domenica 21 giugno 2015

I saggi di Elémire Zolla degli anni Sessanta

Il serpente di bronzoLeggi anche qui sull'opera omnia di Zolla

Elémire Zolla: Il serpente di bronzo. Scritti antesignani di critica sociale, Marsilio, Venezia, pagg. 542, € 24,00

Risvolto
"Eclissi dell'intellettuale", "Volgarità e dolore" e "Storia del fantasticare", i tre saggi di esacerbata critica sociale che negli anni Sessanta del Novecento fecero di Elémire Zolla l'autore più contestato dall'elite intellettuale progressista, mentre critici d'altra sponda riconoscevano nelle tesi al fiele esposte nella trilogia uno dei più saldi edifici morali eretti contro la dilagante massificazione, sono riuniti in un unico volume dal titolo biblicamente emblematico. Nel tratteggiare con argomenti stringenti e fittamente documentati l'eclissi del ruolo dell'intellettuale umanista con l'ascesa dell'industria culturale e dei media, e il conseguente abbassamento dei livelli di guardia sui guasti della massificazione, il non-senso programmatico, la volgarità dilagante e la resa alla fantasticheria nelle poetiche letterarie e artistiche degli ultimi tre secoli, l'atto di accusa zolliano, che suonò al tempo così intemperante, sembra oggi dar voce al bisogno di un pensiero forte, svincolato da strette ideologiche o estremismi di sorta, capace di indicare la via per convertire veleni ancestrali in farmaci che curano e arrecano salute. 

Pubblicati rispettivamente nel 1959, 1962 e 1964, Eclissi dell’intellettuale, Volgarità e dolore, e Storia del fantasticare denunciarono all’epoca l’incubo e il torpore dell’individuo massificato la cui unica evasione patologica era la fantasticheria. Dopo oltre mezzo secolo e in una situazione del tutto mutata, l’atto d’accusa di Elémire Zolla è un manifesto di riappropriazione di integrità, di un pensiero libero dagli abbagli e dalle parole d’ordine, di modi di vita in cui la lucida immersione nel presente consenta la scommessa, la festività, l’avventura.

l’opera omnia

Il serpente sacro di Elémire Zolla

Giovanni Santambrogio Domenicale 21 6 2015
Entrare nell’universo di Elémire Zolla non è semplice tante sono le sue scorrerie nella ragione dell’Occidente e nelle ragioni della mistica, nella dialettica negativa della Scuola di Francoforte e nei testi sacri di ebraismo, cristianesimo, buddismo; nell’antropologia del consumismo e nei valori della tradizione. Oriente e Occidente dialogano nelle sue opere creando un intreccio interessante e non privo di fascino. Oggi, complice la frammentazione del sapere e l’oblio dei classici, può risultare impegnativo l’accostarsi ai suoi saggi; eppure, proprio oggi, il suo lavoro intellettuale ritorna prezioso perché conserva la forza della provocazione e la carica dell’anticonformismo, oltre a fornire viaggi non comuni alle origini della conoscenza e della religiosità umana. Elémire Zolla (1926-2002) è stato un outsider ora guardato con ammirazione ora ostracizzato. Piacevano le sue critiche, meno le sue domande religiose e il suo attaccamento al sacro considerato un tratto distintivo e insopprimibile dell’uomo, fonte originaria di ogni cultura. La scelta finale per l’Oriente e il suo ritiro nella quiete di Montepulciano sono state «due uscite dal mondo» per potergli parlare ancora più intensamente come ha poi fatto nei saggi della maturità. Di certo, Zolla è entrato a far parte degli autori di culto del secondo Novecento. 

L’editore Marsilio ha in corso la pubblicazione dell’Opera omnia, curata da Grazia Marchianò presidente fondatore dell’Associazione internazionale di ricerca Elémire Zolla (Airez) e autrice della biografia intellettuale Il conoscitore di segreti. Finora sono usciti cinque volumi di cui l’ultimo Il serpente di bronzo raccoglie i primi tre saggi zolliani di critica sociale: Eclissi dell’intellettuale (1959), Volgarità e dolore (1962) e Storia del fantasticare (1964). Si tratta di scritti che al loro apparire hanno scompaginato l’intellighenzia italiana creando opposte interpretazioni. Eugenio Montale recensì l’Eclissi dell’intellettuale rimarcando che si era di fronte a «uno stoico che onora la ragione umana e che sente la dignità della vita come un supremo bene. E finché esisteranno uomini così fatti la partita non sarà del tutto perduta». All’opposto, Umberto Eco, che in quegli anni entrava a far parte degli autori Bompiani al fianco di Zolla, si dissociò non mancando occasioni per prendere le distanze dal pensiero di Zolla e dalla sua lettura socio-culturale della società. Certo non sono tesi accomodanti come urticante suona l’affermazione: «L’uomo moderno è smarrito e suggestionabile, servile e persecutorio insieme. Egli chiede una guida alla società ma ne riceverà soltanto comandi interessati e inganni». 
I tre saggi ora riproposti costituiscono, come scrive Grazia Marchianò, «l’armatura dialettica portante, il traliccio nel sottosuolo mentale dell’autore su cui si costruirà l’opera successiva, un edificio letterario e speculativo in cui i toni convulsi, arroventati, da battaglia, del trittico giovanile andranno a stemperarsi nell’andamento arioso di un pensiero affilatissimo, via via pacificato». In essi troviamo la critica alla società di massa e alla conseguente vulnerabilità dell’uomo massa; una disamina tagliente dell’industria cultura e della tecnica colpevole di violentare il mondo e di sfigurarne la bellezza; una storia di quel fantasticare tanto apprezzato quanto poco conosciuto nelle sue origini che Zolla fa risalire al fantastico della stregoneria e del diabolismo attraversando la letteratura e i grandi romanzieri. Il titolo dato alla trilogia prende spunto dal capitolo «Il romanzo come serpente di bronzo» di Volgarità e dolore. Il riferimento è all’episodio biblico contenuto nel Libro dei Numeri (21,4-9) in cui Dio ordina a Mosé di costruire un serpente di bronzo e innalzarlo sopra un’asta perché chi lo guardasse potesse guarire dai morsi dei veri serpenti.
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1 commento:

Anonimo ha detto...

Chissà se a quella società civile italiana dell’engagement pre-ideologico dei tardi anni Cinquanta (e primi anni Sessanta), che gridò al tradimento all’apparire dell’introduzione di Zolla ai Mistici dell’Occidente per Garzanti, tornò alla mente il motto di spirito dedicato dal Kaiser a Richard Strauss: "ci siamo allevati la serpe in seno”. Moravia di sicuro rimase interdetto, dopo aver organizzato con Zolla l'antologia dei Moralisti e dei saggi 1959; del resto chi tra quei lettori attenti ma vagamente già integrati avrebbe potuto sospettare che il più brillante tra i giovani critici avrebbe di lì a poco (1962-1963) “voltato le spalle” […] “cedendo alle seduzioni dell’irrazionale”– secondo le espressioni che si rincorsero nelle redazioni delle migliori riviste culturali del tempo? Solo Piovene e Montale, tra le penne più note, compresero la critica alla società di massa come necessaria pars destruens di un percorso più ampio, non già l'assuefazione al clima apocalittico. A me sembra notevole leggere oggi il filo di quella logica stringente e argomentativa che si disegna sulle pagine del giovane Zolla: quel "raccogliere i dati" e "disporli nell'ordine opportuno"; e ancora più sbalorditivo è l’effetto che ne traggo alla luce dell'opera a seguire dello stesso Zolla: come se tutto fosse già in nuce: perché se da un lato l'approccio allo stato di salute della società moderna appare più critica forsennata che commento ( vedi la lezione alla Fondazione Cini sul tema, poi inserita in Che cosè la Tradizione), d'altro canto i tre saggi si dispongono come una inappellabile ratifica dell’avvenuto fallimento delle riflessioni sociologiche francofortesi sulla vita offesa dell'uomo sotto le derive dell’illuminismo nel ‘900 lasciando aperto un percorso ulteriore. L’introduzione di Grazia Marchianò aiuta proprio a capire quale fu la spinta che condusse "oltre" il percorso di Zolla: da Francoforte alla Mistica, attraverso gli orienti del pensiero sino alla filosofia perenne e alle uscite dal mondo. E già nella corrispondenza Zolla/Elena Croce della metà dei '50 ( 1953-1955) si leggeva il sentimento di superamento di Adorno nella consapevolezza del valore ( In fondo è l’unico pensiero vivo degli ultimi anni: lettera EZ a EC del 19 luglio 1955) : era chiaro a Zolla che dove il sentiero apparve interrotto perché gli strumenti critici non offrivano più i mezzi utili per aprirsi una strada, il superamento poteva avvenire esclusivamente con uno scarto sulla norma. Ma una simile mossa del cavallo non poteva essere compresa dai contemporanei, soprattutto se dogmatici e d'apparato. Ed è evidente che non poteva essere compreso dallo stesso Adorno e dai suoi nipotini, contriti nella stretta osservanza al rito della dialettica negativa. In fondo Adorno ha compiuto, ovvero "non ha compiuto" lo stesso percorso della dodecafonia: la fuga nella atonalità di Schoenberg è stato un alto grido di dolore e di protesta avverso le accuse di degenerazione mosse dalle camicie brune; protesta che ha cessato di avere senso dopo il 1945 quando l'avversario è capitolato nel suo bunker al suono delle dolcissime sinfonie di Bruckner e si è tramutata in autoreferenziale culto di sé: difficile negare come la dodecafonia del dopoguerra si sia ridotta a mero esercizio seriale, settario e meccanico: pertanto antimusicale: un po' come le pagine e pagine e pagine sulla letteratura e ideologia dei nostri tardi anni sessanta e settanta redatte come musica a manovella dai nostri più impegnati nipotini di Benjamin e Marcuse; nonché da Marcuse stesso cui non parve vero di trasformarsi da fanalino di coda della scuola di Francoforte a guru per masse con il semplice esercizio della Theorie und Praxis. E Adorno, sappiamo, ne morì di rabbia a Zermat nell’agosto del 1969. Ecco perché l’attraversamento di Francoforte verso la Mistica come norma dell’uomo resta epocale. E indimenticabile. Spero che i giornali se ne accorgano.