Nature, preview
Rozzo, ma efficace Il primo esempio di tecnologia
E africano e risale a 3,3 milioni di anni fa
di Gabriele Beccaria La Stampa TuttoScienze 27.5.15
Il 9 luglio 2011 i paleoantropologi Sonia Harmand e Jason Lewis
sbagliarono a leggere le mappe e, quando fermarono il 4X4, si resero
conto di non essere affatto nel punto previsto. Cercavano ossa fossili
e, invece, cominciarono a distinguere strani pezzi di roccia. Non lo
sapevano ancora, ma di lì a un’ora avrebbero raccolto quelli che si sono
rivelati i manufatti più antichi di sempre. I progenitori di ciò che
chiamiamo «tecnologia».
Ora con un articolo su «Nature» e una conferenza a San Francisco
l’annuncio è ufficiale: gli oggetti venuti alla luce nel Nord del Kenya,
nella desolata zona chiamata Lomekwi 3, risalgono a 3.3 milioni di anni
fa. Un tempo remotissimo, anteriore perfino a quello che assistette al
sorgere del genere Homo, 700 mila anni prima dei raschiatoi ritrovati in
Etiopia e che finora - come venerate icone - detenevano il record.
La scoperta, frutto di un errore geografico e di una buona dose di
fortuna, sta elettrizzando il mondo di chi indaga le origini della
nostra specie e delle altre di ominidi che ci hanno preceduto. «Questi
oggetti gettano luce su un periodo ancora sconosciuto del comportamento
dei nostri progenitori e potranno rivelarci molti indizi sul loro
sviluppo cognitivo, elementi impossibili da desumere sulla base dei soli
reperti fossili - ha spiegato Sonia Harmand -. Abbiamo così smentito
l’idea consolidata che sia stato l’Homo abilis il primo a fabbricare
utensili». Una concezione (e un preconcetto) di lunga durata, che ha
preso forma negli Anni 30 del secolo scorso, quando Louis e Mary Leakey,
esplorando la Tanzania, individuarono una serie di clamorosi reperti,
poi identificati con ciò che chiamarono «Oldowan culture». Li
associarono quindi a una nuova specie, l’abilis, appunto, e ne
attribuirono il successo evolutivo alla capacità di scheggiare pietre
per ricavarne asce e punte.
Una svolta, però, era arrivata all’inizio di quest’anno, quando una
ricerca della Kent University ha stabilito che le mani
dell’Australopithecus, circa 3 milioni di anni fa, possedevano una
struttura anatomica (con le «trabecole») in grado di esercitare una
presa simile a quella degli umani e quindi di rompere, modellare e
rifinire. Ora, come una conferma indiretta, sono arrivati sulla scena
gli stupefacenti strumenti «made in Kenya», che vantano caratteristiche
proprie. Primitive sì, ma rivelatrici di una precisa intenzionalità. Di
forma rozzamente triangolare, venivano probabilmente realizzati
assestando colpi secchi, contro superfici piane.
Le analisi proseguono, anche se al momento non c’è traccia dei
primordiali autori: ci vorrà un altro colpo di fortuna per scovarli?
Non solo Lucy Un altro antenato per l’uomo
Corriere 28.5.15
Lucy non è più sola. La nostra antenata vissuta tra 2,9 e 3,8 milioni di
anni fa dalla quale l’albero dell’evoluzione avrebbe portato all’Homo
sapiens, cioè a noi, aveva un vicino. Più a nord, a 35 chilometri, nella
stessa regione di Afar, in Etiopia, cresceva un’altra specie ora
battezzata Australopithecus deyiremeda (che significa parente
prossimo).Le indagini hanno stabilito la sua presenza tra 3,3 e 3,5
milioni di anni, dunque in parallelo con la celebre piccola Lucy
(Australopithecus afarensis) che aveva ispirato persino i Beatles. Ciò
che ha trovato la missione americana guidata da Yohannes Haile-Selassie
del Museo di storia naturale di Cleveland è una parte di mandibola con
dei denti differenti da quelli di Lucy. Sono più piccoli e quindi la sua
dieta era diversa. Come la sua compagna saliva sugli alberi per
sfuggire ai predatori e passare la notte, ma forse non mangiava le
stesse cose (vegetali, insetti e lucertole). «La nuova specie — scrive
oggi su Nature il suo scopritore Haile-Sellasie — è una conferma che la
specie di Lucy non è la sola potenziale antenata dell’uomo». Negli
ultimi anni altri due ritrovamenti avevano fatto immaginare che le cose
stessero diversamente. Ma le indagini non confermarono definitivamente
l’idea. In questo caso le analisi sembrano non lasciare dubbi giungendo
quindi al battesimo della nuova specie. «L’evoluzione ha rivelato sempre
una pluralità di soggetti — nota Giorgio Manzi, paleoantropologo della
Sapienza di Roma — e la scoperta è un ulteriore tassello ma è ancora
acerba per essere del tutto accettata dalla comunità scientifica».
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