sabato 26 settembre 2015

Cinema e immagine politica negli anni Settanta

Image result for Uva: L’immagine poli­tica
Il "biopolitico" non c'entra niente ma fa Foucault ed è indispensabile per scrivere sul Manifesto [SGA].

Chri­stian Uva: L’immagine poli­tica. Forme del con­tro­po­tere tra cinema, video e foto­gra­fia nell’Italia degli anni Set­tanta, Mime­sis, pp. 284, euro 24

Risvolto
Il libro propone una riflessione sulle articolazioni assunte dall’immagine, in quanto strumento e terreno di lotta politica, nel periodo delle grandi mobilitazioni sociali compreso tra la fine degli anni Sessanta e le ultime fasi del decennio successivo, con particolare riguardo per il ’77. Calandosi all’interno di tale contesto storico, l’indagine approfondisce la processualità e le possibili maniere d’essere dell’immagine politica in quanto modo d’espressione di un’istanza di “contropotere”, prendendo come riferimento case studies tratti dal cinema, dal video e dalla fotografi a (campi di ricerca al centro, ognuno, di uno specifico capitolo). Da questi orizzonti distinti ma non distanti emergono, in una continua dialettica tra immagini politiche e politica delle immagini, frammenti iconici e schegge audiovisive ora capaci di imporsi, nel bene e nel male, nel cosiddetto “immaginario collettivo”, diventando veri e propri simboli di quegli anni, ora in grado di veicolare, in maniera più indiretta ma non per questo meno efficace, un’autentica carica eversiva situata sul terreno dei linguaggi e delle estetiche prima ancora che su quello dei contenuti.


Il potere biopolitico del visuale 
Pensiero critico. «L’immagine politica» negli anni Settanta di Christian Uva per Mimesis 

Alessandro Santagata il Manifesto 26.9.2015, 0:30 

Le imma­gini pos­sono essere armi con le quali deco­struire il discorso del potere, sve­larne le con­trad­di­zioni e arti­co­lare la resi­stenza. L’ultimo libro di Chri­stian Uva, stu­dioso di sto­ria del cinema e di sto­ria poli­tica ita­liana, ci riporta alle ori­gini di que­sta rifles­sione, a que­gli “anni Ses­san­totto” che, pro­prio gra­zie alle imma­gini dei film, dei video­tape e della foto­gra­fia mili­tante, sono entrati a far parte dell’immaginario nazio­nale (L’immagine poli­tica. Forme del con­tro­po­tere tra cinema, video e foto­gra­fia nell’Italia degli anni Set­tanta, Mime­sis, pp. 284, euro 24). Punto di par­tenza della rico­stru­zione è il ruolo svolto da alcune rivi­ste nell’elaborare il discorso del «con­tro­po­tere». Per Gof­fredo Fofi e Paolo Ber­tetto, redat­tori di «Ombre rosse», il cinema deve essere pie­gato alle esi­genze della lotta di classe. 
Il modello di rife­ri­mento, da supe­rare «a sini­stra», sono di docu­men­tari di Gre­go­retti, che con il suo docu­men­ta­rio Apol­lon ha por­tato sugli schermi il con­flitto di fab­brica. Con­tro il cinema «di par­tito» dell’Unitefilm del Pci e la fil­mo­gra­fia d’autore, il film-ciclostile si afferma dun­que come uno stru­mento di con­tro­in­for­ma­zione che, ripren­dendo la lezione di Debord e Godard, intende «mor­dere la realtà» attra­verso la rap­pre­sen­ta­zione delle lotte nelle uni­ver­sità e nelle offi­cine. Un momento chiave è rap­pre­sen­tato dalla strage di piazza Fontana. 
Nell’indagine delle rea­zioni pro­vo­cate dalle prese di posi­zione della stampa e del potere poli­tico, Uva rac­conta come la mobi­li­ta­zione del Comi­tato cinea­sti con­tro la repres­sione abbia coin­volto attori e regi­sti del cali­bro di Volontè, Petri, Ber­to­lucci e Paso­lini. Quest’ultimo super­vi­siona il pro­getto di Lotta con­ti­nua 12 dicem­bre, con il quale l’organizzazione approda al campo della cine­ma­to­gra­fia mili­tante con il fine di smon­tare le argo­men­ta­zioni della stampa bor­ghese sulla bomba e i suoi esecutori. 
Di tutt’altro tipo sono invece pro­dotti come Paghe­rete caro paghe­rete tutto, una cro­naca degli scon­tri dell’aprile 1975 a firma del Col­let­tivo cinema mili­tante di Milano, e Fil­mando in città – Roma 1977, ultima opera cine­ma­to­gra­fica legata al gruppo di (ex) Lotta con­ti­nua. Siamo ormai alle ultime bat­tute del film-ciclostile e anche in Ita­lia la tec­no­lo­gia video sta rivo­lu­zio­nando l’informazione con l’allargamento della pla­tea degli ope­ra­tori «dal basso». Roberto Faenza va teo­riz­zando la «guer­ri­glia tele­vi­siva», il movi­mento fem­mi­ni­sta si è appro­priato della mac­china da presa e il movi­mento del ’77 com­batte la sua bat­ta­glia d’immagini con­tro i soste­ni­tori degli «oppo­sti estremismi». 
In tale con­te­sto si col­loca Anna di Alberto Grifi, pro­ba­bil­mente il risul­tato miglio­rie della video-arte di movi­mento. Pre­sen­tata in forma ridotta al Festi­val di Ber­lino del 1975, que­sta pro­du­zione spe­ri­men­tale con­si­ste nella regi­stra­zione di circa undici ore della vita di una tos­si­co­di­pen­dente incinta e senza fissa dimora. Quello di Anna – spiega Uva – è un «corpo indo­cile» che esprime un’istanza radi­cal­mente anta­go­ni­sta alla bio­po­li­tica del potere. Il merito del regi­sta sta nell’aver por­tato all’estremo il desi­de­rio di rea­li­smo, fino allo sve­la­mento dell’inconciliabilità tra il pro­getto poli­tico dell’autore e la vita nuda del «sot­to­pro­le­ta­riato». Nel cuore del decen­nio la «guer­ri­glia semio­lo­gica» assume però anche altre forme. 
Le pagine più inte­res­santi del libro sono dedi­cate alla discus­sione svi­lup­pa­tasi attorno all’istantanea dell’«uomo che spara» (mag­gio 1977), in cui si vede un mili­tante di Auto­no­mia Ope­raia impu­gnare a due mani una pistola e pun­tarla ad altezza uomo. Di que­sta «car­to­lina degli anni di piombo» Umberto Eco scrive sull’«Espresso» che si tratta della fine dell’iconografia rivo­lu­zio­na­ria, ormai tra­volta dall’estetica della vio­lenza. Su «Lotta con­ti­nua» Pio Bal­delli rea­gi­sce attac­cando la mani­po­la­zione delle imma­gini ope­rata dalla stampa bor­ghese, accu­sata di aver iso­lato un foto­gramma per costruire il pro­prio teo­rema. Di certo c’è che que­sta imma­gine, insieme alle pola­roid bri­ga­ti­ste dei rapi­menti Sossi e Mac­chia­rini e quelle di Moro pri­gio­niero delle Br (o le foto del suo corpo dopo la sua morte), hanno segnato in maniera inde­le­bile l’immaginario col­let­tivo siglando la scon­fitta defi­ni­tiva della lotta armata, ma anche la fine della sta­gione dei movi­menti sociali. 
Sono rima­ste invece le strut­ture teo­ri­che pro­fonde che ani­ma­vano il pro­getto ico­no­gra­fico del con­tro­po­tere, oggi parte inte­grante della meto­do­lo­gia di chiun­que intenda affron­tare cri­ti­ca­mente l’analisi della società contemporanea.

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