Comunque, meglio di quella che sarebbe dopo un intervento di questo tipo [SGA].
Dopo lo stallo nel Consiglio dei ministri, si riapre il dibattito sui punti contestati delle linee guida Nell’esecutivo emergono divisioni e dubbi sulla copertura finanziaria. Sindacati pronti alla lotta
di Flavia Amabile La Stampa 5.3.15
Niente decreto. E l’annunciato disegno di legge potrebbe arrivare troppo tardi per l'assunzione del primo settembre Sono almeno 40 mila quelli a rischio nelle graduatorie ad esaurimento Anni di lavoro per l'immissione in ruolo potrebbero essere spazzati via
di Roberto Ciccarelli il manifesto 5.3.15
di Roberto Ciccarelli il manifesto 5.3.15
di Alba Sasso il manifesto 5.3.15
Renzi su Facebook garantisce 100 mila posti Gli esclusi pronti a presentare ricorsi Irrisolti gli squilibri tra regioni: molti docenti in zone dove i posti sono già esauriti
di Gianna Fregonara Orsola Riva Corriere 5.3.15
Scuola, alle Camere 40 giorni per dire sìLo scadenzario del governo per non mettere a rischio le 160mila assunzioni promesse: “Il primo settembre tutti in cattedra” Il sottosegretario Faraone: “Giusto che il Parlamento discuta il piano. Ma se non lo approverà entro il 15 aprile, faremo il decreto”
di Corrado Zunino Repubblica 5.3.15ROMA Quaranta giorni per approvare un disegno di legge sulla Buona
scuola. Andata e ritorno, Camera e Senato (e ancora Camera, di fronte a
cambiamenti nel secondo ramo). Sono questi i tempi — da record — che il
governo e il ministero dell’Istruzione si sono dati, e danno al
Parlamento, per aprire e chiudere l’iter della riforma sulla scuola
senza ricorrere a un decreto d’urgenza. Il premier Matteo Renzi, con lui
il sottosegretario Davide Faraone, non vogliono separare i “160mila da
assumere” dai restanti 33 articoli di una riforma ampia, organica,
ambiziosa. Non vogliono l’assumificio: hanno sempre venduto un programma
di lungo periodo a cui affiancare gli insegnanti necessari e la fine
della precarietà scolastica. Tutto insieme. Così, ora, hanno messo in
cima alle ipotesi di lavoro questa: opposizione e maggioranza (e
opposizioni all’interno della maggioranza) possono discutere di scuola e
approdare a un voto sui singoli articoli entro il 15 aprile.
Tecnicamente è possibile. La sfida del disegno di legge è sì aperta a
tutti, ma chiede a tutti, a Forza Italia, al Movimento 5 Stelle, allo
stesso Pd, una rapidità fin qui mai vista. Con un calendario serrato e
senza ostruzionismo, in Parlamento — sostiene Renzi — si potrà parlare
di governance della scuola, autonomia scolastica e valutazione cambiando
magari qualche passaggio, ma chiudendo subito dopo Pasqua. Gli uffici
di gabinetto del Miur hanno calcolato che oltre quella data diventerebbe
difficile non solo portare i precari in cattedra, ma anche organizzare
un organico funzionale funzionante.
Se in aula il viaggio della “Buona scuola” dovesse dimostrarsi
periglioso, il governo ritirerebbe il “ddl” per trasformarlo in un
decreto legge, immediatamente operativo. «Se il Parlamento dovesse
dimostrare di non essere collaborativo e celere», dice il
sottosegretario Faraone, «interverremo per garantire legittimi diritti a
studenti, docenti e presidi già dal prossimo anno».
Il giorno dopo l’annuncio di rinvio a Palazzo Chigi, questo è il lavoro
in corso. È stata accantonata la possibilità di procedere subito con
l’assunzione dei primi 36mila docenti necessari per coprire il turnover
(19mila in pensione) e i posti liberi oggi coperti da precari (17mila), a
cui poi aggiungere 15mila insegnanti di sostegno. L’infornatina
d’annata — 51mila in tutto — si potrà fare a luglio: 50 mila subito non è
necessario e sarebbe deludente per una platea di supplenti a cui si è
sempre raccontato che ne sarebbero stati stabilizzati il triplo. È
sempre possibile che alcune questioni specifiche — valutazione,
formazione degli insegnanti, asilo unico da 0 a 6 anni — entrino in una
legge delega del governo.
