sabato 21 marzo 2015

I numeri di Bottazzini

Copertina Numeri
Umberto Bottazzini: Numeri. Raccontare la matematica, il Mulino, Bologna, pagg.208, € 14,00

Risvolto
I numeri sono protagonisti di una grande avventura che ha inizio migliaia di anni fa nella civiltà babilonese, in quella egizia, in Cina, e poi nella cultura inca e maya. Numeri che esprimono rapporti indicibili per i seguaci di Pitagora. Simboli per il nulla e cifre arcane che dalle regioni dell'India vedica si diffondono in Occidente e nel resto del mondo. Astratti interpreti di una storia al tempo stesso sacra e profana, dove la perfezione della Creazione si coniuga con i libri mastri dei mercanti medioevali, e i loro numeri "falsi" con i numeri reali e immaginari creati dalla fantasia dei matematici. 


Matematica L’arte di scolpire teoremi
Da Pitagora a Gödel la domanda ricorrente sui numeri è sempre la stessa: esistevano già prima che li scoprissimo oppure li inventiamo?

di Carlo Rovelli Il Sole 15.3.15

«Oh, amici, cosa sono dunque questi meravigliosi “numeri” sui quali voi state ragionando?». Così Platone ai matematici, nel VII libro della Repubblica. Ventiquattro secoli più tardi ci poniamo ancora la domanda. La risposta sembra facile: i numeri sono quelle “cose” come 1, 2, 3, 4 eccetera. Ma intanto ci sono altri numeri oltre a questi numeri “naturali”; per esempio, 3,14 è un numero. E poi, cosa sono queste “cose-numero”»? Sono una nostra invenzione, oppure sono qualcosa che esiste indipendentemente da noi?
Molti matematici rispondono con convinzione che i numeri, con tutta la matematica, esistono indipendentemente da noi. L’insieme delle verità matematiche forma una realtà astratta che i matematici vanno esplorando e scoprendo un po’ alla volta, come gli esploratori dell’Ottocento esploravano l’Africa. Alain Connes, grandissimo matematico francese, scrive che per lui i numeri hanno «una realtà più stabile della realtà materiale che ci circonda». Roger Penrose, grandissimo matematico inglese, gli fa eco: «C’è qualcosa d’importante che si guadagna pensando che le strutture matematiche abbiano una realtà in se stesse». Raro caso di accordo fra francesi e inglesi. Platone sarebbe stato felice di queste risposte: lui immaginava un mondo di idee perfetto, del quale il nostro mondo non sarebbe che un pallido riflesso. In questo ideale mondo platonico, la matematica aveva una posizione regina.
Ma ci sono altri modi di pensare cosa siano i numeri: per esempio un’utile costruzione che noi abbiamo inventato. Oppure l’utile sviluppo di un sistema di regole che noi decidiamo di studiare, perché è bello e perché ci torna utile. Insomma, una costruzione umana, molto umana. «Noi creiamo nuovi numeri», scriveva per esempio nel XIX secolo Richard Dedekind, il matematico che ha formulato la moderna teoria dei numeri che misurano quantità continue, come la lunghezza di un segmento.
La domanda sulla natura dei numeri apre e chiude un testo di Umberto Bottazzini, Numeri. Il libro è di facile lettura, ma denso di fatti di storia della matematica. Ripercorre secoli di evoluzione del concetto di numero, da Pitagora al teorema di incompletezza di Gödel. Si parla dei numeri naturali, delle complesse strutture che questi nascondono, come i numeri primi, ma anche dei numeri razionali, come 0,1, dei numeri reali, come la radice quadrata di due, dei numeri complessi, come la radice quadrata di -1 eccetera. Ciascuna classe di numeri con le sue proprietà, ciascuna rivelatasi poi utilissima, anzi essenziale, per la scienza.
Bottazzini prende risolutamente parte nella disputa sulla natura dei numeri, fino a concludere: «La credenza nell’esistenza di una matematica platonica che trascende i corpi e le menti umane e struttura il nostro universo – credenza che corrisponde alla filosofia “spontanea” diffusa fra i matematici – appare sempre più destinata a essere relegata a materia di fede, non dissimile dalla fede religiosa». Questa posizione anti platonica è illustrata ricordando il pensiero classico dei matematici dell’Ottocento che l’hanno sostenuta, ma soprattutto viene collegata da Bottazzini ai risultati recenti delle ricerche scientifiche sul modo in cui i numeri sono codificati nel nostro cervello, sulle capacità numeriche di altre specie animali e sulla variabilità nella padronanza dei numeri delle diverse culture umane.
Quello che emerge da questa sintesi è che forse non è del tutto vero che i numeri li «creiamo liberamente noi», come voleva Dedekind, ma solo nella misura in cui la nostra istintiva padronanza dell’azione del numerare non è che un risultato della nostra evoluzione biologica. Come in molti altri campi, la sensazione dell’esistenza di realtà trascendenti indipendenti da noi è un abbaglio, che viene dall’assumere che i termini del nostro linguaggio facciano sempre riferimento a qualcosa, quando invece spesso la loro funzione è diversa da quella di designare. Insomma, i numeri sono strumenti e forme di una attività in cui siamo impegnati, e alla quale in parte l’evoluzione ci ha predisposti, non entità con esistenza autonoma.
E la sensazione dei matematici di scoprire cose che già esistevano?
Michelangelo ci ha lasciato scritto che uno scultore non crea una statua, perché la statua esiste prima dell’artista: è già nel blocco di marmo. Quello che l’artista deve fare è solo levare la pietra in più e «tirare fuori» la statua dal blocco di marmo. Nello stesso modo, dall’insieme amorfo e privo di senso di tutte le «proposizioni vere» che seguono dall’insieme di «tutti i possibili sistemi assiomatici», il matematico estrae, come Michelangelo dal marmo, gli scintillanti teoremi che fanno la bellezza e l’utilità della matematica. Agli occhi di Michelangelo, di Alain Connes o di Roger Penrose, forse non si tratta che trovare quello che già “esiste” – in fondo “esistere” è un verbo che possiamo usare come ci pare –. Ma agli occhi del resto di noi, sono Michelangelo e i Matematici che creano le forme. Le forme che parlano a noi che sono utili a noi che hanno senso per noi creature naturali in un mondo naturale. Senza bisogno di immaginare realtà al di là della realtà.

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