domenica 22 febbraio 2015

"Razza e destino" di Maurice Olender

Razza e destinoMaurice Olender: Razza e destino, Bompiani

Risvolto

Ogni comunità dà vita a una storia che si sviluppa nel tempo. Trasformarla in razza significa bloccarla in un passato senza presente né avvenire, condannarla a diventare una razza senza storia con un destino assegnato e fissato una volta per tutte. I gruppi definiti come "razze" diventano immobili della storia, incapaci del minimo cambiamento sociale, religioso, economico o politico. A quanti sono rinchiusi in questo cerchio magico senza possibilità d'uscita, è come se dicessimo: "Voi resterete sempre gli stessi." Nell'età del colonialismo, tra XIX e XX secolo, le scienze si sono occupate di pensare, classificare, legittimare le "razze umane": la storia del pensiero degli ultimi cinquant'anni è stata capace di riscattarsi? Maurice Olender conduce il lettore tra le ombre che questa idea proietta fino ai giorni nostri, e nella prefazione a questa edizione italiana presenta un primo approccio storiografico alle "figure metafisiche della razza" che emergono dai "Quaderni neri", ancora in parte inediti, di Martin Heidegger. 

Razza e Destino Le radici profonde di tutti i razzismi
La ricerca minuziosa di Maurice Olender cerca di districare il complicato intreccio dei pregiudizi che hanno generato persecuzioni

di Maurizio Bettini Repubblica 22.2.15

IN OCCIDENTE razzismo e antisemitismo si presentano simili a un viluppo intricato di radici difficile da districare. Alla costruzione del pensiero che animò questi drammatici fenomeni hanno infatti contribuito le figure più disparate, professori di grammatica storica e studiosi della Bibbia, oscuri canonici di campagna e articolisti della Civiltà Cattolica, scrittori, scienziati e politici. Il fatto è che «scrivere la storia dell’antisemitismo», ha detto Léon Poliakov, «è scrivere la storia di una persecuzione che, nel seno della società occidentale, è stata legata ai valori supremi di questa società, perché la si è perseguita in loro nome». Ecco perché districare questo viluppo è così difficile – a meno di non volersi accontentare di luoghi comuni.
Chi intenda assumersi seriamente questo compito non può che cominciare dalla lettura minuziosa di testi rari, articoli dimenticati, perfino manoscritti. E deve esser pronto ad accettare che la ricerca produrrà scoperte imbarazzanti per la propria fede, così come per la propria laicità, perfino per l’amore delle discipline (e degli studiosi) a cui deve la sua formazione intellettuale. Il compito se lo era assunto Poliakov. E sulla sua scia Maurice Olender, che dopo Le lingue del Paradiso prosegue con Razza e destino . Il cammino tracciato in questo libro si snoda attraverso ricerche storiche (la lotta del gesuita Padre Charles contro i Protocolli dei Savi di Sion e certe posizioni antisemite della Chiesa); interviste e ritratti di grandi intellettuali (Georges Dumézil, Hans-Robert Jauss); ricostruzioni di tappe importanti. Altrettanti capitoli cuciti dal filo di una stessa drammatica domanda: quando e perché la “razza” diventa “destino”? In quali circostanze una categoria (peraltro falsa) delle scienze biologiche si muta in uno strumento capace di rendere “naturale” la superiorità o l’inferiorità morale, intellettuale, spirituale attribuite a un certo gruppo rispetto a un altro? Si tratta di una visione della razza che Otto Reche, professore di Antropologia a Lipsia fra il 1927 e il 1945, riassunse appunto nella formula “Razza è destino”. Banalità assiomatiche che però ci si stupisce, anzi ci si allarma quando le si vede uscire dalla penna di uno scienziato come Teilhard de Chardin o di un grande linguista come André Martinet. Per non parlare dell’antisemitismo che emerge dalla lettura dei “Quaderni Neri” di Heidegger, dei quali Olender ugualmente si occupa. La storia degli studi di indo-europeistica è esemplare. Con la scoperta delle affinità fra radici linguistiche appartenenti a sanscrito, latino, greco, lingue celtiche, questa corrente suscitò anche un impulso verso la ricostruzione di una pretesa “razza” indoeuropea: la cui cultura, guarda caso, avrebbe avuto gli stessi tratti di superiorità che fra otto e novecento gli Europei attribuivano a se stessi nei confronti di “semiti”, neri o gialli. Perfino alcune innocue radici linguistiche poterono mischiarsi al viluppo dei razzismi.

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