giovedì 2 aprile 2015

Le fiabe di Luigi Capuana

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Luigi Capuana: Stretta foglia, larga la via. Tutte le fiabe, a cura di Rosaria Sardo, illustrazioni di Lucia Scuderi, Donzelli pp. 656, € 34

Risvolto
«La Reginotta si mise a cavalcioni del pesciolino e gli si afferrò alle branchie; e il pesciolino, nuota, nuota, la portò in fondo al pozzo. Ma ecco un pesce grossissimo, con tanto di bocca spalancata, che voleva ingoiarli: «Pagate il pedaggio, o di qui non si passa». La Reginotta si strappò un’orecchia e gliela buttò.
Le fiabe di Luigi Capuana nascono dall’incontro tra il mondo fantastico e l’arte della scrittura. Le leggende, i racconti orali, le filastrocche che appartengono alla tradizione popolare rivivono grazie alla penna sapiente di uno dei maestri della letteratura italiana. In queste pagine va in scena un microcosmo originalissimo e insieme familiare, popolato di Reginotte ardimentose e Reucci avventurosi, di Re stralunati, Maghi vendicativi e Fate dispettose, e poi Mammedraghe, Lupi Mannari, Draghi, Orchi; ma anche ciabattini, falegnami, contadini, sarti e barbieri, e poi mugnai, pescatori, fornaie. La scrittura di Capuana, forgiata all’officina verista, tiene le redini di un materiale straordinario e apparentemente indomabile con grande abilità, facendo muovere e danzare i suoi personaggi al ritmo di una vivace partitura musicale; soccorso in questo da una vena ironica che scorre lungo tutte le fiabe. Capuana modella le sue storie rivolgendosi a un interlocutore privilegiato: il bambino. È in funzione dei piccoli lettori che plasma quel linguaggio «così semplice, così efficace, così drammatico», come confessa egli stesso. Ed è a loro che chiede collaborazione: non semplice spettatore, il bambino, ma persona chiamata a interagire, a partecipare delle debolezze di personaggi che non sono mai tutti d’un pezzo, ma svelano la loro fragilità e insieme la loro freschezza: i Re e le Regine con Capuana hanno cominciato a spogliarsi delle vesti sfarzose e ingombranti per intraprendere con slancio la strada che li farà balzare dentro le storie di Rodari; e i bambini con loro, invitati a pieno titolo a muoversi nell’immaginario fiabesco. Non è un caso che questa raccolta completa delle fiabe di Capuana sia accompagnata dalle splendide illustrazioni di Lucia Scuderi: lo stesso scrittore desiderava che i suoi testi avessero sempre un apparato di immagini curato dai migliori artisti dell’epoca, sapendo bene quanto importante fosse lo strumento visivo per dare ai bambini la possibilità di ricreare un mondo di fantasia, e in quel mondo mettere piede sul serio, per viverne le avventure e respirarne la magia.


Capuana, fiabe multimediali tra il fantasy e Rodari 
Positivista convinto, maestro del realismo, le scrisse con grande successo e felicità inventiva attingendo all’inconscio anziché alla tradizione siciliana Oggi dimenticate, sono riunite in volume a cent’anni dalla morte 

