Colosseo ha proseguito fino a via IV Novembre dove c'è la sede in Italia dell'Unione Europea. Lo spezzone, di circa duecento persone è stato però bloccato prima di arrivare agli uffici della Ue da un imponente schieramento di polizia. E' volato qualche fumogeno sugli agenti schierati in via IV Novembre ma tutto è finito lì.
Poco prima della partenza del corteo, lo spezzone di Ross@ con lo striscione "Con i conflitti sociali, rottura dell'Unione Europea", si è diretto verso la vicina ambasciata tedesca, anch'essa presidiata in forze da polizia e carabinieri, dove ha effettuato un "lancio delle cravatte", in spregio a quella avvelenata che Renzi ha regalato a Tsipras e a richiamare e denunciare quei "cravattari" che strozzano la gente - o i paesi in questo caso - alle prese con i debiti.
Il corteo animato solo da un pò di musica e qualche raro intervento dai vari camioncini con amplificazione, si è snodato per le strade della capitale per concludersi al Colosseo con alcuni interventi. Toni e contenuti decisamente al di sotto di una analisi adeguata delle questioni aperte dal No della Grecia all'austerità e alla Troika. Gli obiettivi "riformisti" nel senso migliore della parola messi in campo dal nuovo governo greco, non troveranno spazio di soluzione dentro l'apparato politico e istituzionale costruito dalle classi dominanti attraverso l'Unione Europea e il suo sistema di trattati. La rottura di questi apparati è dunque dentro le cose. Prima se ne diventa consapevoli anche in Italia e prima si può mettere in marcia un processo reale di ricomposizione e conflitto sociale che faccia della lotta contro l'austerità non uno slogan depotenziato ma un movimento reale che impugni una alternativa anticapitalista all'Unione Europea e ai governi che ne sono espressione. Manifestazioni come quella di oggi dimostrano nei numeri e nella rappresentazione politica espressa che non è questa la strada da perseguire. E nessuno dica che non ci sono altre proposte sul campo, il problema resta la scelta tra rottura e subalternità.

