mercoledì 22 aprile 2015

Sulla cosiddetta "italian theory"

Differenze italiane
Di cui il risvolto, di fatto, sembra negare l'esistenza [SGA].

Dario Gentili e Elettra Stimilli (a cura di): Differenze italiane. Politica e filosofia: mappe e sconfinamenti, DeriveApprodi 

Risvolto

I saggi raccolti in questo volume rappresentano una prima panoramica sul dibattito internazionale emerso dalla proposta di pensare una Italian Theory come orizzonte entro cui riflettere su autori e categorie che caratterizzano il pensiero filosofico e politico italiano. Non c’è, qui, la pretesa di rinchiudere il pensiero italiano all’interno dei confini pacificati e condivisi di una «teoria», si tratta piuttosto di verificarne la sua implicita istanza politica. Come infatti dimostrano i contributi di questo volume, la cosiddetta Italian Theory è tutt’altro che una teoria in grado di neutralizzare le discordanze e gli antagonismi; è invece un campo di tensione dove sono proprio le differenze e i conflitti a mapparne e delinearne il territorio.

Con in contributi di: Emanuele Alloa, Marco Assennato, Pier Vittorio Aureli, Riccardo Baldissone, Óscar Barroso, Greg Bird, Petar Bojanic, Vittoria Borsò, Mateusz Burzyk, Sandro Chignola, Roberto Ciccarelli, Roberto Esposito, Alfonso Galindo Hervás, Dario Gentili, Vanessa Lemm, Antonio Lucci, Federico Luisetti, Davide Luglio, Thomas Macho, Sandro Mezzadra, Antonio Negri, Matteo Pasquinelli, Mikolaj Ratajczak, Judith Revel, Andrea Righi





L’etichetta fantasma di una teoria possibile 
Saggi. «Differenze italiane», un volume collettivo per DeriveApprodi 

Michele Spanò, il Manifesto 22.4.2015 

Non c’è ormai più da dubi­tare del fatto che il sin­tagma Ita­lian Theory desi­gni in prima istanza un pro­blema, un con­flitto delle inter­pre­ta­zioni e solo deri­va­ta­mente un cor­pus di opere, un feno­meno intel­let­tuale, una linea di pen­siero. Lo si è detto fino alla nau­sea: tra que­sta e la French Theory, anche solo mor­fo­lo­gi­ca­mente, i legami sono men che tenui: costru­zione estra­nea al mit­tente la prima, fab­bri­ca­zione autoc­tona e indi­gena la seconda. Ma appunto: come si fa a testi­mo­niare di un con­flitto, di un disac­cordo; come si fa a met­tere in forma un’ipotesi di bla­sone filo­so­fico, di rico­stru­zione di una serie la cui pre­messa fini­rebbe per fal­si­fi­carla, disfa­cen­dola o esi­ben­dola nella sua impos­si­bi­lità di tota­liz­za­zione e dun­que nella sua essen­ziale irreconciliabilità? 