Renzi è partito per le missioni all’estero spiegando ai suoi che, in
verità, nella bozza ministeriale del decreto “La Buona scuola” alcuni
problemi c’erano. Il più serio: aver mischiato urgenze (le assunzioni)
con elementi di didattica e carriera che potevano essere più
tranquillamente discussi. Nella serata di lunedì, ascoltati i suoi, in
pochi minuti — come spesso gli accade — ha deciso di rovesciare il
tavolo e togliere di mezzo il decreto. Il giorno dopo il premier è stato
duro con la Giannini, piccata per il cambio in corsa: un anno di lavoro
poteva produrre qualcosa di più equilibrato, l’ha rimproverata. In
conferenza stampa a Palazzo Chigi, poi, ha mostrato la sua irritazione e
rimandato ogni scelta al Consiglio dei ministri di martedì prossimo. In
Parlamento si troverà una convergenza sullo sgravio fiscale per le
paritarie: ieri si è spesa anche la senatrice Rosa Maria De Giorgi,
fiorentina, renziana di lungo corso. Susanna Camusso, segretario Cgil,
ha avuto parole dure su tutto: «Di nuovo annunci ripetuti e promesse
esercitate, ma più in là si va nel tempo e meno credibile è la
stabilizzazione dei precari». Tra i 140mila supplenti delle Graduatorie a
esaurimento si è diffusa una paura sostanziale. Sul decreto fin qui
vivente si parla di soppressione delle Gae «a decorrere da settembre
2015», ma ad oggi non vi è alcuna certezza sul destino dei precari
ospitati e, anche di fronte a una regolarizzazione di 90 mila tra loro,
per 50 mila resterebbe solo la possibilità del concorso pubblico.
Francesca Puglisi, responsabile della scuola per il Pd
“È una sfida anche al Pd, ora niente ostruzionismo” “Tutte le forze collaborino, l’istruzione non è un terreno per guerre di parte” “I precari delle graduatorie a esaurimento stiano tranquilli: non resteranno fuori”intervista di C. Z. Repubblica 5.3.15
ROMA Francesca Puglisi, lei che è responsabile della scuola per il Pd ci
dice che cosa è successo in questi tre giorni? Precari e non precari
sono frastornati.
«È successo che la più importante riforma del governo Renzi, la Buona
scuola, arriverà alle Camere attraverso un disegno di legge e non un
decreto. Questo per permettere a tutto il Parlamento di dare il proprio
contributo. La scuola non sarà più terreno per le fazioni, ma bene
comune».
Era il caso di cancellare un decreto in tre ore, dopo un anno di lavoro?
«L’intervento improvviso del presidente del Consiglio gli è stato
sollecitato da continue provocazioni, anche interne: dittatorello,
muscolare. Non è così: ora tutto è nelle mani del Parlamento».
E il problema assunzioni?
«Siamo pronti a far partire l’intero disegno di cambiamento il prossimo
anno scolastico. È dimostrato: se le Camere vogliono procedere in modo
spedito, possono farlo. Tutte le forze possono decidere di collaborare.
Senza ostruzionismo bieco si può fare tutto: assunzioni e materie, per
tempo. Allo squillare della campanella, tutti saranno in cattedra».
E se, invece, le opposizioni rallenteranno la discussione?
«Il governo dovrà prendere le contromisure. Noi teniamo a un principio: è
necessaria la continuità didattica degli studenti. Alla festa per un
anno di governo una bambina ha portato a Matteo Renzi una lettera, c’era
scritto: “Nel prossimo anno scolastico vorrei avere il mio maestro”. In
questi anni ai ragazzi abbiamo fatto un grande danno regalando anche a
loro i frutti della precarietà: li abbiamo resi precari come gli
insegnanti. Oggi salutano il maestro a giugno e non sanno se a settembre
lo rivedranno. Per qualsiasi progetto educativo la continuità didattica
è un valore assoluto ».
Lo sa che i supplenti precari iscritti alle Graduatorie a esaurimento
sono nel panico? A settembre, testo di legge alla mano, le Gae saranno
soppresse. E così anche i suoi ospiti.
«Nessuno vuole togliere alla scuola uomini e donne che hanno vissuto in
precarietà. Abbiamo lavorato, anche prima di essere governo, esattamente
per il contrario. Li porteremo dentro le loro scuole definitivamente e
lì potranno formarsi con continuità. Poi, per evitare il proliferare di
sacche di precarietà, chiuderemo le Gae e restituiremo ai concorsi
pubblici, tarati sui bisogni della scuola, la necessaria regolarità».
