martedì 28 aprile 2015

Pippa Civati scrive libri

Anche in questo caso il contenuto non conta [SGA].



Il sistematico cambio della casacca 

Saggi. «Il trasformista» di Giuseppe Civati. Una figura ormai centrale nel sistema politico in nome delle riforme. Un pamphlet che unisce passione civile a ironia e sarcasmo

Vincenzo Vita, 28.4.2015 

Dav­vero felice il breve ma pro­fondo Il tra­sfor­mi­sta, tra le ultime fati­che edi­to­riali di Giu­seppe (Pippo) Civati (Indiana Edi­tore, pp. 108, euro 12,50). Denso nei con­te­nuti e ricco nella scrit­tura, il volume del diri­gente del Par­tito demo­cra­tico più cri­tico e lon­tano dal main­stream pre­va­lente ci offre spunti note­voli, qual­che volta deli­ziosi, per e nel dibat­tito pubblico. 
Scrive nell’introduzione Ste­fano Bar­tez­za­ghi che «Civati si pro­pone qui ancor prima che come uomo poli­tico come let­tore del Poli­tico». Vero. Del resto, oggi più che mai – in assenza di vere ideo­lo­gie e di sistemi com­plessi di rife­ri­mento — la ri-costruzione della Poli­tica richiede una vera e pro­pria rico­gni­zione dei muta­menti antro­po­lo­gici; chi intende vivere un’esperienza non effi­mera nella sfera pub­blica non può che essere un «esplo­ra­tore». Come ha spie­gato in diversi scritti Marc Augé, non per caso antro­po­logo e cul­tore dei movi­menti della società. 
Il tra­sfor­mi­sta per anto­no­ma­sia è stato Leo­poldo Fre­goli, capace in scena di cam­biare abito e trucco con­ti­nua­mente, vero Zelig e anti­ci­pa­tore di modelli inter­pre­ta­tivi appli­cati ad opere (vedi nel tea­tro) più impe­gnate: quasi a dire che – sul palco — vero, vero­si­mile e falso si intrec­ciano e non sono facil­mente iden­ti­fi­ca­bili. Ma nella rap­pre­sen­ta­zione, non nella rap­pre­sen­tanza, dove rigore ed affi­da­bi­lità dovreb­bero invece stare al posto di comando. 
La poli­tica spet­ta­colo di Guy Debord (1967) è diven­tata costru­zione dello spet­ta­colo poli­tico: ten­denza – quest’ultima — descritta con parole anti­ci­pa­trici da Mur­ray Edel­man (1988), che accende i riflet­tori della cri­tica (parla degli Stati Uniti, ma il vento è glo­bale) rispetto al con­for­mi­smo vestito di «inno­va­zione» delle lea­der­ship nell’era media­tica, lad­dove le dif­fe­renze tra i can­di­dati sono minime e altri – non i con­te­nuti e i pro­grammi — diven­gono i rife­ri­menti e le scelte. Nell’artificio. Con tanto di ine­so­ra­bile corsa al «cen­tro» e alla facile omo­lo­ga­zione cul­tu­rale. In fondo, i tra­sfor­mi­sti sono ladri di senso, sostiene Civati, citando Gio­suè Car­ducci a sua volta evo­ca­tore di Dante, che mette giu­sta­mente la vasta cate­go­ria nell’Inferno. Ah, se ci fosse davvero. 
La pra­tica delle gira­volte ha un recente auto­re­vole rife­ri­mento in Ago­stino Depre­tis, nel suo sem­pre attuale discorso di Stra­della di fine Otto­cento, dove vol­ta­fac­cia e cinici zig zag ven­gono accet­tati e pro­mossi per­ché «I par­titi poli­tici non si deb­bono fos­si­liz­zare né cri­stal­liz­zare». Un alibi insi­dioso, che oggi è dive­nuto una ripe­ti­tiva chiac­chiera reto­rica. Sot­til­mente auto­ri­ta­ria, come affer­me­rebbe Gil­les Deleuze. Per­sino il «Par­tito della nazione», libera (ed errata) inter­pre­ta­zione di uno scritto di Alfredo Rei­chlin, è solo un con­te­ni­tore di potere senza ideali e porto meta­fo­rico per l’attracco di tutti gli oppor­tu­ni­smi. Altro che Razzi e Sci­li­poti, la cui azione – alla luce dei circa due­cento cambi di casacca nella legi­sla­tura in corso — appare timida e assai meno «pro­fes­sio­nale».
Natu­ral­mente, a fare le spese dell’attuale dege­ne­ra­zione è la sini­stra cui, per soprav­vi­vere, viene richie­sto di assu­mere le sem­bianze della destra: sul lavoro, sulle que­stioni isti­tu­zio­nali, sulla tutela dell’ambiente, e tanto d’altro. Echeg­giano — nelle pagine di Civati — esempi di tri­ste vita vis­suta in una mino­ranza: non solo nume­rica. Dal «Jobs Act», all’«Italicum», alla modi­fica del bica­me­ra­li­smo, al ter­ri­bile (grandi opere) «Sblocca Ita­lia». E il par­tito demo­cra­tico è oggi una sorta di «Grand Old Party», oltre Tony Blair. La stessa seman­tica del lin­guag­gio è stata rove­sciata. Un caso per tutti: «riforma» signi­fica effet­ti­va­mente il con­tra­rio, con La mano­mis­sione delle parole trat­teg­giata da Gian­rico Caro­fi­glio (2011). E tutto ciò, nota Nadia Urbi­nati (2014) porta all’astensionismo silen­zioso e ran­co­roso. E, con ampio ed effi­cace rife­ri­mento alle Meta­mor­fosi di Ovi­dio, il tra­sfor­mi­smo è trat­teg­giato nel dive­nire la cifra pre­va­lente del discorso pubblico. 
Il «pes­si­mi­smo leo­pol­diano» dell’autore si rife­ri­sce all’amara para­bola dei pro­po­siti enun­ciati sul nascere degli appun­ta­menti della vec­chia sta­zione fio­ren­tina, via via dege­ne­rati in un «mani­fe­sto» mode­rato, con l’occhio rivolto alla destra ber­lu­sco­niana. Nep­pure la Demo­cra­zia cri­stiana era così, essendo un aggre­gato cen­tri­sta, ma con lo sguardo a sini­stra, come asse­ri­vano i diri­genti sto­rici. Un caso di scuola del per­corso del presidente-segretario Renzi (il pro­ta­go­ni­sta impli­cito e il sot­to­te­sto costante) è l’intervento a «Che tempo che fa» di solo pochi mesi fa. Quando il pre­mier difen­deva l’articolo 18 dello Sta­tuto dei lavo­ra­tori, poi abiu­rato e tra­volto dalla svolta mode­rata e con­ser­va­trice. Ovvia­mente, senza alcun cenno auto­cri­tico. La nor­ma­lità del tra­sfor­mi­smo. Sem­pre chia­mato «inno­va­zione». Anto­nio Gram­sci odiava, giu­sta­mente, gli «indif­fe­renti». E, nel nostro pic­colo, ora odiamo i «tra­sfor­mi­sti». O la Poli­tica si coniuga all’etica, o muore dav­vero – rele­gata a incon­si­stente simu­la­cro. Ecco, il libro di Civati fa pen­sare, mette in ordine le idee, usa con ele­ganza l’ironia e il sar­ca­smo. Per trat­tare di cose ter­ri­bili. Orrende.

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