mercoledì 27 maggio 2015

Syriza ha respinto la richiesta dell'ala sinistra del partito di non rimborsare i prestiti all'Fmi con 95 voti contro 75

Risultati immagini per assemblea syrizaPiketty: «Scongiurare la bancarotta servirà a non far morire l’euro»

L’economista anti austerity: i grandi Paesi Ue non titolati a dare lezioni

intervista di Stefano Montefiori Corriere 27.5.15

PARIGI Da tempo Thomas Piketty mette in guardia sull’insostenibilità della situazione per la società greca e per l’Europa. Economista di sinistra molto critico nei confronti della politica economica del presidente socialista François Hollande, l’autore del best seller planetario «Il capitale nel XXI secolo» (edito in Italia da Bompiani) dice di trovare «incredibile che oggi si spieghi alla Spagna e alla Grecia che l’unica soluzione è pagare tutto il debito fino all’ultimo euro, quando sappiamo bene che non funzionerà». E per arginare la spiacevole sensazione che un condono del debito sarebbe un regalo troppo generoso verso la Grecia degli sperperi e dell’evasione fiscale, Piketty sottolinea che i grandi Paesi europei non hanno i titoli per dare lezioni: le misure che oggi impongono ad Atene non le hanno applicate — per fortuna — a loro stessi quando stavano messi ancora peggio. Nel dopoguerra Francia e Germania avevano un debito pubblico che superava il 200% del Pil, ma invece di ricorrere all’austerità hanno usato l’inflazione e la ristrutturazione del debito. L’intransigenza europea nei confronti della Grecia fa sorridere, sostiene Piketty. E nonostante alcuni da mesi sostengano che un’uscita della Grecia dall’euro non avrebbe gravi conseguenze per il resto dell’Ue, Piketty la giudica un’eventualità forse fatale per tutta la zona euro .
Quali sarebbero le conseguenze di un default greco?
«Un’uscita della Grecia dall’euro avrebbe conseguenze incalcolabili. La crisi di fiducia che mina la zona euro da cinque anni ormai prenderebbe proporzioni enormi. A ogni elezione, tutti si chiederebbero quale sarebbe il prossimo Paese a uscire. Un’uscita della Grecia potrebbe rappresentare la morte dell’euro».
Nel braccio di ferro tra il leader greco Tsipras e i creditori internazionali, quali potrebbero essere delle concessioni ragionevoli, da una parte e dall’altra?
«La Grecia si trova attualmente in una situazione di leggera eccedenza primaria, ovvero i greci pagano un po’ più tasse di quanto ricevono in termini di spesa pubblica. È ragionevole chiedere ai greci di mantenere questo leggero eccedente, ma per fare questo bisognerebbe trovare rapidamente un accordo. Il problema è che gli accordi del 2012 prevedono una gigantesca eccedenza primaria del 4% del Pil per i decenni a venire! Per fare un confronto, il budget totale di tutte le università in un Paese come la Grecia o l’Italia è di appena l’1% del Pil. Gli accordi del 2012 devono essere rinegoziati, e prima lo si fa e meglio è».
Pensa sia inevitabile andare verso una ristrutturazione del debito greco?
«La storia dei debiti pubblici è piena di ristrutturazioni e cancellazioni del debito, come quella di cui ha beneficiato la Germania dopo la Seconda guerra mondiale. Nel 1953 gli alleati hanno rinunciato a esigere il debito tedesco verso l’estero, e questo ha permesso a quel Paese di investire in crescita, infrastrutture e formazione. Bisogna fare la stessa cosa adesso a livello europeo, mettendo in comune tutti i debiti pubblici della zona euro in un fondo comune di riscatto, e di ristrutturazione».
Quali sono secondo lei le responsabilità della troika (Fmi, Bce, Ue) da una parte e dei governi greci dall’altra?
«I governi greci precedenti al 2010 portano una grande responsabilità per l’attuale situazione del Paese. Ma farne pagare le conseguenze alle giovani generazioni per decenni non è la soluzione. Dal 2010 in poi Germania, Francia e Italia hanno imposto alla Grecia una cura di austerità che ha aggravato la situazione. Anche il Fondo Monetario Internazionale ha riconosciuto di avere sottostimato le conseguenze delle misure imposte alla Grecia in termini di recessione. Il problema è che i grandi Paesi europei rifiutano di ammettere i propri errori e la loro parte di responsabilità».
Di solito si tende a incolpare la Germania.
«Ma non è solo Berlino ad avere un ruolo. L’Italia, la Francia, la Grecia e la Spagna adesso sono chiamate a presentare delle proposte di rifondazione democratica dell’Europa. Spetta a loro agire per mettere l’austerità in minoranza, nel quadro di una Camera parlamentare della zona euro che è indispensabile ma che resta ancora da costruire».


