domenica 21 giugno 2015
Le correzioni dei "Fiori del male"
“Meno bianco nei testi”, “Più aria in quella pagina”, “Cambierei la dedica”, “Non sarebbe meglio togliere « poesie di...»?” Escono
in Francia, in una nuova edizione arricchita dai disegni di Rodin, le
correzioni infinite che Baudelaire sottoponeva all’editore prima che i
suoi “Fiori del Male” vedessero finalmente la luce. E che lui, per quei
suoi versi scandalosi, finisse in tribunale
di Anais Ginori Repubblica 21.6.15
PARIGI SI SPAZIENTISCE ogni giorno di più l’editore Auguste Poulet-
Malassis: «Mio caro Baudelaire, da due mesi stiamo rileggendo I fiori
del Male e ne abbiamo stampato solo cinque pagine». Non può mandare in
tipografia il fatidico volume fino a quando non riuscirà a sottrarne il
manoscritto dalla mani del poeta. Che oltre a essere dandy, bohème e
maledetto, è anche un maniaco della precisione, un perfezionista,
correttore di se stesso a oltranza. Le bozze di stampa del 1857 sono un
campo di battaglia. Note a margine, passaggi sbarrati, altri aggiunti,
dubbi, intuizioni, commenti per l’editore e il tipografo. Baudelaire
controlla tutto, non solo i suoi versi, ma anche la grafica,
l’impaginazione, la grandezza dei caratteri. Il manoscritto originale de
Les fleurs du Mal non è mai stato ritrovato. L’unica traccia che resta
del continuo travaglio intellettuale di Baudelaire sono le bozze
utilizzate dall’autore e dall’editore, pubblicate ora per la prima volta
in Francia in un’edizione facsimile in tiratura limitata dalle Éditions
des Saints Pères. Ogni pagina è stata restaurata, come in un quadro. Un
oggetto preziosissimo, al quale sono stati aggiunti disegni inediti di
Auguste Rodin. L’editore des Saints Pères si è specializzato nella
pubblicazione di manoscritti originali. In poco più di un anno ha già
stampato in tirature limitate La schiuma dei giorni di Boris Vian,
Viaggio al termine della notte di Céline. Una piccola casa editrice
creata da una ragazza, Jessica Nelson, appassionata di libri. Non di
ebook, come tanti della sua generazione, ma di libri di carta, da
toccare e ammirare nella migliore versione possibile.
Le bozze di stampa de I fiori del Male furono acquistate dalla
Biblioteca nazionale di Francia nel 1998. Lo straordinario documento
letterario venne messo all’asta da Drouot a Parigi e la Bnf esercitò il
diritto di prelazione pagando la cifra colossale di 3,2 milioni di
franchi (quasi cinquecentomila euro). Ne valeva la pena. Sfogliando la
nuova edizione, pagina dopo pagina sembra di rivivere il tormento del
poeta ad ogni riga. Prima di stampare il libro, il 25 giugno 1857, con
l’editore Poulet-Malassis et de Broise, Baudelaire esercita
un’attenzione ossessiva sulla rilettura, anche se il capolavoro
dell’inventore dello Spleen e irriducibile flâneur è già pronto da
tempo: la maggior parte delle poesie sono state scritte tra il 1841 e il
1850. È riuscito però con una certa fatica a far pubblicare le sue
poesie su giornali e riviste, organizzando invece letture nei café
parigini. L’incontro con Poulet-Malassis è dunque decisivo. Firmano
insieme il contratto per Les Fleurs du Mal il 30 dicembre 1856 e il
manoscritto viene consegnato subito, il 6 febbraio 1857. L’editore
immagina di poter andare in stampa qualche settimana dopo. Ma si
sbaglia. La rilettura dura più di quattro mesi. Come Balzac o Proust,
Baudelaire corregge fino all’ultimo i suoi testi. Il poeta è attento non
sono alla metrica, a ogni aggettivo, ma anche all’ortografia, alla
punteggiatura, critica la grafica, chiedendo «più aria» o «meno bianco»
nei testi.
Nonostante i continui richiami dell’editore, l’autore non è disposto ad
accorciare i tempi. Si abbandona a ogni tipo di esitazione. Come sulla
poesia Benedizione nella quale Baudelaire si domanda se è il caso di
scrivere « blasphême », « Blasphême » o forse «blasphème ». Fa anche
autocritica. Accanto a Spleen IV, annota il numero di pagine della
raccolta: «245, pietoso, molto pietoso. E non c’è rimedio perché non mi
preoccupo di scrivere nuovi versi e sonetti». Il lavoro di bozze è così
puntiglioso e sofferto che Poulet- Malassis sembra quasi rassegnato. E
confida agli amici: «I Fiori del Male usciranno quando vorrà Dio, e
Baudelaire». Prima di dare finalmente il “Bon à tirer ”, il visto si
stampi, il poeta aggiunge in extremis ancora qualche modifica. La dedica
iniziale a Théophile Gautier viene cancellata: Baudelaire chiede a
Gautier di fare da «padrino » ai suoi «fiori malaticci». Il poeta
sceglie un più sobrio «Al mio amico e maestro». «Mi sembrerebbe meglio
abbassare la dedica in modo da farla apparire a metà pagina » chiede
però Baudelaire all’editore, anche se poi aggiunge: «Mi affido al suo
gusto». Poi però imperversa ancora: «Sarebbe meglio mettere Fleurs in
corsivo, o in stampatello corsivo» visto che si tratta, dice, di un «
titre- calembour », ovvero un titolo che è anche gioco di parole.
