venerdì 29 maggio 2015

Una saga medievale islandese


Laxdæla sagaNon si capisce però cosa c'entri Klimt [SGA].

Laxdaela saga, Iperborea, pagine 320, e 17

Risvolto
Come scrive Borges, è nelle saghe islandesi che nasce il romanzo moderno, in quel mondo di eroismi, intrighi, epiche famigliari e vicende intime. E fra tutte la Laxdæla saga occupa un posto di assoluto rilievo per la bellezza poetica e le passioni che rappresenta. Coprendo 150 anni, narra le tormentate sorti di un clan norvegese che alla fine del IX secolo è il primo colonizzatore dell'Islanda dell'ovest, la valle del Laxá, il Fiume dei Salmoni, restituendoci un potente affresco del Medioevo vichingo in un'età di transizione, quando il cristianesimo fa breccia nell'antico universo pagano. Ma questa saga deve la sua speciale fama e unicità anche al ruolo dominante che hanno le donne: la grande matriarca Unnr, che conduce la famiglia dalla Scozia alle Orcadi alle Faroe prima di prendersi la sua terra sul suolo islandese; la schiava Melkorka, che si finge muta per non rivelare al padrone e amante di essere la figlia di un re d’Irlanda; e soprattutto Gudrún, “la donna più bella che fosse mai nata in terra d'Islanda”, fiera, passionale, femme fatale e "femminista", una delle eroine più popolari e affascinanti delle antiche saghe. Protagonista di un dramma di amore e vendetta che porterà Kjartan e Bolli, amici fraterni, a combattersi fino alla morte, Gudrún  si chiuderà in una dolorosa e algida solitudine, finendo i suoi giorni come suora eremita.
Le saghe, fenomeno letterario unico per originalità, vastità e ricchezza nel contesto europeo, fioriscono in Islanda a partire dal II secolo. Storie di re, guerrieri e fieri contadini, in parte già circolanti oralmente, che vengono messe per iscritto in una prosa ferrata ed efficace. Un affascinante patrimonio solo in minima parte accessibile al pubblico italiano. Iperborea ha pubblicato anche Saga di Ragnarr, Saga di Oddr l'arciere, Saga di Egil il monco, Saga Hrafnkell, Saga di Gautrekr.

La saga medioevale d’Islanda dove le donne erano il cuore dei clan
di Cinzia Fiori Corriere 29.5.15

«Sono stata la più crudele con chi ho più amato» dice Gudrún, personaggio chiave della Laxdaela saga , verso la fine del testo. La frase, tra le più celebri della letteratura nordica, è tuttora proverbiale in Islanda, dove la storia fu raccolta dalla tradizione orale e rielaborata artisticamente intorno alla metà del XIII secolo. La suggestione di un mondo arcaico e «altro», assieme al tragico triangolo amoroso tra Gúdrun e due uomini che si erano sempre considerati fratelli, accese la fantasia vittoriana, tanto che The lovers of Gudrún , il riadattamento in versi di William Morris (1903), fu un testo molto letto per i suoi risvolti romantici. Eppure, come tutte le saghe dette «degli islandesi», la Laxdaela (pubblicata da Iperborea, pagine 320, e 17 ) è un racconto realistico; e, per quanto ricca di temi universali, non l’amore ma l’etica è centrale nella narrazione. Il testo, scritto in prosa, narra le gesta di cinque generazioni, dall’insediamento dei primi coloni in Islanda (fine IX secolo), che fuggivano dalle vessazioni feudali del re di Norvegia, fino al completamento della cristianizzazione imposta all’isola dalla fine dell’XI.
La centralità dell’etica spiega una delle singolarità della saga: il ruolo prominente che vi svolgono le donne. Un clima di parità in pieno Medioevo. La prima protagonista che incontriamo è una pioniera. Avvolta nella leggenda, Unnr la Sagace arma la nave verso l’isola, guida la schiera dei parenti, reclama terre vergini, organizza matrimoni, regala appezzamenti, tesse relazioni. Fonda, insomma, un vasto clan, in un Paese che resterà organizzato come un’oligarchia agraria fino dopo la guerra civile e la sottomissione ad Haakon IV di Norvegia nel 1262. È probabilmente il cambiamento politico sociale a suggerire una saga che glorifichi il clan e risulti esemplare, perché le lotte interne, prima, e la perdita dell’indipendenza, poi, non comportino anche una perdita di identità.
In un simile quadro, fondamentale è il ruolo delle donne, perché in Islanda erano le custodi riconosciute dell’onore del clan e del prestigio familiare. La Laxdaela , che narra le gesta di una trascorsa età dell’oro, le mitizza assieme alle sue protagoniste, riconoscendole come interpreti della tradizione. Inoltre, Alessandro Zironi, autore della postfazione, ricorda il frequente uso nordeuropeo di legittimare il potere riallacciandosi a una genealogia femminile. Lo stesso Haakon IV di Norvegia si provvide di natali suggestivi facendoli risalire alla figlia di Brunilde e Sigfrido.
La magnanimità, manifestata anche con doni preziosi e sfarzo nei banchetti, assieme all’agire corretto e onorevole, informa i capisaldi morali delle origini. Ma, col succedersi delle discendenze, qualcosa cambia. Alla quarta generazione, nelle mani della figlia e della moglie di un autorevole esponente del clan compare una celebre spada, accompagnata da una maledizione. Finché il marito, Ólárf, partorito da una schiava di regali origini irlandesi, resterà in vita, una magnanima saggezza eviterà il peggio. Poi, la sanguinosa faida divampa, alimentata sui due fronti dalla vedova e dalla giovane Gúdrun. La difesa dell’onore familiare diventa un paravento per la vendetta, che non si arresterà finché Kjartan e Bolli, rispettivamente figlio e nipote di Ólárf, rimarranno in vita.
Agli uomini tocca l’azione, spesso per eseguire volontà femminili, ma non soltanto: sono capi clan, illustri tenutari, membri dell’Assemblea in un Paese che la narrazione lascia immaginare punteggiato di fattorie. E da lì partono per altre terre. All’estero si spingono per procurarsi legname da costruzione o per commerciare, ma anche per acquisire onore presso le corti. Intanto, il cristianesimo, dapprima disdegnato come una religione debole, si diffonde nell’isola, ma la saga è ancora segnata dal fato. Vi hanno campo sogni premonitori e maledizioni che vanno a segno. Diversi critici nordici hanno visto il passaggio di religione simbolizzato nelle figure di Gúdrun, emblema della cultura islandese, e di Kjartan, personificazione di quella cristiana. Di fatto, Gúdrun sarà la prima suora anacoreta del Paese, mentre il suo raffinatissimo figlio, Bolli Bollanson, rientrerà da Bisanzio coperto fama e abiti bellissimi. Il filologo Alessandro Zironi vi riconosce l’influenza dei poemi cavallereschi. Mentre la curatrice e traduttrice dall’islandese antico, Silvia Cosimini, avverte lettori di non aver fatto sconti sulle genealogie. A Iperborea va il merito di aver pubblicato l’opera vivida di un Medioevo ancora poco conosciuto nel sud Europa. 

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