Ernesto Ferrero La Stampa 3 3 2015

Fiabe e miti sono un po’ l’autobiografia indiretta del genere umano, trasposta in affabulazione, elaborata collettivamente nella notte dei tempi e aperta a ogni apporto successivo, come accade nei regni beati dell’oralità, per la gioia e la dannazione di filologi, folcloristi e antropologi che devono inseguire e catalogare centinaia di varianti. Ma perché scrivere fiabe senza sentirsi obbligati a collegarsi alla tradizione etnologica? 
È il caso singolare di Luigi Capuana, di cui ricorre quest’anno il centenario della scomparsa (29 novembre). Nato nel 1839 a Mineo, nella cuspide meridionale della Sicilia, autore di romanzi, racconti e libri per la scuola, ispettore scolastico, critico teatrale a Firenze e letterario a Milano, direttore di periodici, docente universitario di lessicografia, maestro conclamato del realismo, positivista convinto, nel 1882 (attenzione, un anno dopo l’uscita delle prime puntate di Pinocchio) ha la sua brava folgorazione. Tenta la fiaba per risolvere un qualche assillo economico, e presto prende a produrne con una tale felicità inventiva da convincersi d’aver scoperto la sua vera vocazione. A partire dalla fortunata raccolta C’era una volta ne sfornerà in gran copia e con gran successo per un trentennio, per poi finire stranamente un po’ in ombra.
I depositi dell’irrazionale
Era accaduto che lo scientista aveva scoperto nelle regioni ipogee dell’inconscio, non ancora codificato come tale, i ghiotti depositi dell’irrazionale, ricchi di ombre, fantasmi, sogni repressi, pulsioni, fobie: materiali ottimi per alimentare tutto un «gotico nostrano e dialettale, dove il capriccio goyesco si lega alla demonologia popolare dei libri di devozione, mentre toni di allucinato realismo paesano si accostano ai voli di una fantasia nordica e misteriosa», come scriverà benissimo Antonio Faeti nel suo classico Guardare le figure. 
A differenza del conterraneo Pitrè, infaticabile collezionista dei materiali etnologici della sua terra, Capuana si fa un puntiglio di inventare del suo, senza abbassarsi a rielaborare i materiali delle tradizioni orali. Diventa un narratore popolare, produce fiabe moderne che è quasi impossibile distinguere dalle antiche. Quando l’amico Verga, che lo ha seguito e incoraggiato passo passo, gli scrive di apprezzare non solo il suo magistero stilistico ma anche l’aver valorizzato al meglio le forme «primitive e vergini dell’immaginazione popolare», lui risponde divertito che no, non c’è una sola virgola che venga dalla «favola genuina delle nostre donne»: fatti personaggi luoghi sono tutti farina del suo sacco, «un mondo mio, sbocciatomi nella immaginazione non so come, sotto un’esaltazione nervosa che aveva dell’allucinazione». Al che Verga gli replica saggiamente che sarà pur così, ma lo stesso Capuana non saprà mai quanta parte del patrimonio siciliano abbia introiettato senza esserne consapevole.
Una «brevitas» televisiva
Quel che è sicuro che Capuana di suo ci mette dialoghi rapidissimi, verrebbe da dire di una brevitas televisiva, animati dai piaceri (e dai compiacimenti) della battuta toscaneggiante, sempre un po’ beffarda e sentenziosa (sembra quasi gareggiare con i sapidi dialoghi collodiani). Principini capricciosi, Re e Regine più bonaccioni e tentennanti che autoritari, ministri furbastri, fate dispettose, popolani di vari mestieri, oggetti fatati, metamorfosi, lieto fine con morale incorporata: il repertorio favolistico c’è tutto, ma trasfigurato in movimento poetico, slancio teatrale, allegria di suoni, musicalità, ritmo, e sempre con l’orecchio attento a quel che poteva e doveva arrivare a un bambino. 
Quello cui mira Capuana, sensibile alle richieste del nuovo mercato nazionale che si è aperto a vent’anni dall’Unità, è la freschezza di un’oralità che sappia farsi scrittura funzionale, saldando gli obblighi (e magari le eleganze) della koiné fiorentineggiante con la vivacità delle culture locali. In un panorama linguisticamente frammentato e composito come quello italiano, è impresa impervia, in cui lo soccorre una grande professionalità. Quel che gli preme è realizzare un prodotto a perfetta misura di bambino, della sua totale disponibilità alle magie del racconto. 
Niente prediche
Accade poi che il naturalismo degli inizi si evolva verso una fantasia combinatoria, ironica e bizzarra, sempre più aperta a musica e teatro, quasi multimediale, tra il fantasy e i giochi formativi di Gianni Rodari, che il suo Capuana deve esserselo letto con attenzione. Niente prediche moraleggianti, niente pedagogia diretta, esplicita e normativa alla De Amicis, ma un laboratorio creativo di associazioni linguistiche e mentali, in cui il bambino è chiamato a collaborare attivamente, a sviluppare una sua «grammatica della fantasia».
È qui che il centenario di Capuana assume il senso di un riconoscimento magari un po’ tardivo ma dovuto. Gli rende onore l’edizione di tutte le fiabe, comprese le postume, che sotto il titolo di Stretta foglia, larga la via Rosaria Sardo dell’Università di Catania ha curato impeccabilmente per l’editore Donzelli. Le vivaci illustrazioni di Lucia Scuderi, Premio Andersen 2013, fungono da complemento necessario (pp. 656, € 34). È un’altra impresa meritoria, dopo il monumentale Pitré tradotto in italiano con testo originale a fronte di due anni fa, e si distingue anche per innovatività. Sui testi la curatrice ha condotto con mano leggera ma ferma un editing che li ha disincrostati di piccoli arcaismi, preziosismi e toscanismi ormai obsoleti. Un accorto restauro lessicale che restituisce le fiabe alle esigenze di un lettore d’oggi. 

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