martedì 9 giugno 2015

Gysi apre a un'alleanza con la SPD. La sinistra italiana se la fa addosso per l'emozione


Gysi lascia «ai giovani» e indica la via dell’alleanza 

Germania. Passo indietro del leader storico della Linke: «Il ruolo di eterna opposizione non serve, il nostro obiettivo deve essere andare finalmente al governo»



Jacopo Rosatelli il Manifesto 09.06.2015

Per la Linke sono in arrivo tempi nuovi: da otto­bre Gre­gor Gysi lascerà il ruolo di capo­gruppo par­la­men­tare e si riti­rerà dalla prima fila della scena poli­tica. L’annuncio è arri­vato al con­gresso del par­tito svol­tosi sabato e dome­nica a Bie­le­feld: una deci­sione che era nell’aria, mal­grado Gysi non avesse fatto tra­pe­lare nulla sulle sue reali inten­zioni. Non si è trat­tato di uno strappo, ma della scelta «natu­rale» di fare il passo indie­tro «al momento giu­sto», per affi­dare la guida del prin­ci­pale gruppo di oppo­si­zione del Bun­de­stag «a mani più giovani». 
Con un discorso appas­sio­nato, il 67enne lea­der sto­rico della Linke ha voluto lasciare anche un pre­ciso legato poli­tico in vista delle ele­zioni del 2017: «Il ruolo di eterna oppo­si­zione non serve, il nostro obiet­tivo deve essere andare final­mente al governo». Nell’unico modo pos­si­bile: allean­dosi con i social­de­mo­cra­tici della Spd e i Verdi. Que­sto il dise­gno stra­te­gico della parte «mode­rata» del par­tito, che lascia molto freddi i set­tori più radi­cali, che fanno rife­ri­mento a Sahra Wagenknecht. 
La sfida «interna» della Linke è tutta qui: riu­scire a man­te­nere l’equilibrio fra le cor­renti, tro­vando una linea di com­pro­messo che con­vinca mili­tanti e, soprat­tutto, elet­tori. Molti com­men­ta­tori inte­res­sati scom­met­tono che senza il cari­sma­tico Gysi al timone si rive­lerà impos­si­bile: in realtà, il clima di coe­sione interna è buono, soprat­tutto gra­zie al paziente lavoro dei due co-segretari Katja Kip­ping e Bernd Rie­xin­ger. In ogni caso, il primo banco di prova arri­verà molto pre­sto: tra otto giorni si defi­nirà la suc­ces­sione di Gysi. Pro­ba­bil­mente toc­cherà al duo for­mato dal «rifor­mi­sta» Diet­mar Bar­tsch e da Wagen­k­ne­cht: solu­zione che non scon­ten­te­rebbe nes­suno e avrebbe il pre­gio di non cri­stal­liz­zare mag­gio­ranze e mino­ranze interne. 
Un’importante sol­le­ci­ta­zione ad andare nella dire­zione di un’alleanza delle sini­stre è venuta dal numero uno del sin­da­cato, Rei­ner Hof­f­mann, ospite d’eccezione delle assise di Bie­le­feld. Pur se espresso con ovvie cau­tele diplo­ma­ti­che, il mes­sag­gio del segre­ta­rio gene­rale della con­fe­de­ra­zione uni­ta­ria Dgb (che ha ben 6 milioni di iscritti) è stato chiaro: serve una poli­tica diversa da quella di Angela Mer­kel e della Grosse Koa­li­tion. In patria, ma anche in tutta Europa: «È illu­so­rio cre­dere che alla Ger­ma­nia le cose pos­sano con­ti­nuare ad andare bene se ad altri stati dell’Unione euro­pea vanno male», ha affer­mato Hof­f­mann, non rispar­miando cri­ti­che all’austerità «che porta sull’orlo del bara­tro i paesi dell’Europa meri­dio­nale». Dal lea­der Dgb anche un duro attacco al trat­tato di libero scam­bio com­mer­ciale (Ttip) che si sta nego­ziando fra Usa e Ue. 
Il sin­da­cato tede­sco non è certo diven­tato improv­vi­sa­mente rivo­lu­zio­na­rio, ma quel che è certo è che si assi­ste a una fase di offen­siva nelle riven­di­ca­zioni dei lavo­ra­tori. Tre le prin­ci­pali ver­tenze aperte, con rela­tivi scio­peri: quelle di mac­chi­ni­sti delle fer­ro­vie, postini e ope­ra­tori dei ser­vizi comu­nali per l’infanzia. La vicenda di que­sti ultimi è par­ti­co­lar­mente emble­ma­tica: chie­dono signi­fi­ca­tivi aumenti di sti­pen­dio (in media del 10 per cento) e una valo­riz­za­zione del loro impe­gno di fronte alle sem­pre nuove e più gra­vose respon­sa­bi­lità che sono loro asse­gnate, ma non rico­no­sciute. Attual­mente, il primo sti­pen­dio di chi lavora in un asilo nido è di circa 2300 euro lordi, men­tre chi è a fine car­riera ne gua­da­gna un migliaio in più: per il sin­da­cato è troppo poco, soprat­tutto con­si­de­rando i «conti in ordine» e le ottime con­di­zioni eco­no­mi­che del paese.

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