Tra vita e politica 
È con un’impresa del genere che si sono recen­te­mente – e feli­ce­mente – cimen­tati Elet­tra Sti­milli e Dario Gen­tili, rac­co­gliendo in volume gli atti di un con­ve­gno pari­gino dedi­cato al pen­siero ita­liano, «rim­pol­pati» di altri e più ete­ro­cliti mate­riali (Dif­fe­renze ita­liane. Poli­tica e filo­so­fia: mappe e scon­fi­na­menti, Deri­veAp­prodi, pp. 336, euro 20). Si tratta di un libro impor­tante pro­prio per­ché non affetta nes­suna auto-indulgenza e espone l’impurità dei suoi mate­riali secondo l’obiettivo pre­ciso di indi­care – lì dove più forte è il dis­si­dio – i mezzi, intel­let­tuali e pra­tici, che potreb­bero per­fino – se e solo se con­ve­nien­te­mente «mon­tati» – diven­tare una poli­tica. Secondo il ben col­lau­dato schema della forma-sonata, il volume si apre con l’«esposizione» – un mani­fe­sto pro­gram­ma­tico – in cui Roberto Espo­sito dise­gna le ipo­tesi che giu­sti­fi­che­reb­bero l’assunzione di uno sguardo lungo, genea­lo­gico, si sarebbe ten­tati di dire «epo­cale», sulle vicende del pen­siero ita­liano, che, da Machia­velli, da Vico, e fino all’operaismo e al lavoro filo­so­fico di pen­sa­trici e pen­sa­tori oggi ancora in eser­ci­zio, lo avreb­bero pun­teg­giato, come punti di ricor­renza, varia­zioni e «insi­stenze». Al cen­tro della vicenda, sug­ge­ri­sce Espo­sito, ciò che cam­peg­gia è l’endiadi tra vita e poli­tica svolta sotto il segno del con­flitto (insieme pen­sato e agito). 
Segue lo «svi­luppo»: assai più agi­tato e «con­trap­pun­ti­stico». Invero, il libro alli­nea una serie di con­tri­buti che fon­da­men­tal­mente ne met­tono in crisi la pre­messa. Il sag­gio di Toni Negri è in que­sto senso esem­plare. Se quella di Espo­sito è let­tura spe­cu­la­tiva e perio­diz­zante, quella di Negri è oltran­zi­sti­ca­mente con­giun­tu­rale e dun­que politico-polemica in senso pro­prio. Sono que­sti i due poli che indi­cano il campo di ten­sioni in cui la teo­ria ita­liana insieme si installa e si disfa, si isti­tui­sce come stemma, impresa, emblema, sol­tanto per potersi meglio abro­gare. La sua aral­dica è dun­que sotto il segno di un per­pe­tuo dis­sol­vi­mento. La con­ti­nuità tema­tica e sti­li­stica si frange sugli sco­gli di una perio­diz­za­zione anti-filologica e genui­na­mente poli­tica. A que­sto assi­ste il sag­gio di Judith Revel, dedi­cato alla vicenda – anno di gra­zia 1966 – che decide degli svi­luppi dell’operaismo ita­liano e dun­que della legit­ti­mità poli­tica di fare di que­sto e del suo «post» (che, sia detto paren­te­ti­ca­mente, è una di quelle clas­si­che – ma non meno stra­bi­lianti – fini che non smet­tono di finire) un aggre­gato uni­fi­ca­bile e insieme «archi­via­bile» secondo gli stessi pro­to­colli e mediante le mede­sime pro­ce­dure. Lo scru­polo della serie, l’acribia della lec­tio dif­fi­ci­lior è pra­ti­cata secondo un obiet­tivo fun­zio­nale: la discon­ti­nuità è qui un nome della poli­tica e la con­fu­sione dell’epoca che cerca di esor­ciz­zare a forza di sto­rie di lotte e corpi è ciò che resti­tui­sce dav­vero il pen­siero alla con­giun­tura e cioè al pos­si­bile e all’uso inanticipabile. 
E non è un tasto diverso da que­sto quello che bat­tono anche i con­tri­buti di San­dro Chi­gnola e San­dro Mez­za­dra: non la paura del museo, ma la sto­ri­ciz­za­zione inte­grale di un arse­nale di pro­blemi, la sin­go­la­riz­za­zione delle espe­rienze col­let­tive, la plu­ra­liz­za­zione – spa­ziale, geo-politica, lin­gui­stica – dei vet­tori delle lotte e dei pen­sieri; la pro­vin­cia­liz­za­zione di una vicenda intel­let­tuale e del suo milieu. Ancora una volta, que­sti saggi espon­gono null’altro che il chia­sma tra pen­siero e pra­tica del con­flitto ita­liano e quella costel­la­zione che ha nome «ope­rai­smo». Se l’Ita­lian Theory non sarà il sistema solare capace di met­tere in orbita e in sesto que­sti troppo eccen­trici pia­neti, essa sarà almeno il nome che ne dichia­rerà l’amicizia stel­lare (che, natu­ral­mente, è sotto il segno della più squi­sita diver­genza). E non è poco. 
Pro­prio e sol­tanto que­sta pra­tica filo­lo­gica spu­ria, e dun­que inte­gral­mente poli­tica, giu­sti­fica la messa in serie dei con­tri­buti tanto vari che, del libro, costi­tui­scono la «ripresa». Da Roberto Cic­ca­relli che torna sull’immanenza come piano di con­si­stenza del pen­siero (tout court, più che ita­liano – si potrebbe chio­sare), a Marco Assen­nato, che fa i conti, di nuovo, con ope­rai­smo e pen­siero nega­tivo. È pro­prio da con­tri­buti come que­sti che emerge nuo­va­mente il dis­si­dio che pre­siede alla «pro­po­si­zione» dell’Ita­lian Theory: tec­nica, poli­tica, usi, lotte, corpi, opere, tat­ti­che, sog­getti, orga­niz­za­zione, comu­nità, coo­pe­ra­zione, intel­li­genza, differenza. 

Un nuovo inizio 
In que­sto varie­gato menù, come una piega o un revers, si annida anche tutto il rimosso e tutto il fan­ta­sma di que­sta teo­ria impos­si­bile: tutte quante le innu­me­re­voli decli­na­zioni «con­tra­rie» – dia­let­ti­ca­mente rove­sciate, bea­ta­mente con­tem­plate, atti­va­mente fug­gite, astu­ta­mente disin­ne­scate – che della serie pos­sono darsi non sono sol­tanto altre imma­gini della teo­ria; sono soprat­tutto altre pra­ti­che del mondo. Ita­lian Theory è l’etichetta che sta in testa a un «regi­stro di pos­si­bili»: le pra­ti­che e i pen­sieri che deci­de­ranno a quali fare spa­zio e a quali dare futuro saranno di que­sta il più mon­dano – per­ché impre­ve­di­bile – dei comin­cia­menti.
Se Dif­fe­renze ita­liane è per­ciò que­sta mappa del per­pe­tuo scon­fi­nare, Ita­lian Theory è il nome di un con­flitto. È un gua­da­gno grande: per­ché se di con­flitto e di dif­fe­renza c’è biso­gno, altret­tanto ce n’è di parole (anche ita­liane) per dire e l’uno e l’altra.

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