Come scrive Borges, è nelle saghe islandesi che nasce il romanzo moderno, in quel mondo di eroismi, intrighi, epiche famigliari e vicende intime. E fra tutte la Laxdæla saga occupa un posto di assoluto rilievo per la bellezza poetica e le passioni che rappresenta. Coprendo 150 anni, narra le tormentate sorti di un clan norvegese che alla fine del IX secolo è il primo colonizzatore dell'Islanda dell'ovest, la valle del Laxá, il Fiume dei Salmoni, restituendoci un potente affresco del Medioevo vichingo in un'età di transizione, quando il cristianesimo fa breccia nell'antico universo pagano. Ma questa saga deve la sua speciale fama e unicità anche al ruolo dominante che hanno le donne: la grande matriarca Unnr, che conduce la famiglia dalla Scozia alle Orcadi alle Faroe prima di prendersi la sua terra sul suolo islandese; la schiava Melkorka, che si finge muta per non rivelare al padrone e amante di essere la figlia di un re d’Irlanda; e soprattutto Gudrún, “la donna più bella che fosse mai nata in terra d'Islanda”, fiera, passionale, femme fatale e "femminista", una delle eroine più popolari e affascinanti delle antiche saghe. Protagonista di un dramma di amore e vendetta che porterà Kjartan e Bolli, amici fraterni, a combattersi fino alla morte, Gudrún si chiuderà in una dolorosa e algida solitudine, finendo i suoi giorni come suora eremita.
venerdì 29 maggio 2015
Una saga medievale islandese
Come scrive Borges, è nelle saghe islandesi che nasce il romanzo moderno, in quel mondo di eroismi, intrighi, epiche famigliari e vicende intime. E fra tutte la Laxdæla saga occupa un posto di assoluto rilievo per la bellezza poetica e le passioni che rappresenta. Coprendo 150 anni, narra le tormentate sorti di un clan norvegese che alla fine del IX secolo è il primo colonizzatore dell'Islanda dell'ovest, la valle del Laxá, il Fiume dei Salmoni, restituendoci un potente affresco del Medioevo vichingo in un'età di transizione, quando il cristianesimo fa breccia nell'antico universo pagano. Ma questa saga deve la sua speciale fama e unicità anche al ruolo dominante che hanno le donne: la grande matriarca Unnr, che conduce la famiglia dalla Scozia alle Orcadi alle Faroe prima di prendersi la sua terra sul suolo islandese; la schiava Melkorka, che si finge muta per non rivelare al padrone e amante di essere la figlia di un re d’Irlanda; e soprattutto Gudrún, “la donna più bella che fosse mai nata in terra d'Islanda”, fiera, passionale, femme fatale e "femminista", una delle eroine più popolari e affascinanti delle antiche saghe. Protagonista di un dramma di amore e vendetta che porterà Kjartan e Bolli, amici fraterni, a combattersi fino alla morte, Gudrún si chiuderà in una dolorosa e algida solitudine, finendo i suoi giorni come suora eremita.
Le
saghe, fenomeno letterario unico per originalità, vastità e ricchezza
nel contesto europeo, fioriscono in Islanda a partire dal II secolo.
Storie di re, guerrieri e fieri contadini, in parte già circolanti
oralmente, che vengono messe per iscritto in una prosa ferrata ed
efficace. Un affascinante patrimonio solo in minima parte accessibile al
pubblico italiano. Iperborea ha pubblicato anche Saga di Ragnarr, Saga di Oddr l'arciere, Saga di Egil il monco, Saga Hrafnkell, Saga di Gautrekr.
La saga medioevale d’Islanda dove le donne erano il cuore dei clan
di Cinzia Fiori Corriere 29.5.15
«Sono stata la più crudele con chi ho più amato» dice Gudrún,
personaggio chiave della Laxdaela saga , verso la fine del testo. La
frase, tra le più celebri della letteratura nordica, è tuttora
proverbiale in Islanda, dove la storia fu raccolta dalla tradizione
orale e rielaborata artisticamente intorno alla metà del XIII secolo. La
suggestione di un mondo arcaico e «altro», assieme al tragico triangolo
amoroso tra Gúdrun e due uomini che si erano sempre considerati
fratelli, accese la fantasia vittoriana, tanto che The lovers of Gudrún ,
il riadattamento in versi di William Morris (1903), fu un testo molto
letto per i suoi risvolti romantici. Eppure, come tutte le saghe dette
«degli islandesi», la Laxdaela (pubblicata da Iperborea, pagine 320, e
17 ) è un racconto realistico; e, per quanto ricca di temi universali,
non l’amore ma l’etica è centrale nella narrazione. Il testo, scritto in
prosa, narra le gesta di cinque generazioni, dall’insediamento dei
primi coloni in Islanda (fine IX secolo), che fuggivano dalle vessazioni
feudali del re di Norvegia, fino al completamento della
cristianizzazione imposta all’isola dalla fine dell’XI.