Confermati gli sgravi per le paritarie: «Un cambio culturale»
Piccoli asili di periferia, licei di prestigio e diplomifici: gli istituti parificati accolgono il 12% degli studentidi Federica Cavadini Corriere 4.3.15
Milano Accolgono il dodici per cento degli studenti, quasi quattro su
dieci nelle scuole dell’infanzia. Incassano rette che vanno dai tremila
ai diecimila euro all’anno. Ricevono dallo Stato l’1 per cento della
spesa per l’istruzione. E altro arriva dalle Regioni, almeno in
Lombardia, Emilia-Romagna, Toscana e Veneto dove le famiglie che mandano
i figli alle paritarie ricevono un buono scuola. Sono per due terzi «di
ispirazione cristiana». E più della metà sono al Nord.
Così si presenta oggi il pianeta paritarie, in una ricerca illustrata
lunedì a Milano che fotografa un mondo con istituti storici come quelli
dei Gesuiti o dei Salesiani, scuole di metodo come Montessori e
Steineriana ma anche i cosiddetti «diplomifici». Piccoli asili gestiti
dalle suore nelle periferie con «retta libera» e collegi prestigiosi ma
selettivi. Realtà molto distanti. E con risultati diversi sulla
preparazione degli studenti.
«Adesso per tutti c’è la crisi — sostiene Maria Grazia Colombo, già
presidente di Agesc, associazione delle scuola cattoliche — e temiamo
che alla fine non ci siano gli annunciati sgravi». «La detrazione ci
sarà», ha dichiarato intanto il ministro Stefania Giannini, parlando di
«un cambio culturale molto importante». «Quest’anno per esempio chiude
il liceo Leopardi di Lecco. E la scuola Maria Consolatrice a Milano —
spiega Colombo —. Le piccole scuole sono le prime a crollare. Le
famiglie non arrivano a pagare le rette». Secondo l’associazione
Treellle, che ha confezionato l’indagine sulle paritarie, quel 12 per
cento di studenti delle private era il 27 negli anni Cinquanta. «Si va
verso una totale statalizzazione della scuola pubblica», sostiene
Rosario Drago, ispettore e consigliere Miur, fra gli autori della
ricerca.
È netta e nota la linea di questa parte, che schiera anche l’ex ministro
Berlinguer (sua la legge con il riconoscimento delle paritarie): «A
favore del pluralismo e contro la contrapposizione, tutta italiana e
fuori dall’Europa, scuola statale contro scuola privata». Per
«pluralismo e libertà di educazione» è stato anche presentato l’appello
firmato da 44 deputati della maggioranza. «Gli sgravi sono un punto di
partenza», dice ancora Colombo.
Altrettanto noti gli argomenti del fronte opposto. Che gli studenti
negli slogan di piazza riassumono così: «Il governo taglia l’istruzione
pubblica e aiuta le private». E gli studiosi spiegano: «Aiuti o sgravi
sono un errore: il sussidio che viene dato rappresenta comunque una
mancata entrata», sostiene Daniele Checchi, cattedra di Economia alla
Statale e ricerca sui risultati di pubbliche e private («Nell’Ocse-Pisa,
sui quindicenni c’è un divario di punteggio: più basso alle private,
che hanno più studenti deboli, più bocciati»). «La parità di trattamento
— continua Checchi — è corretta soltanto quando manca il servizio
pubblico, ed è il caso delle scuole dell’infanzia dove il privato spesso
svolge una funzione suppletiva. Per le altre scuole, però, è giusto che
chi sceglie un servizio diverso paghi un costo aggiuntivo».
Dopo sei mesi il governo è ancora fermo alle linee guida
di Eugenio Bruno Il Sole 4.3.15
Sull’istruzione il governo aziona il rewind. Che lo si chiami primo giro
di tavolo, per usare il gergo di palazzo, o «inizio esame», per
riprendere le parole del premier Matteo Renzi, la realtà è che linee
guida erano il 3 settembre e linee guida rimarranno almeno fino al Cdm
di martedì prossimo. Nonostante i due mesi di consultazione pubblica già
svolti sul documento per la «Buona Scuola» e i ripetuti annunci che era
ormai arrivata l’ora di trasformarlo in uno o più provvedimenti (prima a
gennaio, poi a febbraio e infine a marzo).