Les Fleurs du Mal viene finalmente stampato ad Alençon, in Bassa
Normandia, pubblicato il 25 giugno 1857. La raccolta dà scandalo. Il 5
luglio il critico del Figaro , Gustave Bourdin, parla di un’opera in cui
«l’odioso s’accompagna all’ignobile» e «il repellente sporca l’infetto
». Due giorni dopo la procura di Parigi apre un fascicolo per “attentato
alla morale pubblica, alla morale religiosa e al buon costume”. Gli
stessi capi d’imputazione di Flaubert per Madame Bovary.
Per la seconda edizione, Baudelaire cambierà ancora l’architettura della
raccolta, di cui solo lui ha il segreto: toglie le sei poesie bandite
dai giudici ma ne aggiunge altre trentacinque. Poi sarà costretto
all’esilio, in Belgio, e morirà pochi anni dopo con la consapevolezza di
aver scritto un capolavoro. «Mi viene rifiutato tutto: lo spirito
d’invenzione e persino della lingua francese» scriveva alla madre nel
luglio 1857, durante il processo. «Mi faccio scherno di tutti questi
imbecilli, e so che questo volume, con le sue qualità e i suoi difetti,
farà il suo cammino nella memoria del pubblico letterato, accanto alle
migliori poesie di Hugo, Gautier e persino di Byron».
Il poeta maledetto deluso dal Progresso e attratto dalla strada
di Daria Galateria Repubblica 21.6.15
ALCUNI DEI VERSI EROTICI per cui andò a processo per immoralità,
Baudelaire li aveva presi direttamente dalla Bibbia. “Il ventre e i suoi
seni, grappoli della mia vigna” (“ che i tuoi seni siano per me come
grappoli della vigna”, Cantico dei Cantici, VII, 9). È la poesia I
gioielli (l’amante, la splendida mulatta Jeanne Duval dalle reni “polite
come olio”, si è lasciata addosso solo i gioielli tintinnanti: “ La
très chére était nue, et, connaissant mon coeur , / Elle n’avait gardé
que ses bijoux sonores ”). Ma le poesie che il pubblico ministero Pinard
lesse nella requisitoria di un torrido 20 agosto 1857 restano ancora
smaglianti, atroci e lesive (“Fare al tuo fianco attonito una ferita
larga e profonda / e, vertiginosa dolcezza! Attraverso quelle nuove
labbra… infonderti il mio veleno, o sorella!” (la “ferita” di quali
nuove profonde labbra? E quale “veleno” — il seme, la sifilide?).
Lesse, Pinard, della «maschia Saffo, la amante e il poeta» che onora dei
suoi pallori d’amore l’isola di Lesbo (dove i baci vanno “ gloussant” —
Mérimée aveva appena appreso, in carcere, il verbo tecnico onomatopeico
degli amori saffici, gnugnotter). Del resto nell’arringa il temibile
Pinard — intimidito dalla scoperta che il poeta della bohème parigina si
era rivelato figliastro di un senatore amico di Napoleone III — mostrò
piena lucidità critica: l’imputato Baudelaire aveva sì scelto il partito
della classicità, dei ritmi regolari, «monotoni»: e però alla fin fine
«arriva alla testa, inebria i nervi; turba, dà le vertigini, e può anche
uccidere». Il verdetto riconobbe l’impeccabile eleganza formale della
raccolta, ma per il loro effetto «funesto» comminò al poeta un’ammenda, e
la soppressione di sei poesie.
Sono stanco di essere considerato un lupo mannaro, scrisse a un amico
Baudelaire. Girando per la città, raccoglieva, per farne poesia — come
facevano nella notte i fraterni straccivendoli con i rifiuti delle
metropoli da cui ancora si possa ricavare dell’oro — i diseredati del
moderno, le vecchine “smembrate” che sono state donne, i ciechi che
volgono al cielo, come una preghiera vuota, i globi incolori, gli operai
che vanno a bere nelle bettole fuori città, dove il vino è meno caro.
Il deluso del Progresso (la rivoluzione è turpe “come un trasloco”)
traccia su un foglietto un ritratto di Blanqui, bello come un Satana. E,
sul retro, appunta i versi di Longfellow e di Gray che citerà nel
Guignon , “la scalogna”: e se il sonetto fosse un ritratto malinconico
del grande utopista? E se — come voleva la sua fredda eleganza
artificiale di dandy — considerava le donne naturali e perciò
abominevoli, come mai cita Théroigne, la femminista rivoluzionaria?
Nella vita, i suoi sentimenti andavano verso le piccole prostitute del
Quartiere latino, come Sara l’Ebrea (“metteresti l’intero universo nel
tuo letto”), o a povere attrici che non potevano disdegnare gli amori
venali — anche se bastava uno sguardo, e una
Passante in gramaglie dal maestoso dolore poteva suggerire al poeta uno
dei più bei versi dei piaceri irrealizzati: “Oh tu che avrei amato! Oh
tu che lo sapevi.”
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