La centralità dell’etica spiega una delle singolarità della saga: il
ruolo prominente che vi svolgono le donne. Un clima di parità in pieno
Medioevo. La prima protagonista che incontriamo è una pioniera. Avvolta
nella leggenda, Unnr la Sagace arma la nave verso l’isola, guida la
schiera dei parenti, reclama terre vergini, organizza matrimoni, regala
appezzamenti, tesse relazioni. Fonda, insomma, un vasto clan, in un
Paese che resterà organizzato come un’oligarchia agraria fino dopo la
guerra civile e la sottomissione ad Haakon IV di Norvegia nel 1262. È
probabilmente il cambiamento politico sociale a suggerire una saga che
glorifichi il clan e risulti esemplare, perché le lotte interne, prima, e
la perdita dell’indipendenza, poi, non comportino anche una perdita di
identità.
In un simile quadro, fondamentale è il ruolo delle donne, perché in
Islanda erano le custodi riconosciute dell’onore del clan e del
prestigio familiare. La Laxdaela , che narra le gesta di una trascorsa
età dell’oro, le mitizza assieme alle sue protagoniste, riconoscendole
come interpreti della tradizione. Inoltre, Alessandro Zironi, autore
della postfazione, ricorda il frequente uso nordeuropeo di legittimare
il potere riallacciandosi a una genealogia femminile. Lo stesso Haakon
IV di Norvegia si provvide di natali suggestivi facendoli risalire alla
figlia di Brunilde e Sigfrido.
La magnanimità, manifestata anche con doni preziosi e sfarzo nei
banchetti, assieme all’agire corretto e onorevole, informa i capisaldi
morali delle origini. Ma, col succedersi delle discendenze, qualcosa
cambia. Alla quarta generazione, nelle mani della figlia e della moglie
di un autorevole esponente del clan compare una celebre spada,
accompagnata da una maledizione. Finché il marito, Ólárf, partorito da
una schiava di regali origini irlandesi, resterà in vita, una magnanima
saggezza eviterà il peggio. Poi, la sanguinosa faida divampa, alimentata
sui due fronti dalla vedova e dalla giovane Gúdrun. La difesa
dell’onore familiare diventa un paravento per la vendetta, che non si
arresterà finché Kjartan e Bolli, rispettivamente figlio e nipote di
Ólárf, rimarranno in vita.
Agli uomini tocca l’azione, spesso per eseguire volontà femminili, ma
non soltanto: sono capi clan, illustri tenutari, membri dell’Assemblea
in un Paese che la narrazione lascia immaginare punteggiato di fattorie.
E da lì partono per altre terre. All’estero si spingono per procurarsi
legname da costruzione o per commerciare, ma anche per acquisire onore
presso le corti. Intanto, il cristianesimo, dapprima disdegnato come una
religione debole, si diffonde nell’isola, ma la saga è ancora segnata
dal fato. Vi hanno campo sogni premonitori e maledizioni che vanno a
segno. Diversi critici nordici hanno visto il passaggio di religione
simbolizzato nelle figure di Gúdrun, emblema della cultura islandese, e
di Kjartan, personificazione di quella cristiana. Di fatto, Gúdrun sarà
la prima suora anacoreta del Paese, mentre il suo raffinatissimo figlio,
Bolli Bollanson, rientrerà da Bisanzio coperto fama e abiti bellissimi.
Il filologo Alessandro Zironi vi riconosce l’influenza dei poemi
cavallereschi. Mentre la curatrice e traduttrice dall’islandese antico,
Silvia Cosimini, avverte lettori di non aver fatto sconti sulle
genealogie. A Iperborea va il merito di aver pubblicato l’opera vivida
di un Medioevo ancora poco conosciuto nel sud Europa.
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