Un altro francofortese assai incattivito è Bolaffi, del quale parlerò più avanti, se ho tempo [SGA].
domenica 29 marzo 2015
Gian Enrico Rusconi, spacciatore del "Modell Deutschland". La triste sorte degli allievi di Francoforte
Un altro francofortese assai incattivito è Bolaffi, del quale parlerò più avanti, se ho tempo [SGA].
La Germania si riscopre “potenza di centro”
Nel bicentenario di Bismarck si torna a parlare di Berlino come guida dell’Europa democratica. Ma c’è un rischio: che la centralità tedesca si sovrapponga a quella europea
Gian Enrico Rusconi La Sampa 29 3 2015
E' una pura coincidenza che la Germania stia prendendo consapevolezza della propria responsabilità geopolitica in Europa, mentre celebra il bicentenario della nascita di Otto von Bismarck? Una vivace pubblicistica sta dibattendo il ruolo della nuova «centralità» della Germania come leader di fatto dell’Europa puntando sulla sua posizione di «potenza di centro». Agli occhi dello storico questa espressione (Macht der Mitte) è tutt’altro che innocua. È da lì infatti, dalla posizione centrale acquisita dal grande Reich fondato da Bismarck nel 1870/1 nel cuore d’Europa, che è nata la «questione tedesca». Un evento che avrebbe condizionato drammaticamente la storia europea e mondiale.
Diciamo subito con grande chiarezza che la ripresa dell’espressione «potenza di centro o nel centro» riferita alla Germania di oggi si pone in una prospettiva radicalmente nuova rispetto ai tempi di Bismarck. Nonostante l’assonanza. La Germania è oggi una nazione compiutamente democratica, non un regime semiautoritario. Questa differenza è fondamentale e decisiva, ma contiene la sfida della analogia storica: come si comporta una nazione democratica con ambizioni di «potenza di centro» all’interno dell’Europa?
Geopolitica
La riscoperta del paradigma geopolitico apre una nuova stagione politica. La ritrovata sensibilità geopolitica di molti esponenti della classe politica odierna li porta a corresponsabilizzarsi dei problemi della sicurezza europea. Ripropone la costituzione di un esercito comune, confermando il definitivo abbandono della cultura dell’astinenza militare, coltivata per lungo tempo dai tedeschi.
Che cosa c’entra con tutto questo il bicentenario di Bismarck? In queste settimane le librerie tedesche offrono una abbondante letteratura storiografica sulla personalità e l’opera del cancelliere di ferro. È la smentita di chi sosteneva che la sua figura fosse ormai relegata a lavori di routine accademica o a inguaribili nostalgici di miti nazionali obsoleti. In un libro collettaneo intitolato Bismarck. Riflessioni all’inizio del XXI secolo (che contiene firme note e importanti da Henry Kissinger a Michael Stuermer) il curatore Tilman Mayer scrive che la Germania, tornata a costituire il centro d’Europa, farebbe bene ora a ritrovare con realismo politico la sua strada di potenza del centro – aggiornando la lezione di Bismarck. «Come possiamo noi oggi dare il tono nel centro d’Europa senza pretendere troppo dalle altre potenze? Come dobbiamo comportarci con la Russia? Che cosa ci aspettiamo da una cancelleria esigente?». Lo storico-politologo Herfried Münkler scrive un denso libro tematico su La potenza nel centro. I nuovi compiti della Germania in Europa , corredato di una amplissima, ambiziosa analisi macrostorica, costruita attorno al concetto di centro geopolitico dando spazio significativo all’esperienza bismarckiana.
Realpolitik
In realtà non è facile definire la qualità della rivisitazione storica in atto su un personaggio straordinario, complesso e controverso come Bismarck.
Concetti storico-politici ormai classici come realpolitik, cesarismo, equilibrio tra le potenze sono stati ritagliati, per così dire, sulla sua personalità e azione politica.
