Il più ricco 1% detiene il 14,3% degli asset. A essere penalizzati sono soprattutto i lavoratori atipici, anche perché è sempre più difficile passare da un impiego precario a stabile
“In Italia il 10% ricco ha 11 volte il reddito del 10% più povero”
L’Ocse: la crisi ha colpito di più gli strati sociali più bassidi Stefano Lepri La Stampa 22.5.15
Più che l’ineguaglianza in sé, in Italia la lunga crisi ha fatto aumentare la povertà. Questo ci dice l’Ocse (l’organizzazione parigina che studia le economie dei Paesi avanzati): ne vede le cause soprattutto nel lavoro dei giovani pagato poco e in un sistema tributario incapace di andare incontro a chi guadagna poco. «Meno disuguaglianze fanno bene a tutti» è il titolo del rapporto uscito ieri; in questo ordine di idee ragionano sia il Fondo monetario sia la Banca mondiale sia l’Ocse, ormai distanti dalle mode di vent’anni fa secondo cui per diventare più efficienti occorreva invece rinunciare all’equità. Troppe persone che restano indietro, si sostiene ora, fanno all’economia un danno permanente.
La crisi ha aggravato tendenze già forti prima: «nella maggior parte dei Paesi, il divario tra ricchi e poveri è al livello più alto degli ultimi 30 anni». Non si tratta solo, dice l’Ocse, dell’arricchimento dell’1% che sta in cima, contro il quale si volgono i movimenti di protesta: occorre piuttosto capire perché stanno fermi o vanno indietro gli strati bassi, un ampio 40%.
Tra Paese e Paese ci sono poi grandi differenze. Al contrario degli Stati Uniti, in Italia il fondamentale indice di disuguaglianza (elaborato cent’anni fa da un connazionale, Corrado Gini) non è peggiorato molto negli ultimi tempi, dopo il balzo che aveva fatto negli anni ’90. Il divario è però superiore agli altri Paesi europei, in parte a causa di difetti del fisco e del welfare.
Peggiora parecchio da noi, invece, un indice di povertà che l’Ocse ha elaborato per l’occasione: povertà non relativa al resto della popolazione ma ancorata al limite di povertà esistente prima della crisi. Nella classifica negativa siamo al quinto posto fra i 34 Paesi membri dell’Ocse. Certo, c’è chi sta peggio: la Grecia nel 2007 aveva un indice simile al nostro, ora ce l’ha doppio.
Nel 2013, il 10% più ricco degli italiani aveva un reddito 11 volte maggiore rispetto al 10% più povero. La crisi ha colpito più gli strati più bassi della popolazione: -1% di perdita di reddito per il 10% più ricco, -4% per il 10% più povero. Interessante notare che nella Spagna di oggi da alcuni indicataci come modello le cose sono andate assai peggio, -13% per i più poveri.
E però non è la povertà che molti si immaginano. I sistemi previdenziali si sono dimostrati efficienti: nella gran parte dei Paesi, e anche da noi, gli anziani sono stati relativamente protetti dalla crisi (al contrario di quanto sembrano ritenere i giudici della Corte Costituzionale). Gran parte dei danni si sono invece scaricati sui giovani.
In Italia, i più deboli sono oggi rappresentati spesso da giovani famiglie, anche con bambini, dove un lavoro precario è la fonte di reddito principale. Qui altri pezzi del nostro Stato si dimostrano inefficienti: fisco e strumenti di assistenza pubblica «non riescono ad alleviare la condizione dei lavoratori poveri» mentre nella media degli altri Paesi ci riescono per «circa un terzo» tra essi.
L’Ocse ci manda una lista di consigli che puntano sul lavoro, non su soluzioni di assistenza generalizzata come il «reddito di cittadinanza» caro al Movimento 5 stelle. Ovvero: tassare meno o soccorrere i redditi da lavoro bassi, spostare il peso del fisco dal lavoro verso i consumi e i patrimoni, aiutare il lavoro delle donne sia con orari flessibili sia con asili nido e assistenza agli anziani.
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