Il popolo di sinistra la vuole. Ma la «cosa rossa» è lontana
Ciò che rende lon­tani Roma e Atene sta tutto in una sigla: Syriza. La sini­stra in Gre­cia è unita dal 2004 e da qual­che set­ti­mana è il primo par­tito che ha sfio­rato la mag­gio­ranza asso­luta in par­la­mento, lasciando al Pasok socia­li­sta le bri­ciole e l’onta di finire sotto il 5 per cento.
Legit­ti­ma­mente la piazza, i 20mila in cor­teo di ieri chie­dono a gran voce «una Syriza ita­liana». Facile a dirsi, dif­fi­cile — se non improbo — a farsi. Per strada e sul palco sfi­lano i tanti che ne dovreb­bero fare parte. Chi è già in poli­tica — Nichi Ven­dola e Nicola Fra­toi­nanni (che par­lerà dal palco per Sel), Cur­zio Mal­tese e Eleo­nora Forenza dell’Altra Europa, Paolo Fer­rero di Rifon­da­zione e i pochi espo­nenti del Pd che hanno deciso di ade­rire — a parole dice di cre­dere alla «cosa rossa». Per tutti Tsi­pras — e Pablo Igle­sias di Pode­mos — è «un esem­pio», «un faro», per­fino «una cala­mita». La bat­ta­glia con­tro l’austerità «è la bat­ta­glia di tutti». Quando si tratta di trat­teg­giare il nuovo sog­getto poli­tico arri­vano i distin­guo. E la parola più get­to­nata è «per­corso» assieme a «cam­mino comune».
I più rico­no­sciuti, fer­mati e a volte sfer­zati durante il cor­teo sono gli espo­nenti della sini­stra Pd. Ste­fano Fas­sina è in prima fila alla par­tenza e la frase che si sente chie­dere più spesso è: «Ma per­ché non lasci il Pd?» alter­nata dalla ver­sione «Quando lasci il Pd?». Lui risponde a tutti, anche a chi lo cri­tica aspra­mente. La chiu­sura del suo inter­vento dal palco — accolto da applausi e solo qual­che mugu­gno — è la sin­tesi per­fetta della situa­zione comune a tutti i poten­ziali attori in gioco: «Al di là delle dif­fe­renza che ci sono fra di noi». Ecco, quel con­fine va sol­cato. Ma «per­ché» e «quando» lo farà Fas­sina non è ancora dato sapere.
Civati — forse ancora scot­tato dalla vicenda Fal­ciani conto sviz­zero — invece lascia alla sua fidata Elly Schlein il com­pito di par­lare dal palco. «Avanti così, com­pa­gni», chiude lei senza chia­rire bene se il gruppo lascerà la ditta Pd.
Il bersanian-cuperliano Alfredo D’Attore invece si è quasi limi­tato ad osser­vare il cor­teo dal mar­cia­piede. Lui a dif­fe­renza dei suoi com­pa­gni (par­don, col­le­ghi) di par­tito l’altra notte è rima­sto in aula a votare le riforme costi­tu­zio­nali di Renzi («Siamo con­trati ma uscendo e facendo man­care il numero legale avremmo fatto sal­tare tutto il pro­getto di riforma», si scher­ni­sce) e non sem­bra per niente per­suaso all’idea di uscire dal Pd: «Apprezzo la spinta di vari sog­getti della società civile alla poli­tica per modi­fi­care la poli­tica ita­liana per aprire un varco nel muro dell’austerità euro­pea», si limita a dire.
Il più con­vinto è Vin­cenzo Vita. Per­cor­rendo il cor­teo che lo riporta «alle mani­fe­sta­zioni degli anni ’70 con­tro i colo­nelli e in soli­da­rietà a quella Gre­cia che ora invece per noi è una guida poli­tica», l’ex par­la­men­tare, pur con­si­de­rando «il pro­gramma più impor­tante delle per­sone» — e il neo key­ne­sia­ne­simo di Syriza è vera­mente radi­cale e allo stesso tempo pro­po­si­tivo» — non esi­sta a deli­neare «una pos­si­bile tro­jka» per la nuova «cosa rossa»: «Lan­dini, Civati, Fassina».
Pec­cato che il primo, inse­guito come al solito come «la madonna pel­le­grina» per strette di mano, sel­fie e abbracci dal popolo della sini­stra, con­ti­nua imper­ter­rito a non sen­tire ragioni. Ai tanti gio­vani, adulti e anziani che gli dicono: «Ti aspet­tiamo», lui risponde sor­ri­dendo: «Aspetta, aspetta. Io sono qua (nel sin­da­cato, s’intende, ndr) e non mi muovo». Ai gior­na­li­sti che gli chie­dono se sarà lui lo Tsi­pras ita­liano, il segre­ta­rio gene­rale della Fiom risponde rilan­ciando: «E chi dice che dovrà essere un uomo? Potrebbe essere una donna».
Dif­fi­cile, se non impos­si­bile — per le stesse ragioni di Lan­dini — che sia Susanna Camusso. Che anche ieri a chi le chie­deva se il sin­da­cato potesse avere una fun­zione sup­plente rispetto alla poli­tica, ha repli­cato: «Credo che la poli­tica non può essere sup­plita, sarebbe un errore che il sin­da­cato lo facesse».
Rimane però in piedi l’idea lan­ciata dallo stesso Lan­dini. Pro­prio rical­cando la sto­ria di Syriza, il lea­der Fiom ha par­lato di «una rete per la sini­stra sociale» in cui «ognuno man­tiene il suo ruolo ma lavora per «espri­mere un altro punto di vista che rilanci la par­te­ci­pa­zione delle per­sone». A ieri l’unica strada per­cor­ri­bile per arri­vare alla nuova cosa rossa.

Fiat Chrisler Automobiles
Pomigliano, allo sciopero della Fiom aderiscono in cinque su 1.478
La protesta contro i sabati di lavoro straordinario richiesti dall’aziendaCorriere 15.2.15

1 commento:

Anonimo ha detto...