Da qui il giudizio controverso sulla eredità bismarckiana per il destino della Germania. Da un lato c’è la letteratura polemica che presenta Bismarck come «il demone dei tedeschi», abusando della formula «da Bismarck a Hitler» quasi a indicare una continuità senza alternative. Dall’altro lato c’è la letteratura che apprezza la consapevolezza del cancelliere di ferro che la nazione tedesca fosse «satura» nella sua raggiunta posizione di potenza di centro dopo il 1870 e di preoccuparsi quindi innanzitutto di conservarla insieme con l’equilibrio tra le potenze europee.
L’eredità del cancelliere
La serie di errori commessi dalla classe politica tedesca guglielmina dopo il ritiro forzato di Bismarck (1890), non sarebbe tanto il frutto inevitabile della sua eredità politica, quanto il risultato dell’abbandono della sua linea strategica per inseguire l’obiettivo della Germania come «potenza mondiale». Naturalmente questo obiettivo si colloca in un mutato contesto internazionale caratterizzato dalla crescita esponenziale della competizione «imperialista» tra le grandi potenze. La Germania anziché proseguire una strategia di moderazione fa una serie di mosse ostili verso la Gran Bretagna, la Francia e la Russia che reagiscono creando quello che i tedeschi percepiscono come un «accerchiamento» ostile che dovrà essere spezzato con la guerra.
Inizia così il fatale cammino della Germania che la porterà alla catastrofe della prima guerra mondiale e in prospettiva anche della seconda. Con questi due conflitti e la successiva risistemazione della guerra fredda viene sconvolto irreversibilmente l’equilibrio europeo, rendendo irrilevante la dimensione geopolitica della «posizione di centro» tedesca. Soltanto dopo la caduta del muro di Berlino e la riunificazione tedesca, seguita dall’allargamento dell’Unione europea verso est, questa dimensione ritorna ad essere attuale. Con due novità essenziali: la democratizzazione dell’intera Europa, la creazione dell’Unione europea e lo spostamento dei suoi confini orientali sino alla (Bielo)Russia e Ucraina. Da qui la ritrovata «centralità» della Germania che dà significatività ad una rilettura retrospettiva della figura di Birmarck.
Il centro ritrovato
L’incontro a Minsk tra Putin e Merkel, affiancati dal francese Hollande e dall’ucraino Poroshenko – in vista di un contenimento del conflitto russo-ucraino – rappresenta un significativo segnale della direzione intrapresa dalla politica tedesca. Il ministro degli Esteri tedesco Steinmeier, esecutore di questa politica, ha usato un’elegante espressione: la Germania agisce come «chief facilitating officer». È una formula difficilmente traducibile nella sua sinteticità. Ma un editoriale della Frankfurter Allgemeine Zeitung si incarica di indicarne il senso concreto: «Se il controllo della crisi ucraina fosse stato lasciato alla diplomazia internazionale, Mosca avrebbe avuto facile gioco. (...) Berlino vuole guidare dal centro. Chi guida, deve però stare davanti. Là dove si è soli».
Ma c’è un punto nevralgico da chiarire. I passaggi più critici delle tesi riportate sopra riguardano il rapporto tra Germania ed Europa. Si nota infatti una certa confusione nell’imputazione geopolitica del «centro», attribuito ora alla Germania e all’Europa. Ai tempi di Bismarck la Germania era la «potenza di centro» in un sistema di nazioni/potenze gelosissime della propria sovranità che non si identificavano affatto con quello che noi oggi chiamiamo Occidente.
Il centro sovrapposto
Oggi la situazione è completamente cambiata, al punto che in molti commentatori tedeschi la «potenza di centro Germania» si sovrappone e si confonde con la «potenza di centro Europa». La Germania non intende sostituirsi all’autorità formale della Ue ma di fatto la condiziona e la interpreta. La crisi ucraina rilancia il ruolo politico della Germania, la sua funzione supplente dell’Unione europea. È un salto di qualità rispetto al potere condizionante sin qui esercitato nell’ambito meramente economico-monetario. Funzione supplente, guida informale che diventa esplicita. E’ questo il futuro? Discutiamone.
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