La via del compromesso
Invece che puntare su nuove misure di austerity si potrebbe intervenire su mercato dei prodotti, pubblica amministrazione e giustizia L’ala sinistra di Syriza all’angolo, riforme possibili
di Vittorio Da Rold Il Sole 27.5.15

Dopo quattro mesi i negoziatori cercano un compromesso che passi anche dal mettere in pole position riforme strutturali anti-cicliche, cioè quelle che non limitano la capacità di spesa in presenza di una situazione di recessione. Quel tipo di misure che, come suggerisce l’Ocse del segretario generale Angel Gurria, rilanciano la produttività e la competittività di un paese mettendo in primo piano la riforma del mercato dei prodotti, della Pubblica amministrazione, della giustizia, rispetto ad nuove misure di austerity, tagli di stipendi e pensioni e surplus primario di bilancio.
Questa è la via del compromesso possibile tra riforme e prestiti da concedere per chiudere l’ultimo miglio del secondo piano di salvataggio e aprire la strada a futuro terzo piano di aiuti.
Il viceministro greco agli Affari europei Nikos Hountis, parlando a Mega Tv, ha affermato che il suo governo sta cercando di raggiungere al più presto con i creditori un'intesa su tutte le questioni aperte e non ha escluso che il tanto atteso accordo possa essere attuato a tappe.
Syriza, il partito al Governo in Grecia, ha respinto la richiesta dell'ala estrema del partito (Piattaforma sociale) di non rimborsare i prestiti all'Fmi. Il Comitato centrale ha bocciato la proposta con 95 voti contro 75 e una scheda bianca. Respinte anche le richieste di nazionalizzare le banche e di indire un referendum che darebbe agli elettori il potere di respingere ogni accordo con i creditori internazionali.
Questo è un passaggio importante per il premier Alexis Tsipras perché gli dà quella libertà di manovra per trovare un compromesso con i creditori senza temere colpi di coda interni. Atene è ormai alle battute finali per una intesa ma il premier deve trovare un difficile equilibrio tra le esigenze dei creditori rappresentati dalla Troika e le richieste non negoaziabili di Syriza così da far passare l'accordo in parlamento.
Per Olivier Blanchard, che lascerà l'incarico di capo economista all'Fmi a settembre, «il sistema pensionistico in Grecia è ancora tropo generoso e ci sono ancora troppi dipendenti statali». Secondo l'economista «bisogna guardare quali misure strutturali sono essenziali per garantire una crescita sostenuta nel medio termine». Atene, invece, ritiene che non sia ragionevole imporre un surplus di bilancio al 4,5% che finisca per strozzare l’economia solo per potert rimborsare più in fretta i creditori.
Il fallimento della ricetta dell’Fmi è evidenziato dai dati della crescita del debito rispetto al Pil che sono passati dal 171,3% del 2011 al 180, 2% del 2015 . Insomma invece di calare è aumentato nonostante 240 miliardi di prestiti.
Ora è giunto il momento di creare le condizioni che pongano accanto all’attenzione ai problemi di bilancio si inserisca quel progetto di riforme strutturali che rendano il fisco, l’amministrazione, l’istruzione e la sanità una realtà di livello europeo anche in Grecia.
Tenendo conto della particolarità del caso greco come ricordava l’economista tedesco Daniel Gros, direttore del Ceps, che di fronte ai fallimenti della ricetta dei creditori usata in Grecia «non c’è stata solo incapacità di governo: c'è anche per esempio la carenza di export greco, che non supera il 12% del Pil ed è circoscritto a settori poco profittevoli come i lavorati petroliferi o i noli marittimi».
Senza il dinamismo dell’export riequilibrare la bilancia dei pagamenti è un meccanismo in salita che passa da riduzioni dell’import e calo dei consumi interni. Ma se a questo quadro si aggiunge la riduzione degli investimenti pubblici allora il rischio è di far precipitare il paese nel tunnel della recessione con deflazione.
I creditori ormai dovrebbero aver compreso che non possono imporre al Paese ancora più austerità rispetto a quanta abbia già dovuto subire, mentre il governo greco dovrebbe a sua volta aver compreso che le promesse elettorali non possono tutte essere rispettate.