Al netto delle riserve per l’ennesimo rinvio con cui si è conclusa la
giornata di ieri - che si somma ad altri slittamenti in ambiti diversi
(si pensi al fisco ad esempio) - c’è un aspetto positivo del
ragionamento seguito dal presidente del Consiglio in conferenza stampa
che merita di essere evidenziato. Stavolta in positivo. Si tratta della
volontà di mantenere l’intero disegno riformatore della scuola in un
unico provvedimento. Rinunciando alla strada del doppio binario che è
emersa più volte nelle ultime 24 ore e che prevedeva il varo immediato
di un disegno di legge con le modifiche di sistema e l’approvazione in
un secondo momento di un decreto con l’assunzione di 180mila precari.
Questo schema non sarebbe stato condivisibile. Innanzitutto perché è
stato già seguito, senza successo, per il riordino della pubblica
amministrazione. Alla conversione senza intoppi del decreto Madia è
seguita una vita difficile in Parlamento della delega Pa che lo
completava. E che, a sette mesi dalla sua emanazione in Consiglio dei
ministri, non ha ancora ottenuto il primo via libera parlamentare.
Ma ci sono anche ragioni interne alla riforma della scuola che lo
sconsigliavano. L’esigenza di cambiamento che caratterizza il nostro
sistema di istruzione può essere soddisfatta solo se la stabilizzazione
di massa e in due tempi prevista al suo interno - 105mila docenti in
cattedra a settembre e 75mila entro il 2019 dopo un concorso, ndr -
arriva contestualmente agli altri capisaldi. Il piano straordinario di
assunzioni messo in cantiere può funzionare solo se collegato, da un
lato, alla partenza di un vero organico dell’autonomia e, dall’altro,
alla creazione di un primo percorso di carriera degli insegnanti. In
caso contrario si rischierebbe di ingolfare gli organici con un plotone
di insegnanti che non avrebbero alcun ruolo. Fino alla nascita
dell’organico dell’autonomia e al potenziamento delle materie (inglese,
musica ed educazione fisica alle elementari; arte, inglese e diritto
alle superiori) i presidi potrebbero usarli solo per coprire le
supplenze brevi dopo la stretta imposta dalla legge di stabilità agli
incarichi di un solo giorno.
Passando dai “contenitori” al “contenuto” ci sono alcuni squarci di luce
che la «Buona Scuola» contiene e che i discorsi sulla scelta del
veicolo normativo più adatto non possono oscurare. Si pensi
all’introduzione di un vero anno di prova per i docenti neoassunti
oppure al superamento degli scatti di anzianità a vantaggio di un
sistema incentrato per il 70% sul merito e sulla valutazione. Così
facendo non solo i professori avrebbero davanti un’opportunità di
carriera da perseguire ma verrebbe anche sanata l’anomalia che fa della
scuola l’unico comparto del pubblico impiego a beneficiare ancora degli
scatti di anzianità.
Senza dimenticare infine tutto il discorso del collegamento tra il mondo
dell’istruzione e quello del lavoro che viene finalmente valorizzato.
Un tema quanto mai cruciale in un un Paese caratterizzato, al tempo
stesso, da un tasso di disoccupazione giovanile oltre il 40% e da una
quota di studenti in alternanza che fa fatica a superare il 10 per
cento. Portare dalle attuali 70-80 ore in un anno alle future 400 nel
triennio la formazione on the job per gli istituti tecnici e
professionali è un buon segnale che si vuole invertire la rotta. Tanto
più perché abbinato al rafforzamento dal 10 al 30% della quota premiale
per gli Istituti tecnici superiori. Due misure che, se confermate,
metterebbero l’Italia sulla stessa strada del modello duale tedesco. Con
i risultati economici e occupazionali che sono sotto gli occhi di
tutti.
Il progetto di riforma. Più spazio all’alternanza tra scuola e lavoro Aumenti di stipendio legati per il 70% al merito
di Cl. T. Il Sole 4.3.15
Gli aumenti stipendiali degli insegnanti non saranno più legati, come
accade oggi, esclusivamente alla mera anzianità di servizio: il “merito”
peserà per almeno il 70% degli incrementi retributivi (di cui un 10%
andrà a valorizzare le nuove figure di professore mentore o staff). I
presidi saranno più autonomi e potranno anche ridurre il numero di
alunni per evitare le “classi pollaio” e distribuire meglio gli
insegnanti (del nuovo organico dell’autonomia) per esigenze didattiche e
organizzative della scuola.
Si proverà a rafforzare l’inglese a partire dalla scuola primaria,
estendendo la metodologia «Clil» (insegnamento in lingua straniera di
una materia non linguistica), oggi praticato alle superiori. È previsto
un potenziamento anche di storia dell’arte, diritto ed economia nelle
scuole superiori (prime classi). Le ore di alternanza scuola-lavoro
saliranno dalle attuali 70-80 ad almeno 400 ore negli ultimi tre anni
degli istituti tecnici e professionali (per i licei l’asticella si
fermerà ad almeno 200 ore sempre a partire dalla terza classe).
Il progetto di riforma dell’Istruzione, dopo mesi di attesa e ripetuti
annunci, prenderà la forma di un disegno di legge che (forse) verrà
esaminato dal Governo la prossima settimana (la data indicata dal
premier è martedì 10 marzo).
L’intenzione del Miur è quella di provare a introdurre primissimi
elementi di valutazione nel sistema scuola (dopo i progetti sperimentali
tentati da Mariastella Gelmini e subito boicottati dai sindacati che
costrinsero Francesco Profumo a stoppare queste iniziative). Le
“pagelle” per i docenti si fonderanno su un sistema di crediti
didattici, formativi e professionali. Si valuterà ogni tre anni in base
all’autovalutazione annuale dell’insegnante, alla qualità della
didattica e al percorso professionale, anche in relazione
all’organizzazione e alla progettualità della scuola. Chi non soddisferà
requisiti minimi (ancora da definire) non avrà l’aumento legato al
merito. Se il giudizio sarà negativo per due tornate consecutive sono
previste valutazioni periodiche ad hoc (queste norme, è scritto nella
bozza di articolato, «non potranno essere derogate dalla contrattazione
collettiva»).
Si prova anche a costruire una sorta di carriera per gli insegnanti
(oggi del tutto inesistente). Potranno avere la qualifica di “mentore” e
svolgere funzioni di supporto didattico e coordinamento delle attività
di formazione. Chi diventerà docente “staff” avrà invece compiti
organizzativi e progettuali. I nuovi insegnanti “mentore” e “staff” non
potranno superare il 15% della dotazione organica.
L’autonomia scolastica servirà soprattutto a potenziare l’offerta
formativa a favore degli alunni: si potrà adattare il calendario
scolastico, rafforzare il tempo scuola e virare per una programmazione
plurisettimanale e flessibile dell’orario complessivo del curricolo e di
quello destinato alle singole discipline. È allo studio anche l’ipotesi
di istituire un «Curriculum dello studente» per orientare al meglio il
ragazzo negli studi successivi e per l’accesso al mondo del lavoro.
Positivo è certamente l’investimento (20 milioni per quest’anno, 100
milioni a decorrere dal 2016) per migliorare il link con le imprese.
L’alternanza sale a 400 ore nei tecnici e professionali, e si potranno
svolgere periodi di formazione on the job anche presso enti pubblici e
in convenzione con gli studi professionali (una misura utile per esempio
per i futuri geometri). I percorsi di alternanza, finalmente, avranno
sbocco (e rilevanza) nell’esame di Stato: per i tecnici e professionali
la terza prova scritta potrà avere ad oggetto la soluzione di problemi o
casi pratici e professionali o lo sviluppo di progetti.
Le scuole potranno introdurre insegnamenti opzionali, a scelta dello
studente. L’apprendistato per i ragazzi di quarta e quinta superiore
(anche minorenni) sarà portato a regime, superando la sperimentazione
attualmente prevista fino al 2016 introdotta nel 2013 da Maria Chiara
Carrozza (finora l’Enel ha assunto circa 150 studenti-apprendisti di
istituti tecnici sparsi in tutt’Italia).
Dopo i rilievi dell’Ocse e i miglioramenti grazie all’utilizzo dei fondi
Ue, il Miur prova ad accelerare sul fronte digitale con il
potenziamento delle infrastrutture di rete e delle competenze (a partire
da logica e pensiero computazionale). La didattica laboratoriale sarà
implementata attraverso i laboratori territoriali (e comunque
maggiormente legati alle imprese). Nel provvedimento dovrebbe esserci
anche un primo pacchetto di semplificazione degli Its, le super scuole
di tecnologia post diploma di durata biennale: ma non si interverrebbe
sui due nodi più urgenti, governance e bilancio. Si ipotizza pure la
fusione Invalsi e Indire: sarebbe un passo indietro perché non si
possono sommare valutazione (che fa l’Invalsi) e formazione e ricerca
(che fa l’Indire). Il rischio è che si finirebbe per fare male entrambe
le funzioni.
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