Fischi a tutto il partito dai precari sotto al Nazareno Il bersaniano Stumpo: “Sulla scuola rischiamo di farci male “di Carlo Bertini La Stampa 9.6.15
Fuori per strada, i precari assiepati fischiano a tutti, da Fassina al renziano Gozi, senza distinzioni. Renzi, la Boschi ma anche Bersani e Cuperlo scelgono le entrate laterali del Nazareno per salire in Direzione. Il più pragmatico, Nico Stumpo, uomo macchina dell’era bersaniana, mette in chiaro pure il risvolto parlamentare della questione: «Sulla scuola rischiamo davvero di farci male se non troviamo un accordo».
Ma nelle analisi dei più duri ricorre un punto destinato a sollevare polemiche, cioè il ritorno alle alleanze con la sinistra. «Bisogna ricostruire il centrosinistra», dice Gianni Cuperlo, ma non è il solo a proporlo con l’argomento che non ci si espande più a destra.
Il primo banco di prova
Dunque si riuniranno stasera alla Camera, Speranza e compagni, insieme alla ventina di senatori dissidenti, perché «la prima verifica sarà questa riforma» e allora urge un summit per decidere che fare e capire quanta sostanza ci sia nelle aperture di Renzi. La strategia è presto detta: strappare il più possibile per dimostrare che «la musica cambia, se non cambia continuiamo la battaglia». «Io non ho problemi di numeri. Se vogliamo approvare la riforma della scuola senza modifiche lo facciamo domani, anche a costo di spaccare il Pd. Ma sarebbe un errore politico, è importante discutere nel Pd», dice Renzi. Che però sfida la minoranza, «prendiamoci pure altri 15 giorni e facciamo però un’assemblea in ogni circolo».
Mediazione cercasi
Gotor, colonnello di Bersani al Senato, fissa la linea di confine sulla scuola. Punti qualificanti: tetto ai finanziamenti e ai fondi di redistribuzione per non aumentare le disparità tra territori forti e quelli deboli. Limitare i poteri dei presidi nella valutazione degli insegnanti: «Per evitare conflitti d’interesse e discrezionalità e ridurre i rischi di arbìtri». Posto che anche i «buoni» della minoranza, quella cinquantina che votarono la fiducia all’italicum e che fanno capo a Martina, Amendola, Mauri, Damiano, chiedono modifiche sulla scuola di analogo tenore, è con i «cattivi» che va raggiunta un’intesa sulla scuola, altrimenti non si va lontano.
Complici le intemerate di Salvini che aiutano a rinsaldare le fila del Pd guardando al nemico esterno, Renzi si spende per pacificare. Le legnate sulla disciplina interna lasciano il segno, ma le aperture sulle riforme di più. Si aspettavano tutti che il segretario puntasse a spaccare gli avversari interni. E così è stato, ma sulle regole e la disciplina, Gotor chiede polemico cosa possa fare il premier. «Che fa, i fogli di via? Le lettere di espulsioni? Meglio evitare questioni disciplinari...». No, per la sinistra Pd il punto politico è chiaro: «il problema non è la minoranza parlamentare, puoi pure non ricandidarli, ma così non recuperi elettori», dice D’Attorre. Il punto è che visto che si è fermata l’espansione verso il centrodestra, «bisogna ricostruire il centrosinistra, riunificare quel campo e per farlo bisogna cambiare linea politica su alcuni punti. Perché si è visto che l’elettore di sinistra è indisponibile a votare comunque per chi fa cose che piacciono di più all’altra parte».
di Enrico Marro Corriere 9.6.15
ROMA Se la sinistra a sinistra del Pd era alla ricerca di un programma economico, lo ha trovato nell’undicesimo rapporto sullo Stato sociale, presentato ieri dall’economista della Sapienza, Felice Roberto Pizzuti. Nell’aula 1 della facoltà di Economia e commercio sono intervenuti, tra gli altri, la presidente della Camera, Laura Boldrini, e il leader della Fiom-Cgil, Maurizio Landini, reduce dalla due giorni nel vicino auditorium dei Frentani, dove ha cercato di dare una forma politica alla sua «Coalizione sociale». Se ai Frentani la cornice etica è stata dettata dal costituzionalista Stefano Rodotà, nell’aula 1 quella economica l’ha disegnata Pizzuti. Una lettura alternativa della crisi finanziaria, delle sue conseguenze e delle proposte per uscirne, esplicitamente keynesiane e ispirate a Federico Caffè, il grande e indimenticato economista di questa stessa facoltà, declinato in una versione più radicale di quella per esempio cara a Mario Draghi e Ignazio Visco (presidente della Bce e governatore della Banca d’Italia), due fra i suoi allievi di maggior successo.
In platea, tra gli studenti, si riconoscono Stefano Fassina, economista e parlamentare della minoranza pd; Alfonso Gianni, già braccio destro dell’ex leader di Rifondazione comunista, Fausto Bertinotti, tra i primi a scoprire Pizzuti; Gian Paolo Patta, da sempre esponente della sinistra Cgil; Valentino Parlato, tra i fondatori del quotidiano il manifesto .
Pizzuti sintetizza i dati del rapporto, un lavoro serio e documentato al servizio di una tesi dichiarata: la difesa del Welfare State come mezzo per arginare le ingiustizie del capitalismo. La spesa sociale pro capite in Italia, dice il professore, è inferiore alla media europea e le persone «a rischio di povertà» o di «esclusione sociale» sono «17,3 milioni — circa 2,6 in più che nel 2010, pari al 29,4% della popolazione». La nostra produzione industriale «si è ridotta di circa un quarto, tornando ai valori di quasi 30 anni fa». Il tutto è avvenuto a spese di lavoratori e pensionati. Che fare? Siamo l’unico Paese, insieme alla Grecia, senza una forma di «reddito minimo garantito», sottolinea Pizzuti. Che propone anche flessibilità in uscita sulle pensioni, più spesa pubblica sull’istruzione, di spingere i fondi di previdenza integrativa a investire di più in Italia anziché all’estero, di coprire i buchi contributivi dei giovani quando non lavorano e di fissare diversi coefficienti di calcolo in base «alle diverse aspettative di vita connesse alle condizioni sociali e di lavoro».
«Il tempo è scaduto, bisogna agire», rilancia Boldrini, sottolineando che «l’assoluta priorità è il sostegno ai redditi più bassi» attraverso forme di reddito minimo di garanzia o con un fisco più progressivo. Quel che è certo, conclude, è che «le politiche economiche nazionali ed europee vanno radicalmente ripensate». Nemmeno il Jobs act va bene, dice infine Landini, «perché come fa a calare la precarietà se hanno aggiunto un contratto dove ti possono licenziare?». E nemmeno sulle pensioni c’è da fidarsi: «Vogliono la flessibilità in uscita solo perché così possono fare un po’ di assunzioni a tutele crescenti». Tocca al presidente dell’Inps, Tito Boeri, richiamare tutti a fare meno accademia e più proposte dettagliate e realistiche. E tocca al sottosegretario alla presidenza, Claudio De Vincenti, difendere gli 80 euro, perché «i consumi cominciano a riprendersi», e il Jobs act, perché «aumentano i contratti a tempo indeterminato». Ma questa è l’altra sinistra. Quella di governo.
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