mercoledì 4 marzo 2015

Ancora Orage: Giorgio Galli e la sempre più insistente tendenza a teorizzare un fronte politico trasversale

Il tempo non è denaro. Credito sociale contro speculazione finanziaria
Una cosa non nuova ma sempre in auge quando c'è crisi. Una cosa da respingere, a condizione però di saper ricostruire il nostro campo [SGA].

«L’anticapitalismo di destra ci salverà dalla crisi»
Il politologo Giorgio Galli introduce l’opera dell’inglese Alfred R. Orage «Il tem po non è denaro», che già nel 1934 profetizzava le diseguaglianze di Piketty, la finanza nera e una strana alleanza...
«Nel divario che separa il Valore dei Prezzi dai Redditi, c’è abbastanza polvere da sparo da far saltare qualsiasi parlamento democratico».
4 mar 2015 Libero LUCA MARCHESI       
Parole, che sembrerebbero di un qualsiasi agitatore ispirato dai principi del marxismo; sono in realtà di Alfred Richard Orage, intellettuale inglese, giornalista, sindacalista, uno dei primi divulgatori dell'opera di Nietzsche nel Regno Unito. Nella prefazione della raccolta antologica di alcuni suoi scritti Il tempo non è denaro. Credito sociale contro speculazione finanziaria pubblicata di recente da Mimesis ( pp 142, euro 11) nella collana Oro e lavoro, curata da Luca Gallesi, Giorgio Galli, politologo di fama internazionale già docente presso l’Università degli Studi di Milano, definisce il pensatore britannico «una di quelle personalità che si possono collocare nella cultura dell' anticapitalismo di destra, come C. H. Douglas o Ezra Pound ».

 Il riferimento «esplosivo» alla crisi delle democrazie occidentali, era la conclusione del discorso di Orage Povertà in mezzo all’abbondanza, radiotrasmesso dalla Bbc. il 5 novembre 1934, quando ancora l'Europa si leccava le ferite per una crisi economica che, partita nel settembre '29 da Wall Street, la aveva travolta nel giro di pochi mesi. Durante la radiotrasmissione Orage, accusò dei malori, ma portò ugualmente a termine il programma. Colpito da infarto durante la notte, morì il giorno dopo. «Mi rendo conto che la definizione di anticapitalismo di destra possa essere discussa» sottolinea Giorgio Galli «ma si tratta di una scelta chiarificatrice. C'è un ben noto anticapitalismo di sinistra, culminante con il marxismo-leninismo, che vuole abbattere il capitalismo. Poi ci sono altre correnti culturali, il nome più noto è quello di Ezra Pound (sua la critica alla usucrazia, potere dell'usura), solo da poco fatte oggetto di studio, che criticano il capitalismo non per abbatterlo ma per migliorarlo, in un’ottica che non è neanche quella del socialismo riformista. Ed è per questo motivo, per la sua estraneità al marxismo, che definisco questa cultura, anticapitalismo di destra».
Per Orage la terapia al conflitto sociale era un sindacalismo delle gilde; qualcosa che portasse il paese reale, i ceti produttivi, a determinare direttamente le scelte economico - politiche dei Paesi (un’anticipazione delle «diseguaglianze» del Capitale di Piketty).

 «Ma ciò che risulta sorprendente in Orage, come in tutti questi pensatori trascurati o dimenticati in quanto lontani dal mainstream marxista, è che avevano capito già nella prima parte del XX sec. quale sarebbe stato il problema del capitalismo (e della povertà) del futuro».

Quindi, professor Galli, anche di quello che ha prodotto l'attuale crisi economica e che in diversi stati ha portato alla «sospensione» della democrazia, cioè a forme di democrazia eterodirette da elite economiche.

«Da vari anni, gruppi e associazioni, in Usa e in Europa, sostengono che, se non si limita il potere delle banche private di creare denaro dal nulla, la prossima crisi potrebbe essere ancora più devastante della precedente. E lo dice anche il maggiore quotidiano economico del mondo ( Financial Times), pilastro della cultura economica neo liberale » .

Lei suggerisce, a partire dalle idee di Orange, di far partecipare il popolo alla elezione dei membri dei Consigli di Amministrazione di importanti aziende.

       «Certo, è un fatto che la democrazia rappresentativa è in difficoltà. I poteri reali dei parlamenti sono sempre più ridotti. Nel mondo occidentale ci sono cinquecento multinazionali, nei cui consigli si prendono le decisioni che contano, alle quali i parlamenti sono assolutamente subalterni. La mia idea è che il naturale sviluppo della democrazia rappresentativa potrebbe essere la partecipazione dei cittadini alla elezione di quei consigli di amministrazione. Capisco che sembri un'idea utopica, ma nel '700 era utopico pensare di arrivare al suffragio universale, dato che l'unico parlamento elettivo esistente, quello inglese, aveva una base elettorale del 2% della popolazione. Una democrazia rap-presentativa se vuol funzionare oggi, deve coinvolgere il potere economico. Se non lo coinvolge, alla fine i cittadini si trovano a votare per istituzioni che oramai detengono una piccola parte del potere».

Lei oggi crede possibili delle convergenze tra gli anticapitalisti marxisti, e quelli di matrice differente, da lei definita di destra?

«Certo che sì. La Bce, ad esempio, rappresenta solo un potere reale che è quello delle multinazionali. Juncker , il presidente della Commissione Europea, come primo ministro del Lussemburgo ha concesso alle multinazionali clamorose evasioni fiscali, permettendo loro di collocare nel Granducato le loro sedi fiscali. E questo gli anticapitalisti sia di destra che di sinistra lo hanno denunciato. Parlando della Grecia, che la famosa Troika non sia altro che la rappresentanza operativa di questi poteri, sia Alba Dorata che Tsipras, lo hanno detto apertamente».

Valutando la attuale crisi economica, lei è d'accordo con Orage che nel discorso Povertà in mezzo all'abbondanza, parlava di una miseria indotta dalla finanza più spregiudicata, alla quale gli stati hanno concesso il diritto di stabilire la quantità di denaro da mettere in circolazione?

«Sì. Penso che se l'Italia non correggerà la politica economica, andrà incontro ad impoverimento progressivo. Tutte le statistiche della Banca d’Italia lo confermano. Abbiamo un capitalismo poco produttivo e largamente parassitario. Renzi sta confermando la linea dei governi Monti e Letta, dettata dal capitalismo finanziario improduttivo, buona parte del quale neanche nazionale. Se non si renderà conto che non è con il Jobs Act che si può rilanciare l’economia italiana, si limiterà a gestire il progressivo impoverimento. Servirebbe un patto tra produttori, non tra saccheggiatori e corruttori. Finora lui è stato quello che i poteri tradizionali e forse anche la massoneria, han voluto fosse. Renzi ha però una personalità più spiccata rispetto ai predecessori, una formazione politica solida. Sembrerebbe avere le qualità per svincolarsi da abbracci perniciosi. Vorrei scommettere sul suo ravvedimento, dato che oramai si pensa che l’attuale crac greco sia anche il nostro futuro».

Nessun commento: