giovedì 4 giugno 2015

L'epopea del colonialismo sionista e il negazionismo negato: dopo la "complessa realtà" degli insediamenti illegali, il "gioioso kibbutz" e "l'Israele ironica"


Risultati immagini per mappa palestinaKoestler, il romanziere della Storia Viaggio gioioso in un kibbutz
“Ladri nella notte”, dell’autore di “Buio a mezzogiorno”

di Edoardo Camurri Corriere 1.6.15
Appena s’inizia Ladri nella notte di Arthur Koestler (ripubblicato in ebook, dopo anni di irreperibilità cartacea, dall’editore digitale Tiqqun; il libro si acquista — fatelo senza indugio — su Amazon), non si riesce a stare dietro all’entusiasmo e alle idee e ai collegamenti che la lettura di questo romanzo, vera e propria macchina per pensare, comporta; per esempio si potrebbe immaginare un tentativo di esaurimento degli autori che vengono (liberamente e un poco sconsideratamente) in mente solo nelle prime dieci pagine: Pessoa, Mordecai Richler, Conrad, Furio Monicelli. E da qui far partire la macchina, magari con l’unico italiano presente nell’elenco; Furio Monicelli fu l’autore di un altro libro dimenticato, Il Gesuita perfetto , ma soprattutto fu il fratellastro di Giorgio Monicelli, il traduttore di questo Ladri nella notte e figura importante nella storia della cultura del Novecento italiano: traduttore infaticabile e primo direttore della collana di fantascienza Urania.

Se invece si facesse partire la macchina in direzione Koestler (Budapest 1905 — Londra 1983), questa sorta di Orson Welles della letteratura, ricordato soprattutto per il romanzo sull’orrore staliniano Buio a mezzogiorno , non ci si fermerebbe più fino a schiantarsi contro i suoi ultimi sorprendenti libri dedicati alla parapsicologia.
In Ladri nella notte (1946), Koestler racconta di un gruppo di giovani pionieri che nel 1937 fonda un kibbutz. E lo fa come se fosse lì presente, con un’immediatezza da storico antico (Koestler, negli anni Venti, visse due anni proprio in un kibbutz) capace di far emergere uno dei centri teorici del libro: «Lo Stato di Israele — scriverà qualche anno più avanti — è ai miei occhi un Paese più trasparente di qualunque altro, che mostra gli archetipi del conflitto e dell’esperienza umana — come a riproporre una tragedia antica in forma moderna». Con Israele assistiamo così a una fondazione. A un inizio.
Vi è una gioia metafisica che rende elettrica ogni pagina del romanzo di Koestler, anche la più dura; quando i pionieri stanno per arrivare, proprio come ladri nella notte, per costruire il più in fretta possibile l’insediamento (le terre erano regolarmente acquistate dagli arabi, ma gli arabi comunque li attaccavano e gli inglesi se ne lavavano le mani), lo scrittore descrive così questo entusiasmo aurorale: «C’era sempre qualcosa da festeggiare, (…), il primo vitello. Il primo raccolto. Il primo trattore. Il primo bambino. La pompa dell’acqua. Il diesel. La luce elettrica».
È la grande gioia di chi dice Sì. È Dio che si riprende il mondo («Ma verrà il giorno del Signore, come un ladro nella notte» 2 Pietro, 3, 10 ).
È l’epopea di chi, in fuga dalle ondate di pogrom e inseguendo il sogno sionista, rischia la vita per «ingrandire l’universo» (ecco Pessoa) anche perché «le solitudini e i luoghi abbandonati si rallegreranno per loro; e il deserto ne gioirà» ( Isaia ). (A proposito di rischiare la vita: c’è un passo che sembra scritto già da Mordecai Richler: «Nessuno aveva molta fiducia nelle loro bombe a mano fatte in casa; godevano fama di esplodere nei momenti più impensati. “Granate tipicamente ebraiche, ipersensibili e nevrotiche” le aveva definite un ufficiale della Polizia britannica»).
La lettura del romanzo è inarrestabile così com’è inarrestabile il lavoro dei pionieri descritti (e qui emerge, tanto per rimanere nell’elenco di sopra, un’osservazione che Conrad dedicò allo scrittore William H. Hudson: bisogna scrivere un po’ come l’erba cresce).
Insomma, se il paragone non avesse un che di ridicolo e di grossolanamente fuori luogo — ma la dismisura è proprio il metro che ci si trova ad adoperare con libri come questo — verrebbe da dire che il lavoro procede in parallelo: ogni pietra che si aggiunge al kibbutz è un concetto che s’incide nell’immaginazione del lettore. V’è corrispondenza tra il mondo esterno e interno. Il libro diventa macchina per pensare. Ogni cosa è Israele.


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