Qualcuno nel 2008 ci provo'
Maurizio Fratta

Fuori dal recinto!
Vicini al disastro, è ora di iniziare battaglie vere. Prima che sia troppo tardi

INCONTRO NAZIONALE 25-26 OTTOBRE 2008 Hotel Sole, Via delle Rose - Chianciano Terme

PERCHE' L'INCONTRO DI CHIANCIANO

Avendo invitato all’astensione in occasione delle recenti elezioni politiche siamo tra coloro che hanno causato l’affossamento della cosiddetta «sinistra radicale». Non ci siamo quindi strappati le vesti per la disfatta elettorale della «sinistra arcobaleno».
E’ stato anzi un bene che tanti cittadini abbiano condannato un’operazione tanto sfacciatamente trasformista umiliando gli oligarchi della sinistra.
Non è affatto sinonimo di qualunquismo che un consistente numero di cittadini di sinistra abbia disertato le urne mentre la gran parte accorreva al voto per premiare uno dei due poli sistemici. Questa diserzione indica anzi che c’è uno zoccolo duro che non è più disponibile ad essere utilizzato come stampella del sistema politico vigente.
Dobbiamo contrastare i tentativi di rinascita dei rottami della sinistra “arcobalenica”, dobbiamo anzi rendere inappellabile il divorzio della gente di sinistra dalla sua addomesticata rappresentazione politica poiché solo così potrà risorgere una reale opposizione all’attuale devastante sistema sociale ed economico e quindi rinascere un’alternativa.
Opposizione e alternativa quanto mai urgenti in un paese la cui crisi è sociale e morale, in preda al timore di un fatale collasso. Le dilaganti pulsioni reazionarie, securitarie e xenofobe sono il carburante di un governo che militarizzando il territorio, criminalizzando le opposizioni, concentrando su di sé immensi poteri e calpestando le stesse istituzioni, sembra puntare diritto verso un regime autoritario. Il tutto in un contesto internazionale segnato dall’aggravamento della crisi economica del capitalismo e dall’aumento delle spinte belliciste del blocco capeggiato dagli Stati Uniti.
Bisogna costruire un’opposizione che sia al contempo democratica e rivoluzionaria. Un’opposizione che sappia tutelare i diritti sociali degli oppressi e di quanti stanno precipitando al di là della soglia dell’esclusione sociale, che si schieri con tutte quelle comunità locali che tenderanno ad autodifendersi davanti ai nuovi assalti che il sistema porterà ai loro territori e alla loro qualità primaria di vita, che sappia infine difendere lo stesso ordinamento costituzionale-democratico e la sua assoluta laicità.
Un’opposizione di mera salvaguardia delle residue conquiste sociali, ambientali e democratiche, risulterebbe di corto respiro e quindi destinata alla sterilità se non fosse in grado di rivendicare un’alternativa di sistema, un sistema che non sia più fondato sulla mistificazione dello «sviluppo» né appeso come un impiccato alla corda della «crescita del PIL», un sistema che subordini l’economia ai valori etici non negoziabili quali la libertà, l’uguaglianza e la fratellanza, un sistema che faccia della tutela dell’ambiente l’imperativo categorico dell’azione di ogni governo, e della più ampia democrazia partecipativa la stella polare dello Stato e il limite invalicabile della sua azione.
Di questo e di come attrezzarci in futuro discuteremo nell’incontro seminariale aperto che si svolgerà a Chianciano nei giorni 25 e 26 ottobre.
Non pensiamo quest’incontro per aggiungere un altro ingrediente allo spezzatino di sinistra, per dire ci siamo anche noi. Esso vuole essere invece un’occasione per proseguire il dibattito già cominciato tra coloro che hanno condiviso la scelta astensionista e che, coerenti con quelle premesse, vogliono compiere un passo avanti.
Sono previsti interventi di Giulietto Chiesa, Massimo Bontempelli, Leonardo Mazzei, Gabriele Roberto, Maurizio Fratta e Moreno Pasquinelli