dal 13 febbraio al 12 aprile 2015
venerdì 13 febbraio 2015
Una mostra sull'impressionismo russo a Venezia
Palazzo Franchetti Campo Santo Stefano, San Marco 2847, Venezia
dal 13 febbraio al 12 aprile 2015
dal 13 febbraio al 12 aprile 2015
Gli impressionisti russi a Venezia volto lunare della società sovietica
Dalla fine dell’800 ai giorni nostri, si sono ispirati alla corrente pittorica francese fondendola con le profondità dell’anima slava. Una mostra aiuta a scoprirli
Andrea Colombo la Stampa 12 2 2015
Pittori contadini e artisti scienziati, stalinisti incalliti e reazionari zaristi. Sono gli impressionisti russi, personalità diversissime ma accomunate dalla stessa passione per Monet e Renoir. L’impressionismo arrivato a Mosca negli Anni Novanta dell’800, un paio di decenni dopo l’esplosione parigina, si prolungò sorprendentemente per tutto il secolo breve arrivando fino ai nostri giorni. Per documentare la sua ricca e lunga fioritura, il prossimo autunno nella capitale russa verrà inaugurata una grande struttura espositiva altamente tecnologica, con percorsi multimediali. Una scelta di 50 opere provenienti dalla collezione moscovita si potrà però ammirare da oggi a Venezia, a Palazzo Franchetti, nella rassegna A occhi spalancati. Capolavori dal museo dell’impressionismo russo di Mosca (a cura di Yulia Petrova, Giuseppe Barbieri e Silvia Burini, fino al 12 aprile).
Sbarcando in terra russa, l’impression francese assume caratteristiche del tutto originali: s’incarna nei colori e negli stati d’animo di un Paese molto distante dalle atmosfere eleganti dei salotti parigini. La tecnica francese si adatta alla melanconia tipicamente slava, animando spesso queste opere di una spiritualità e introspezione assenti nei maestri occidentali. Sopravvissuti allo sconvolgimento provocato dalle avanguardie, gli impressionisti russi tornano in auge negli Anni Trenta. In periodo stalinista, sebbene la maniera impressionistica fosse dichiarata a parole inaccettabile, de facto rimase la variante stilistica più diffusa al di fuori della produzione artistica di propaganda.
Non a caso in mostra sono presenti due tele di Aleksandr Gerasimov. Tra i pittori ufficiali sovietici, divenne famoso per le grandi opere che raffigurano Stalin e i padri della rivoluzione in pose eroiche. Nell’esposizione veneziana possiamo ammirare il suo lato più intimistico: una Notte a Montmartre (1934) e una Giornata estiva (Anni 50) dipinti in puro stile ottocentesco, in netto contrasto con i dettami nazionalistici, di duro e propagandistico realismo, di cui pure Gerasimov si era fatto portatore. Il contrasto è netto, la contraddizione insanabile: da un lato il volto del feroce dittatore, dipinto come il salvatore della patria, dall’altra l’eleganza dei paesaggi campestri. Sangue e fiori. Un percorso simile avrà anche Dmitrij Nalbandjan, altro cantore delle glorie della dittatura del proletariato, ma allo stesso tempo raffinato pittore di nature morte ed emozionanti ritratti dal vero, come Il pescatore italiano Longo che ha visto Lenin (1959).
Sembra quasi che queste grandi personalità, coccolate dal regime, trovino proprio nell’ispirazione allo stile parigino e nella raffigurazione di una natura rigogliosa una via di fuga dai dettami del realismo socialista. Ma, comunque, la vena nazionalistica prevale sempre in questi artisti. Stanislav Zukovskij, in mostra con un Bosco autunnale (1911) molto nordico, non esitò ad affermare: «E’ ora di smetterla di andare a Parigi a seguire le mode, dobbiamo amare un po’ di più quella nostra bellezza inesauribile che è grigia, semplice, ma che da sempre canta l’anima profonda degli slavi». Zukovskij ebbe un destino crudele: perseguitato dai bolscevichi, emigrò in Polonia dove morì nel lager nazista di Priškov.
Non mancano profili di artisti più bizzarri, meno accademici e ufficiali, come Vladimir Baranov-Rossine, pittore, scultore, ingegnere e inventore, musicista, creatore del pianoforte optofonico, strumento capace di riprodurre a un tempo suoni e immagini visive. Nikolaj Bogdanov invece nasce figlio illegittimo di un contadino e inizia la sua carriera come pittore di icone. Si arricchì dipingendo i nobili della corte zarista. Bollato come reazionario fu costretto alla fuga con l’avvento al potere dei bolscevichi. Si trasferì dapprima in Lettonia e poi, nella seconda guerra mondiale, con l’avanzare dell’armata rossa, seguì i nazisti in Germania. Morì sotto le bombe russe a Berlino nel 1945. Bogdanov non è l’unico artista contadino in mostra a Venezia. Petr Koncalovskij, tra una tela e l’altra improntata a uno strapaesano gusto naïf, coltivava il giardino, allevava maiali e si rifiutava di usare l’elettricità in casa.
Per gli impressionisti russi non poteva essere scelta una sede più adatta di Venezia. La melanconica città lagunare è spiritualmente vicina alla sensibilità slava. In mostra c’è una suggestiva veduta della serenissima di Boris Kustodiev del 1913: dall’oscurità emergono i contorni della punta della Dogana, alcuni lampi di fuochi d’artificio si rispecchiano nell’acqua notturna e illuminano la facciata della chiesa di san Giorgio Maggiore. La festa spettrale diventa un’immagine onirica, fiaba dipinta di una visione senza tempo. Alla Venezia di Kustodiev si contrappone una piazza San Marco dipinta nel 2012 da uno dei maggiori esponenti dell’attuale nuovo impressionismo russo, Valerij Košljakov: qui i palazzi, le colonne, il campanile si dissolvono, in una luminosità pervasiva. La citazione dei maestri dell’800 diventa demolizione postmoderna, ma sembra quasi voler dire: «L’impressionismo è morto, viva l’impressionismo».
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