“La Grecia è più grande di Lehman Se fa bancarotta è peggio per tutti”

Dimitrios Papadimoulis, il braccio destro di Tsipras: “Vogliamo una soluzione come la Merkel, che però non s’intende con Schaeuble”

di Marco Zatterin La Stampa 27.5.15

Dimitrios Papadimoulis comincia raccontando che proprio lunedì «Alexis Tsipras ha convocato il suo intero staff economico, da Dragosakis a Varoufakis passando per gli sherpa». È stata una riunione importante, assicura il vicepresidente dell’Europarlamento, voce europea di Syriza e uomo di fiducia del premier. Il quale, sostiene il sessantenne ateniese, «ha dato disposizione ai tecnocrati di lavorare giorno e notte per minimizzare le distanze con “le istituzioni” e trovare le misure che servono per chiudere un accordo in fretta, nell’interesse comune». Questo, promette, «è quello che intendiamo fare».
Ci sono però fonti di Syriza che continuano a sottolineare che il crac è vicino. Altro che negoziato costruttivo...
«Non era un ricatto, ma il riconoscimento d’una situazione di fatto. A fine giugno la Grecia non potrà pagare i debiti e, al contempo, le spese di gestione dello Stato. Così dobbiamo costruire una soluzione buona per tutti. Noi siamo pronti».
Davvero?
«Tsipras è determinato. Ha contatti continui dentro e fuori la Grecia. Vuole un’intesa equilibrata».
Significa che un vostro addio all’euro non è un’opzione?
«Esatto. Il vero problema dell’Europa, in questa fase, non è “Grexit” ma “Brexit”. L’uscita del Regno Unito».
I negoziati coi creditori del Brussels Group (Ue, Fmi, Bce) sono ripartiti. Come va?
«Ora la distanza fra noi è minore. Vogliamo una soluzione, come Juncker e Hollande, come la Merkel che però non s’intende col ministro Schaeuble. La cancelliera vuole trattare anche sulla base di un programma più duraturo, proprio come noi chiediamo. Non un’intesa per poche settimane, ma per molti anni».
Va bene. Ma quando?
«Giovedì (domani per chi legge, ndr) contiamo che l’Euro Working Group che rappresenta i governi prenda il dossier dal creditori Brussels Group. Poi ci sarà un Eurogruppo, a stretto giro. Non vedo ancora la fumata bianca, ma il clima è d’urgenza».
Un esempio?
«Tsipras ha sentito al telefono il segretario di stato all’Economia Jacob Lew. Gli Usa hanno influenza sul Fondo monetario internazionale. Capiscono l’esigenza che abbiamo di riformare il mercato del lavoro e ripensare la previdenza. E anche che non si può fare un pochi giorni».
A Bruxelles dicono che siete voi a non essere chiari.
«Bisognerebbe finirla con gioco del biasimarsi a vicenda».
C’è chi ha l’impressione che minacciate l’Europa col vostro possibile fallimento.
«Noi siamo stati flessibili. Ci aspettiamo che succeda anche dall’altra parte. E’ vero che abbiamo un problema di liquidità. Però anche che i sondaggi danno il consenso per Tsipras al 77%. Bisogna riconoscere che è l’unico che può cambiare il Paese».
Sembra una pressione, questa.
«La Grecia è più grande della Lehman Bros. Gli effetti sarebbero gravi per tutti. Noi ne siamo consapevoli e per questo vogliamo un’intesa buona per tutti. Pagheremo tutto il possibile».
Non è un ricatto?
«No. Per nulla». 

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